Gli US open, un percorso sempre più irto di ostacoli. Nonostante l’ultimo Slam della stagione regali ad atleti, spettatori e addetti ai lavori adrenalina a mille e un’atmosfera unica nel suo genere, sono tanti i fattori che rendono la quindicina newyorchese un torneo particolarmente complesso e faticoso. A New York, i giocatori, oltre allo sforzo agonistico, vengono confrontati a difficoltà che niente hanno a che vedere con l’avversario che sta dall’altra parte della rete. Tribune brulicanti di fan sempre in movimento, rumore e musica ovunque a tutto volume, alto tasso di umidità, lentezza della superficie e un calendario a dir poco faticoso… Ulteriori scogli particolarmente ostici soprattutto per gli atleti meno esperti che devono però imparare a gestirli, facendo a volte buon viso a cattivo gioco per preservare il preziosissimo self control.
Decibel al massimo
Agli Us Open boati e frastuono sono di casa. A differenza del clima ovattato del Centre Court di Wimbledon, dell’ambiente rilassato di Melbourne Park e della douceur de vivre parigina, a Flushing Meadows l’adrenalina è alle stelle, tra musica disco, show, boati, luci e paillettes… Insomma, un’atmosfera psichedelica costante in tribuna e attorno ai campi, dal mattino a notte fonda. In particolare, sugli spalti del Centrale più grande del mondo i fan più esagitati si scatenano per tifare i loro idoli, urlando e cantando a squarciagola; per non parlare del costante rumore e vocìo che fanno da sottofondo alle partite. Gli spettatori si alzano e si spostano anche durante il gioco. E poi, quell’intollerabile esultare e gridare tra la prima e la seconda di servizio… Negli ultimi anni il fenomeno purtroppo si è accentuato e, se i giocatori, in fondo, ormai ci sono abituati, c’è anche chi non ci sta. Daniil Medvedev ha un rapporto difficile con il pubblico newyorchese; iniziato nel peggiore dei modi nel 2019, quando più gli spettatori lo fischiavano, più il russo si esaltava e li provocava a sua volta, ora Daniil ci scherza su, come accaduto alcuni giorni fa, dopo la vittoria contro l’argentino Baez. Tuttavia, il moscovita, intervistato in campo a fine match, non ha rinunciato alla sua tagliente ironia e ha sbeffeggiato così gli scalmanati in tribuna: «Grazie a tutte le persone che non gridano tra la prima e la seconda palla, siete fantastici. Ma credo ci sia un tipo, non so se abbia una ragazza o una moglie, ma se così fosse, non so proprio come lei farà a dormire stanotte, perché è talmente agitato che continuerà tutta la notte a urlare “vamos, vamos, vamos” senza sosta. Mi dispiace davvero tanto per lui ». Touché.
L’erba del vicino…
Oltre alla musica assordante e all’andirivieni indisciplinato degli spettatori per procurarsi hot dog e birra, quest’anno sui campi da gioco aleggiava uno strano odore di fumo… Sì, proprio così, la marijuana! L’ “erba”, il cui consumo è stato legalizzato nello Stato di New York per le persone maggiorenni, si è spesso fatta sentire con effluvi dall’odore intenso nei pressi del Court 17 – delimitato da un’area verde – infastidendo non poco Maria Sakkari, Alexander Zverev, Gaël Monfils e Adrian Mannarino: “Che odore, mio dio, penso venga dal parco! Mi allenavo lì ieri e sentivo lo stesso odore! A volte si sente odore di cibo, altre volte di cigaretta e ora anche l’erba!”, così si lamentava la tennista greca; scontento anche Sasha Zverev, che avverte che “questo odore è ovunque, in campo si sente l’odore dello spinello!”.
Ma che caldo fa!
