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Calcio

Messi è il vero perdente dell’Argentina: più di Sampaoli, più di Caballero. Ma attenti alla “marmelada peruana”…

Da Claudio Gregori 23/06/2018

Contro la Croazia. Leo ha deluso ancora come leader e andava sostituito. Però i sudamericani non sono ancora fuori dal Mondiale: hanno ancora la partita con la Nigeria…  Quaranta anni fa approfittarono del portiere Quiroga per segnare 6 gol al Perù e poi aggiudicarsi anche il titolo!

Lionel Messi è un grande perdente. Non è Pelè, che di Mondiali ne ha vinti tre. Questo lo sapevamo bene. Non è nemmeno Cristiano Ronaldo, che i suoi gol li fa anche nelle competizioni che contano. Non è nemmeno Neymar, che, ben prima di segnare il gol alla Costa Rica nel recupero, era stato pericoloso, rischiando perfino di essere espulso per i numeri da cascatore e per la partecipazione emotiva alla gara.

    Messi è un fantasma. Come le montagne di Leonardo, avvolte nella nebbia, resta sullo sfondo. Latita, quando la posta è alta. Si eclissa. Scompare. Nell’ultima mezz’ora della gara con la Croazia è l’unico argentino che non si è visto. E, da capitano della squadra, avrebbe dovuto essere il leader della riscossa.
   Il prode Leo ha sempre fallito in quattro Mondiali e non è riuscito a vincere nemmeno una coppa America, per tre volte sconfitto in finale. Nell’ultima contro il Cile, nel 2015, sbagliò un calcio di rigore decisivo. In Russia lo ha rifatto contro l’Islanda.
   L’errore è umano. Ma, quando a farlo è questo giocatore strapagato, si deve pretendere da lui il riscatto. Messi, invece, si è lasciato sprofondare come un relitto in un gorgo. Inerte. Passivo. Assente. Un automa. Senza il sangue che pulsa nelle vene. Senza il cuore del guerriero che cerca, attraverso il valore, di trasformare la sconfitta in vittoria.
   Stiamo parlando del goleador della storia dell’Argentina (64 reti) e della storia del Barcellona. Un attaccante micidiale. Che ha vinto 9 campionati di Spagna e 4 Champions. Che ha spesso vilipeso gli avversari con triplette umilianti. Ma che, quando la posta è alta, quando la storia bussa alla sua porta, non apre. Che, quando il suo popolo ha il piacere del sogno, lo distrugge come una bolla di sapone.
   Quando è il momento della fiaba, Messi sceglie di essere Cappuccetto Rosso. Si perde nella foresta, pronto ad essere mangiato dal lupo cattivo.
   Confrontiamo la prova di Messi con quella di Modric, i leader delle due squadre. Modric lo abbiamo visto lavorare bene in difesa, costruire il gioco, fare pressing in attacco e chiudere la sua prova con un gol-capolavoro. Messi non ha fatto nulla di questo.
Si può fare di Caballero il capro espiatorio della sconfitta con la Croazia. La sua papera entrerà nella storia. Ma non si chiedeva a Caballero di vincere la partita. A Messi sì. E mentre, durante la gara, il portiere lo abbiamo visto più volte, Messi non si è visto mai. Uno spettro. Il peggiore. Peggio del macellaio Otamendi. Peggio della mummia di Mascherano, che, prima di essere sigillato nel suo sarcofago, un tempo era creatore di gioco e di luce.
    Jorge Sampaoli avrebbe dovuto sostituire Messi, non Aguero e meno che mai Salvio, che si stava battendo bene. Sampaoli è un allenatore mediocre. La sua visione del mondo è espressa dai suoi tatuaggi, una sorta di mural semovente ai bordi del campo. Arrivista e pragmatico, Sampaoli non conosce la virtù del coraggio.
   Perché ha tenuto in campo Messi? Per un motivo semplice: perché ha legato il suo destino al giocatore. Ha il contratto fino al 2022 e, in caso di rescissione – cioè se a furor di popolo fosse cacciato – una clausola del contratto gli garantisce 20 milioni di risarcimento. Una cifra che la Federcalcio Argentina non può pagare. È possibile che Sampaoli conceda a Messi la chance del quinto Mundial.
   L’Argentina, però, non è ancora fuori da questo Mondiale. Ha ancora la partita con la Nigeria. Quaranta anni fa, proprio a Rosario, la città di Sampaoli, il 21 giugno 1978, ci fu la famosa “marmelada peruana”. Per vincere il girone, scavalcando il Brasile, e approdare alla finalissima, l’Argentina doveva battere il Perù con 4 reti di scarto. Un compito non facile. Ci pensò il portiere peruviano Ramón Quiroga, di geni argentini, che giocava nel campionato argentino. Incassò 6 reti. Poi, in finale, l’Argentina piegò l’Olanda per 3-1 ai tempi supplementari. Un trionfo per i generali.
   Se il calcio è fiaba, la Nigeria offre ancora una possibilità a Messi. Che La Pulga, La Pulce – è stato davvero all’altezza del suo soprannome nelle prime due partite – si trasformi in Tirannosauro e, come Maradona, vinca un Mondiale? È improbabile? Certo. Ma il calcio è spesso illogico e sempre stupefacente.
Claudio Gregori
Tags: calcio, delusione, Messi, mondiali, perdente

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Nota sull’autore: Claudio Gregori

Inviato in 12 Olimpiadi, 27 Giri d'Italia e 3 Tour, più svariati campionati del mondo: 5 di calcio, 4 di atletica, 10 di nuoto, 11 di sci, 9 di ciclismo, 2 di scherma, 1 di ginnastica. È stato testimone anche della Caduta del Muro.

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