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Calcio

Non nascondiamoci dietro i lampi di Ronaldo, la Juve ha perso contro un Real stellare, confermando che al nostro calcio manca la qualità. I nostri fenomeni adesso fanno i Talent in tv

Da Vincenzo Martucci 04/04/2018

Il pericolo dopo la disfatta della squadra leader da sette anni nel nostro campionato è nascondere il problema più grave del nostro calcio con le prodezze dell’asso portoghese. Che pure sono abbaglianti, come i nostri limiti!

“Capisco la delusione. È giusta. Ma io faccio fatica a rimproverare una squadra che ci ha provato, contro i migliori al mondo. Nello sport e nella vita c’è chi dimostra di essere più bravo: lo si applaude, e si continua a lavorare per diventare come lui. Ora rialziamoci in fretta!”. Partiamo da un tweet, quello dell’allenatore della Juventus, Massimiliano Allegri, dopo lo 0-3 in casa contro il Real Madrid, come ci piacerebbe che facessero certi quotidiani “popolari”, per sviluppare un ragionamento insieme ai veri appassionati di sport e di calcio. Il concetto espresso da Allegri è assolutamente perfetto. Richiama la legittima emozione degli sanissimi sostenitori della squadra bianconera (ma anche dei semplici amanti del calcio e di chi sostiene sempre e comunque una squadra italiana, in un qualsiasi competizione internazionale, a prescindere da qualsiasi valutazione di simpatia e passione).  Giustamente, da allenatore, peraltro di una formazione che sta per riconquistare lo scudetto per la settima stagione consecutiva, non può demonizzare la sua squadra. E quindi la accarezza, la sostiene, la incita. Riconoscendo insieme i massimi  onori al vincitore e riportando le cose nei canali più giusti, e cioé alla legge semplicissima dello sport. Quella che nella vita di tutti i giorni magari non trionfa ma che per un’atleta è sacra: il più forte alla fine vince, gli puoi solo stringere la mano e ripartire per migliorarti.
Allegri fa il suo, al di là delle sbracciate in tribuna del dirigente più vicino al presidente Agnelli, Nedved, che magari crede di conoscere le contromosse per tutti quei fuoriclasse venuti da Madrid. Dal portiere-gatto, Navas, agli esterni dai piedi buoni e quattro polmoni Carvajal e Marcelo, ai cagnacci della difesa Sergio Ramos e Varane, dai ragni di centrocampo, Kroos, Casemiro, Modric e Isco, agli attaccanti Cristiano Ronaldo e Benzema. Già perché, al di là della straordinaria doppietta di Ronaldo, al di là degli applausi sportivi e convinti del pubblico italiano, e della risposta in stile del portoghese, il rischio è – come troppo spesso succede nel nostro paese – che il problema vero venga prima nascosto, quindi accantonato, e poi drammaticamente dimenticato. Stavolta dietro una spaccata e una sforbiciata del formidabile asso del Real. Nella vita, come nello sport e ancor più nel calcio, non esiste controprova che il destino dei bianconeri sarebbe stato diverso se Cristiano Ronaldo non avesse giocato. Ma troviamo troppo facile spiegare la disfatta della Juventus soltanto con l’ennesima prova maiuscola del suo campione. Un campione da applaudire, che prima manda in bambola Barzaghi, rubandogli tempo e posizione, e poi lo lascia basito, con le braccia aperte, frustrato e impotente, a guardare la sua evoluzione aerea. Quindi fa inchinare un fenomeno come Zidane, impressionato da allenatore da una prodezza che anche lui faceva da calciatore, proprio perché aveva lo stesso spirito: “Cercare di fare sempre di più, di nuovo, non accontentandosi mai”. E infine, beffardo, fa saltare il proverbiale affiatamento di una delle coppie difensive più solide ed affiatate, Buffon-Chiellini.
La Juve che domina il campionato non ha perso solo contro Ronaldo. Ma contro tante individualità e una squadra superiore. Peraltro, dobbiamo partire dal fatto che non è affatto facile cambiare mentalità ed abitudini all’improvviso, dal calcio italiano a quello di Coppa. Da una squadra che, in serie A, è sempre più forte, globalmente e spesso anche individualmente, a tutti gli avversari, e sa sfruttare cinicamente ogni piccola debolezza altrui, adattandosi a qualsiasi modulo e pescando in panchina qualsiasi jolly, la Juventus deve fare uno sforzo immane nel calarsi in panni totalmente diversi. Per di più contro avversari di caratura tecnica, fisica e tattica ed anche d’esperienza superiore come quelli di Madrid. Il salto, evidentemente è troppo difficile. Epperciò, oppressa da questa terribile legge del contrappasso, la squadra bianconera ha avvertito subito, mercoledì, la mancanza di qualità. E s’è impaurita, s’è innervosita, ha perso sicurezza e fluidità, proprio coi suoi uomini più forti, proprio com’è successo alla Nazionale azzurra. Dove Gian Piero Ventura non rappresentava di sicuro la scelta migliore come commissario tecnico ed è naufragato insieme alle nostre ambizioni di qualificarci ai Mondiali.
Il problema del calcio italiano non è Ronaldo, ma la mancanza di qualità. Quella cui i commissari del Coni, Fabbricini e Malagò, devono mettere mano, riequilibrando formule, campionati, selezione, morale, dirigenti, tesseramento, giovani. Dopo anni di scellerata gestione manageriale.
E certamente fa rabbia riconoscere, aldilà delle rughe, dei movimenti farraginosi e dei capelli bianchi dei “Talent” che oggi si avvicendano negli studi tv, i nostri fenomeni del calcio mondiale di ieri. Quelli che facevano i guizzi alla Mazzola e alla Paolo Rossi, le rovesciate alla Giggi Riva, i tiri a foglia morta di Corso, di Pirlo, di Baggio e di Totti, gli assist di Rivera, eccetera, eccetera. Allora erano italiani i fenomeni che costringevano in panchina altri fenomeni, come oggi succede al Real con Ronaldo con Bale.
Perciò, al di là dei lampi che hanno accecato tutti e continueranno a farlo – fortunatamente e giustamente -, con un’evidenza talmente clamorosa da scatenare il convinto applauso di tutto uno stadio per l’avversario, il calcio italiano deve ancor più interrogarsi sui propri limiti e lavorare per un futuro migliore.  Senza cercare altre scuse.
VINCENZO MARTUCCI
vincenzomartucci57@gmail.com
Tags: calcio, champions league, cristiano ronaldo, juve-real madrid, vincemzo martucci

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Nota sull’autore: Vincenzo Martucci

Napoletano, 34 anni alla Gazzetta dello Sport, inviato in 8 Olimpiadi, dall’85, ha seguito 86 Slam e 23 finali Davis di tennis, più 2 Ryder Cup, 2 Masters, 2 British Open e 10 open d’Italia di golf. Già telecronista per la tv svizzera Rsi; Premio Bookman Excellence.

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