Benvenute le aree verdi a Flushing Meadows per offrire un po’ di refrigerio nelle torride giornate di fine estate. Tra agosto e settembre, infatti, nell’est americano il caldo è particolarmente intenso. Le temperature sono elevate, ma è soprattutto l’umidità a causare i disagi più estremi. Con il cambiamento climatico il fenomeno si è accentuato e, negli ultimi anni, si sono registrati picchi di umidità soffocante a New York, così come a Cincinnati e a Washington dove, quest’anno, il malcapitato Yibing Wu (23enne cinese) si è accasciato a terra per un colpo di calore. Purtroppo, non si può fare un granché per fronteggiare un termometro sempre più impazzito, ma questo è certamente uno dei fattori che mettono maggiormente a rischio la salute dei tennisti in gara. L’uso del tetto sull’Arthur Ashe Stadium e sul Louis Armstrong, copertura dotata di un sistema di aria condizionata per rinfrescare l’ambiente, è previsto solo in caso di pioggia o comunque di forti intemperie atmosferiche. Quest’anno, a causa delle temperature elevate e del tasso di umidità altissimo, gli organizzatori hanno deciso di chiudere parzialmente il tetto sull’Arthur Ashe per lasciare il campo in ombra, senza però ovviare al gran caldo. Ed è ancora Medvedev a farsi sentire, denunciandone la grande pericolosità: “Un giorno un giocatore morirà e così vedranno!” tuona il russo nel match contro Rublev, tra un punto e l’altro verso le telecamere. Poi, interpellato sulla situazione, ammette che “non so cosa possiamo fare, non possiamo fermare il torneo per quattro giorni, rovinerebbe tutto. Sudiamo talmente tanto, utilizziamo così tanto gli asciugamani che gli arrossamenti sul viso non sono bruciatore a causa del sole ma dovute al fatto che non ho più la pelle”. E come non ricordare un Roger Federer grondante di sudore (lui che sembrava l’unico a non sudare mai in campo) e dall’aspetto molto sofferente. Lo svizzero, durante il match perso contro John Millman nel 2018, ammetterà poi di essere stato sul punto di sentirsi male: “Faceva davvero caldissimo, credevo sarei svenuto, facevo fatica a respirare. È la prima volta che mi succede. Sudavo, sudavo ancora e sempre di più. Alla fine, non avevo più energia”. C’erano una volta le magiche night session, un momento privilegiato per i giocatori, con il brivido di una serata che riservava al pubblico e ai giocatori stessi ulteriori emozioni e adrenalina. Ora, giocare di sera può diventare una vera e propria sofferenza a causa delle condizioni atmosferiche che cambiano radicalmente con il passare delle ore, tant’è che il big match di ottavi tra Sinner e Zverev si è trasformato in un vero e proprio “calvario” per entrambi, distrutti dai crampi e dall’umidità estrema. Negli ultimi anni, inoltre, è anche tempo di uragani. L’edizione 2023 fortunatamente è stata risparmiata ma il rischio nubifragi e tifoni incombe sempre più sugli eventi estivi americani.
Superficie e palline più lente
Nell’intento di preservare l’integrità fisica dei giocatori, dal 2020 la “musica” è cambiata. Addio manto Decoturf (in dotazione a Flushing Meadows dal 1978, che assicurava la tradizionale velocità dei campi newyorchesi), per lasciare spazio alla nuova superficie Laykold – già in uso a Miami – nettamente più lenta con il prosieguo del torneo. Un cambio netto delle condizioni di gioco, dunque, che fa storcere il naso ai grandi specialisti dell’hard court, Medvedev in primis, ma anche Fognini, i quali hanno deplorato inoltre lo status delle palline, considerate sempre più lente con il prolungarsi delle partite.
Batterie scariche…
Non sempre i giocatori arrivano in forma smagliante a New York, anzi. Nell’ultimo Slam dell’anno, molti risentono dei lunghi periodi di gare, provati nel corpo e mentalmente esausti soprattutto dallo swing europeo di quattro mesi tra terra ed erba. Ricominciare sul cemento americano a questo punto della stagione non è semplice. E non finisce qui. Dopo New York, si riparte e si continua sul duro, nel continente asiatico e poi ancora in Europa, in particolare con altri due Masters 1000, le ATP Finals e le finali di Coppa Davis e Billie Jean King Cup. Il Major americano si colloca, insomma, in una fase complessa della stagione. Ecco perché, generalmente, i tennisti su cui si riversano tante speranze e aspettative, spesso in America realizzano performance deludenti. Quest’anno, per esempio, è accaduto a Ruud e a Rune, dopo la finale al Roland Garros per il norvegese e una primavera ed un inizio estate brillanti per il danese. Un dato curioso: i tennisti che sono riusciti ad intrufolarsi nell’albo d’oro dei Major durante il lungo dominio dei Fab 3 ce l’hanno fatta quasi tutti solo a Flushing Meadows – ad eccezione ovviamente di Wawrinka e Murray, che hanno vinto anche a Melbourne, Parigi e Wimbledon (Alcaraz e Medvedev, per età e rispettive caratteristiche, si collocano diversamente). Non si tratta affatto di minimizzare le imprese straordinarie di Del Potro, Cilic e Thiem, né le splendide finali disputate da Anderson, Nishikori e Zverev; tuttavia, i loro successi suggeriscono in parte come a New York spesso lo scenario sia potenzialmente più aperto rispetto ai pronostici e come sia essenziale arrivarci senza sbavature. A tal proposito, ricordiamo che Roger Federer è stato l’ultimo giocatore a vincere due US Open di fila, nel 2007 e 2008. Dopodiché, dal 2009 ad oggi, ogni anno ha trionfato un campione diverso, opposto a un finalista diverso, confermando quanto sia diventato complicato arrivare all’evento americano con le condizioni ottimali dei mesi passati. Ciò dimostra che, quando si paga il conto, nella Grande Mela è sempre particolarmente salato.