Il pensiero che lo sport possa riprendere e il calcio rientrare a pieno diritto nei suo decennali riti, dopo un lungo stop alle azioni e alle emozioni, sembra una chimera. E non parlo delle notevoli difficoltà per raggiungere un protocollo utile affinché i giocatori si muovano in sicurezza e un arbitro non sia costretto a fischiare una fallo per comportamento non regolamentare da Covid 19. In realtà gli italiani, se prendiamo per attendibile e scientificamente corretta una recente indagine sulle opinioni di un campione del Paese, sembra non siano più interessati a ciò che prendeva loro tempo, spazio e voce (scritta e parlata). E’ come se questo maledetto e inaspettato compagno di viaggio abbia anestetizzato una passione, o almeno l’abbia messa in posizione secondaria rispetto alla prevalente scala dei valori. Che è radicalmente cambiata.
Giustamente il mondo del calcio si sta mobilitando per evitare la frana economica, ancora più evidente e fragorosa là dove si è operato oltre le possibilità reali con le alchimie finanziarie e di mercato. Il Re è nudo, ma il popolo del calcio non pare minimamente preoccuparsene, come se assopendosi il giorno del lockdown non abbia voglia di occuparsi di nuovo di qualcosa che sembra aver perso la propria vitalità. Da quell’ultima partita a stadio vuoto tra Juventus e Inter, sembra trascorso un secolo. Di silenzio, come quel silenzio che accompagnò il fantastico gol di Dybala, bello, imprevedibile secondo le leggi del calcio.
Da allora Tv spente, giornali sportivi faticosamente avvinghiati alla non notizia, calciatori liberi come in un 8 settembre del tutti a casa (soprattutto per gli stranieri), partite ricordate per stagioni straordinarie in un rovistare nel cassetto della memoria per raccontarsi di essere ancora vivi. Ma lo è il calcio, la nostra serie A (senza dimenticare la catena che porta fino ai campetti di periferia) dopo lo tsunami? C’è ancora voglia di calcio, di sfide, di lotta scudetto, di emozioni, di gol? In fondo da due mesi ne facciamo a meno senza troppa nostalgia, un po’ perché impegnati ad aggiustarci la mascherina e a compilare le autocertificazioni, un po’ perché ci si è accorti che le domeniche possono essere diverse senza la maratona Tv dalle 12.30 alle 23.
Gli stessi social, che rappresentavano in momenti passati una cassa di risonanza di gioie, ma per lo più rivendicazioni, polemiche, contestazioni, accuse, si sono quasi azzerati. Sfido a trovare post che richiamino in modo insistente antiche diatribe, sfottò su un mondo che quasi sembra scomparso. In altri tempi la bizzarra idea di Lotito, presidente della Lazio, di giocarsi lo scudetto in partita secca contro la Juventus, avrebbe inscenato un vortice di considerazioni, spinto i tastieristi di professione a scannarsi attorno a uno scudetto che sembra una chimera, un’illusione. Niente di tutto questo. Oggi fanno più presa, della classifica della serie A, la classifica sui virologi più trendy, quelli più bravi, o soltanto quelli che rappresentano un bluff. Se ci pensate bene la capacità di dividersi degli italiani si è spostata su altri argomenti, la prevalenza ha altri protagonisti, altri gol (mediatici).
Forse l’idea che il campionato, se mai ripartirà con le sue propaggini verso lo scudetto da disputarsi nella canicola di luglio, possa riprendere il suo status è annullata. Forse la gente pensa che un campionato così, dopo tre mesi di stop, arriverà falsato alla meta, poggiando su basi diverse che sono diverse perché i tempi dettano ciò che sarà. Una volta si diceva che la serie A si decide a Primavera, ora si potrà dire che a cavallo di giugno e luglio sarà il momento decisivo. Una rinascita hot. Ma con che armi, con che giocatori, con che usura, con che appeal? La serie A interrotta che riprende non sarà più quella di prima, avrà un risultato diverso perché è cambiato il mood, gli attori avranno un approccio personalmente concentrato su un obiettivo e un percorso che non sono quelli del settembre scorso. E ci saranno giocatori che termineranno la loro storia con una squadra a fine luglio e al 10 agosto ne cominceranno un’altra. Forse. Una rivoluzione di metodi e tempi, che non è secondaria rispetto a ciò che ci è stato raccontato negli anni. E’ vero, tutto si cambia, tutto è modificabile. Ma modificare ciò che contiene valori per qualcosa che sfugge alla nostra generale comprensione è un rischio pesante.
Non c’è la febbre che accompagna la prima partita del primo giorno del campionato, non c’è voglia di dribbling se non al Covid 19, bastardo essere che ci sta prendendo per mano verso un mondo che non sarà più quello rassicurante di prima. Basterà un gol di Ronaldo, uno slalom di Lautaro, un’arpionata di Ibrahimovic, un’intuizione di Immobile a farci capire che il calcio è lo stesso di prima? Più povero, ma più vivo. La risposta non è possibile conoscerla.
Foto: la Repubblica