Molte interviste sui media, molte promesse e soprattutto molti auto-complimenti per la prima storica Ryder Cup organizzata – meritevolmente – in Italia. Così, dopo 21 anni, Franco Chimenti – tuttora l’unico dirigente del golf capace di raddrizzare la rotta anche in extremis – rilancerà la candidatura a presidente della FIG nel nome di uno sport che però proprio non riesce a diventare popolare, a svincolarsi dal super potere dei grandi circoli storici e del nord Italia, e ad elevarsi a livello europeo, a dispetto delle enormi potenzialità turistico-economiche e della massiccia copertura tv. E, dopo tanti eclatanti acuti a singhiozzo – mai cavalcati dalla promozione, dalle idee, dai progetti -, adesso ci sono anche 9 azzurri-record al via del tour europeo 2024 (oggi DP World Tour): Francesco ed Edoardo Molinari, Guido Migliozzi, Matteo Manassero, Lorenzo Scalise, Andrea Pavan e Francesco Laporta, Filippo Celli e Renato Paratore. I 100mila tesserati (94.046, secondo i dati ufficiali, dopo il picco di 101.817 del 2011) restano una chimera, come il più facile accesso a uno sport sempre troppo costoso, il tesseramento libero è stata una chimera, mentre la tessera federale a 100 euro è più che reale. Da appassionati abbiamo quindi pensato di scrivere una letterina a Babbo Natale e ci siamo affidati a un amico del golf di cui il golf avrebbe tanto bisogno, Donato Di Ponziano.
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Ma sì, ho deciso che sulla scia del clima natalizio voglio inviare a Babbo Natale una letterina con la richiesta di un regalo speciale per il golf italiano.
Di motivi ce ne sarebbero proprio tanti. Lui certamente è a conoscenza che si sia giocata la Ryder Cup in Italia dove tutti parlavano inglese. Erano sopratutto di origine anglosassone le decine di migliaia di spettatori intervenuti; erano inglesi la maggior parte delle società che si sono occupate di realizzare gli impianti; erano inglesi con sede in Olanda ( lascio immaginare a voi il motivo) la maggior parte di coloro che gestivano i corner commerciali, persino quelli che vendevano i panini con la porchetta e i gelati usavano google traduttore per rispondere alle poche richieste italiane. L’unica cosa facilmente comprensibile a tutti è stato quanto fosse caro tutto, dal biglietto di ingresso venduto a dieci volte di più rispetto al prezzo di qualsiasi altro evento sportivo, al prezzo di un panino alla modica cifra di dodici euro, ad una polo logata a 180 euro, per arrivare ad un caffè a 5 euro, alla faccia del golf che avrebbe dovuto sfruttare l’occasione per aprirsi al popolo italiano !
Tutto bellissimo per carità, ma l’occasione del golf per tutti non è stata certamente quello della Ryder.
Erano soprattutto inglesi coloro che coordinavano, facevano, comandavano eccetera, quindi soprattutto agli inglesi debbono andare i nostri complimenti per la riuscita organizzativa ( in termini di numeri) dell’evento e per tutto quello che sono riusciti a portare a casa con i soldi degli italiani.
Mai visto un dispiegamento di forze dell’ordine così importante: Carabinieri, Polizia locale, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Elicotteri, Unità cinofile, Forze speciali antiterrorismo e Artificieri. Sicuramente abbiamo fatto bella figura con gli stranieri, certamente la sicurezza era necessaria per un evento così importante ed è stata ampiamente garantita, ma senza ipocrisia, è legittimo chiedersi quanto ci sia costato il tutto rispetto alla finalità mai raggiunta della crescita del numero dei golfisti italiani ! La Ryder Cup, a considerarla oggi, dopo mesi dalla sua conclusione e nonostante l’immenso dispendio di energie, ha purtroppo lasciato sul campo pochi risultati significativi a favore dei numeri del nostro movimento golfistico e dei nostri campi da golf.
A parte quelli non trascurabili per il Marco Simone Golf Club con l’aumento del suo valore commerciale, a parte qualche migliaio di green fees venduti in più dai circoli romani durante la settimana dell’evento, non ci sono stati e al momento non vi sono apprezzabili effetti di sostanza.
E’ decisamente troppo poco considerando gli oltre 160 milioni di euro di investimento ( circa 4 volte di più di quanto sia costata l’edizione francese) che gli italiani hanno speso per poter ospitare l’evento. Sportivamente parlando sono state sicuramente tre giornate di grandissimo valore tecnico-golfisitico, durante le quali l’Italia ha dato il meglio di sé per far conoscere al mondo quanto fosse bella, semmai ce ne fosse stato ancora bisogno.
