Giuliano Razzoli è stato un simbolo dello slalom speciale italiano grazie a quell’oro conquistato all’Olimpiade Invernale di Vancouver 2010. Seguendo le orme di Alberto Tomba, lo sciatore emiliano ha fatto innamorare migliaia di tifosi dello sci italiano attraverso una serie di imprese tanto sofferte quanto inaspettate.
Costretto a far i conti con gli infortuni che lo hanno rallentato durante la carriera, il 39enne di Villa Minozzo ha deciso di dire basta dopo diciotto anni in Coppa del Mondo, ma soprattutto due vittorie, undici podi e quel trionfo a cinque cerchi che lo ha consegnato alla leggenda dello sport italiano. Il portacolori dell’Esercito non è però intenzionato ad arrendersi puntando a trasmettere l’esperienza raccolta ai più giovani.
Dopo 18 anni in Coppa del Mondo, cosa l’ha spinta a dire basta con lo sci agonistico?
Il cuore andrebbe avanti all’infinito, ma il fisico fa sentire un po’ gli anni. Mi sono abituato a competere obiettivi di un certo tipo e quest’ultimo anno ho iniziato a far fatica con la schiena. Per questo motivo ho deciso di smettere.
C’è un po’ di rammarico di non aver chiuso a Kranjska Gora davanti al suo pubblico?
Sicuramente, però sono stati più importanti i 18 anni di carriera che la gara annullata a Kranjska Gora. Poi i miei amici mi stanno organizzando una festa per il 20 luglio a Razzolo, dove sono nato e cresciuto, e a questa ci tengo molto.
Non ha pensato di tenere duro ancora un anno per poter festeggiare sulla neve con il pubblico?
Fare una preparazione per fare una gara d’addio non avrebbe molto senso, anche perché mancherebbero gli stimoli. Le preparazioni si fanno per competere ad alto livello. Farla solo per salutare non avrebbe motivo anche perché sono mesi e mesi di preparazione, peraltro con la schiena affaticata. Fare per partecipare non è mai stato per il mio mestiere, quando sono sceso in pista, l’ho sempre fatto per ottenere il risultato.

Essendo molto legato ad Alberto Tomba, cosa le ha detto quando gli ha comunicato la decisione di ritirarsi?
Lui era d’accordo sostenendo che fosse il momento, visto che quello che dovevo fare, ormai l’avevo fatto.
Nel corso della carriera spesso ha dovuto ripartire da zero a causa degli infortuni. Cosa l’ha spinta a rialzarsi sempre?
Quello che fa la differenza sono sempre le motivazioni. Quando tu ami qualcosa e vuoi raggiungere un obiettivo, le motivazioni sono alle stelle e quindi non ci sono limiti che possano fermarti. Questo mi ha portato a non arrendermi agli infortuni perché, sapendo di essere arrivato sin lassù, non avrei voluto mai rimanere là sotto. Chiaramente un grande peso lo hanno avuto anche le persone che mi sono state vicine e mi hanno consentito di provare grandi emozioni senza mai abbandonarmi nei momenti più bui.
Una delle ultime grandi “scalate” l’ha compiuta nel 2022 quando, nel giro di un anno, è riuscito ad arrivare sul podio di Wengen. Questa voglia di rifarsi l’ha portata lì?
Il 2022 è arrivato un podio importante sei anni dopo essermi rotto il ginocchio e dopo tre veramente faticosi. Pian piano sono rientrato al top e salire fin lassù. A quel punto un podio di questo genere ripaga tutti i sacrifici, capisci perché li hai fatti e perché ne è valsa la pena di rientrare dopo un infortunio.
A Pechino è mancata la medaglia olimpica per poco più di due decimi. C’è più rammarico per quel risultato mancato o per certe vittorie sfuggite a causa di un’inforcata?
Un po’ di dispiacere c’è per la medaglia mancata e probabilmente è quella più grande, anche perché tornare dodici anni dopo sul podio olimpico sarebbe stata la chiusura di un cerchio. Il rammarico c’è, ma non mi sono mai fermato a guardare troppo. Altre volte ho perso la vittoria quando l’avevo già in mano, ma fa parte dello sport, si vince, si perde, si cresce, si lotta. A volte si sfiora il risultato e rimane la delusione, ma in realtà è anche quella un’emozione. Io ho mancato una medaglia per poco, ma mi sono portato dietro un’emozione incredibile. Ho rischiato di vincere a Kitzbuehel, ma sono uscito quando mancavano due porte. Sono stato male per qualche giorno, ma è un momento che non dimenticherò mai. Ovviamente sono meglio le emozioni positive, ma queste rimangono comunque emozioni che non è detto si ricordino poi negativamente.
Il legame con le Olimpiadi è nato nel 2006 quando ha fatto l’apripista a Torino ottenendo il terzo tempo, qualora fosse stato in gara. Quel giorno ha capito che avrebbe potuto un giorno vincere l’oro?
Quel giorno era presto perché, se è vero che ho fatto segnare quel tempo, un conto è scendere come apripista con la pista intonsa, un conto è gareggiare con il graduale peggioramento delle condizioni. Quell’esperienza mi ha fatto capire che non ero così lontano a parità di pista, ma che il percorso sarebbe stato comunque ancora lungo. Non pensavo di essere in grado di vincere le Olimpiadi, quello l’ho compreso nel corso degli anni, quando ho iniziato a competere con i migliori.

A Vancouver ha conquistato l’unico oro della spedizione azzurra, peraltro all’ultimo giorno di gare. Non sentiva la pressione di dover per forza centrare il risultato?
La pressione era enorme, visto che i giornalisti ci tenevano a farmi sapere che in Italia erano molto delusi per l’assenza di ori e che le aspettative erano tutte su di me. A raccogliere la pressione che c’era in giro, ci sarebbe stati da diventare matti. Fortunatamente sono riuscito a isolarmi nella prestazione e non pensare a quanto ci fosse intorno, mi ha permesso di esprimermi al meglio e vincere. Se solo mi fossi fatto condizionare dal contorno, sarei morto sotto le aspettative degli altri.
C’è qualcuno in Italia che potrebbe un giorno emularla?
Ora come ora la squadra è un po’ stretta perché esiste una squadra B che deve ancora affacciarsi alla Coppa del Mondo con dei risultati. Manca loro ancora un gradino per essere competitivi e mi auguro che un giorno lo possano scalare. Non abbiamo molte frecce al nostro arco, ma qualcosa di molto buono c’è, da Alex Vinatzer che ha dimostrato nei momenti di forma di esser molto competitivo e quindi una chance per raggiungere una medaglia importante ce l’ha. Oltre a lui c’è Tommaso Sala che ha ancora il guizzo, gli manca solo di mettere la marcia in più per ottenere altri risultati. Ci sono un po’ di giovani che sono appena arrivati come Tobias Kastlunger, motivo per cui dobbiamo ancora vedere cosa possano fare. Mancano ancora due anni alle Olimpiadi per cui abbiamo tempo di capire chi possa giocarsi qualcosa di importante.
Quale sarà la nuova vita di Giuliano Razzoli?
Insieme al centro d’addestramento del Centro Sportivo Esercito stiamo valutando cosa fare. Nella vita sono sempre riuscito a dar un buon esempio ai giovani e per questo stiamo pensando a un ruolo che mi consenta di far fruttare la mia lunga esperienza.