Poi ha vinto sicuramente la bravura politica del Prof. Franco Chimenti, presidente della FIG, che è stato capace di inserire l’evento golfistico più importante al mondo all’interno della cornice dello sport italiano.
Un vero azzardo da grande giocatore, un challenge quasi impossibile portato a casa brillantemente, un impegno straordinario che aveva lo scopo di provare a spiegare all’Italia come il golf fosse una cosa importante, per farlo capire a chi nel Paese non conoscesse il nostro sport, cioè praticamente tutti meno qualche poche decine di migliaia di appassionati, che sono pure diminuiti negli ultimi anni.
Che fosse uno strumento per generare revenue turistico già lo sapevamo, speravamo però che attraverso la più prestigiosa kermesse golfistica del pianeta si riuscissero a creare nuovi adept. In Italia, così non è stato.
Purtroppo, chi da poco più di un lustro fa, arrivato da fuori il golf, con indosso il cappello del grande esperto e che a gran voce dichiarò di riuscire a garantire in poco tempo la moltiplicazione almeno per tre dei tesserati golfisti italiani e l’aumento esponenziale dei giovani che avrebbero iniziato a giocare a golf, non è riuscito a raggiungere gli obbiettivi. Ci saranno da considerare pure delle attenuanti generiche poiché la “mission” non era sicuramente facile, il mercato è complicato, ci saranno stati pure dei motivi ostativi, ma i risultati non si sono visti e qui non ci piove; col senno del poi forse sarebbe stato meglio prenderla un po’ più bassa.
Sta di fatto che, come nel gioco del Monopoli, abbiamo invece estratto la “carta degli imprevisti “ che ci ha fatti ritornare al Via. Quanti proclami e quante dichiarazioni di risultati strabilianti si sono sprecati in questi anni! Abbiamo passato anche noi il COVID che per la maggior parte dei Paesi inseriti nel mercato del golf mondiale ha significato una crescita, mentre per noi invece ha voluto dire sofferenza e chiusura. Non si è intervenuti per realizzare un programma per la promozione giovanile che potesse essere considerato tale, provate ad entrare in un club e vi renderete conto di quanto il parterre dei soci abbia perlopiù i capelli bianchi.
Nel 2018 Francesco Molinari vinse l’Open Championship, fu un risultato titanico, al di là di ogni aspettativa possibile, un italiano, un fenomeno era riuscito ad emergere su tutti, pur proveniente da un bacino di praticanti che nelle analisi internazionali del mercato del golf viene indicato senza nome, cioè come “Others”. E’ stato un evento storico passato praticamente in sordina, comunicato come se fosse una vittoria da albero della cuccagna, mal sfruttato in termini di marketing per il golf e se vogliamo manco sufficientemente valorizzato tra noi appassionati; immaginate cosa avrebbe voluto dire in Italia se un tennista italiano avesse vinto Wimbledon, la vittoria di Chicco ha almeno lo stesso valore sportivo, un risultato storico e chissà quanti anni ancora il golf italiano dovrà attendere per vedere ancora uno dei nostri con la Clare Jug in mano!
D’altronde, nel tempo, c’eravamo già fortunatamente imbattuti in qualche altro miracolo su cui costruire un po’ di immagine e promozione golfistica nazionale: prima grazie ai successi di Costantino Rocca, poi a quelli di Matteo Manassero, ma di nuovo le occasioni sono state sprecate. Dopo oltre cento anni di tentativi e carpiati mica da ridere, eravamo arrivati a raggiungere il famoso zoccolo duro dei centomila tesserati, intendiamoci i nostri tesserati non sono sempre dei veri giocatori perché per comodità contiamo anche coloro che diventano soci di un golf club per usufruire della piscina o della sala carte; abbiamo comunque fatto “feste” con dichiarazioni di risultati fenomenali urlati pure a gran voce. Oggi, pur tesserando anche coloro che per una sola volta sfiorano un bastone da golf, siamo nuovamente scesi in cantina del nostro minuscolo caseggiato.
C’era una volta la Scuola Nazionale di Golf, per oltre trent’anni ha rappresentato un riferimento di carattere tecnico per la formazione e l’aggiornamento dei professionisti di golf italiani. Con un colpo di reni pazzesco eravamo riusciti ad essere considerati tecnicamente tra i paesi golfisticamente più sviluppati, come il Regno Unito, la Francia e la Svezia.
Cosa veramente rimanga oggi di questa straordinaria istituzione invidiata e copiata da tanti Paesi nel mondo, cosa rimanga dei quarant’anni di lavoro e sacrifici che le sono stati dedicati non si sa, certo nel tempo il suo carisma è andato a farsi friggere come la sua considerazione a livello europeo, basti visitare il Golf Nazionale a Sutri e vedere come sia conciata la sua sede per capire la sua odierna capacità di incidere sullo sviluppo del golf italiano. Anche qui ci sarebbe tanto da recuperare.
Il golf italiano è anche proprietario di uno dei più bei campi da golf in Europa, il Golf Club “Le Querce”, oggi Golf Nazionale. Un tracciato dove nel lontano 1991 si giocò la Coppa del Mondo con la partecipazione dei più forti giocatori al mondo. E’ incredibile come, in oltre 30 anni di vita, nessuno di coloro che hanno governato il golf italiano, abbia mai scelto di farci giocare anche una sola edizione dell’Open d’Italia, di onorarlo sotto l’aspetto sportivo! Una cosa inverosimile, quando nel tempo si sono scelte location decisamente meno importanti e meno valide sotto l’aspetto tecnico. Ci stava persino che la Federazione decidesse di far giocare a casa propria la grande Ryder Cup, certo il Golf Nazionale non avrebbe offerto meno del Marco Simone in termini di qualità o di logistica, certo gli investimenti economici sarebbero rimasti all’interno di “casa”, ma così purtroppo non è andata. C’è chi dice che gli “inglesi” non lo abbiano voluto, cioè non lo avrebbero permesso a casa nostra? Gli “inglesi” hanno invece più volte modestamente risposto che non si sarebbero mai sognati di imporsi. Poca importa oggi dove sia la verità, sta di fatto che il Golf Nazionale, dopo tanti anni di vita, è ancora in attesa di qualche medaglia significativa che pure dovrebbe essere facile ricevere dalla propria famiglia.
Nel tempo sono abortite anche tutte le iniziative per far conoscere il golf all’interno delle scuole italiane. Nel setaccio delle decine di programmi di promozione, è rimasto praticamente nulla, o troppo poco per guardare avanti con una certa positività. Rimangono per gioire i risultati sportivi che continuiamo a conquistare con i nostri atleti dilettanti e professionisti. Il nostro stellone italico funziona sempre, ma in verità già aveva funzionato nel lontano passato con le vittorie in Europa di Aldo Casera, Alfonso Angelini e Ugo Grappasonni; già aveva funzionato con i successi di Roberto Bernardini, Baldovino Dassù e Massimo Mannelli, poi è arrivato Costantino Rocca, Matteo Manassero e i due fratelli Molinari. Questa è storia, peraltro una storia di eccellenze di cui si legge troppo poco, manco si ricordano nei momenti sportivi più importanti, manco siamo riusciti a vantarcene sfruttando una vetrina mondiale come la Ryder Cup.
L’unica soluzione per la promozione del golf in Italia era e rimane la nascita di campi pratica facilmente accessibili a tutti. Lo è stata in Francia dove negli ultimi dieci anni ne sono stati costruiti oltre cento. Non ci sono segreti, c’è tanto ovvio ma sembrerebbe che quest’ultimo piaccia poco e soprattutto non faccia tanta immagine politica. Certamente adesso ci vorrebbero i soldi e forse ora sono anche finiti, ma solo con l’esistenza di strutture a buon mercato il golf potrà crescere. Nessun segreto. Dovremmo continuare a contare sull’allineamento favorevole dei pianeti o “L’è tutto da rifare” come diceva il grandissimo Gino Bartali? Babbo Natale pensaci tu.
Donato di Ponziano (foto in alto di Claudio Scaccini)
Donato Di Ponziano è uno dei professionisti di golf italiani più conosciuti a livello internazionale. Per 30 anni ha diretto la Scuola Nazionale dei professionisti della Federazione Italiana Golf; è stato il presidente della PGA europea (Associazione europea dei professionisti); già Presidente dell’Open d’Italia maschile, femminile e senior. Nel 2017 si è aggiudicato il prestigioso Christer Lindberg Bowl. Talent di Sky Sport e membro del board della Ryder Cup, è Hall of Fame della PGA Italiana, brand Ambassador di BMW, Golf Development Manager del Verdura Resort- Rocco Forte Hotels e componente il Missionary Panel di St. Andrews. Socio onorario della PGA italiana, francese, svizzera, indiana e pakistana, ha scritto “La chiave del golf moderno”, “Alla ricerca del tuo swing migliore” e “Un tee shot lungo una vita”.