Elegante in pista, elegante fuori. Se c’è una caratteristica che non cambia nella vita di Carolina Kostner è la capacità di risultare aggraziata nei movimenti, nel modo di fare, nel modo di vestirsi, tutte qualità che si possono apprezzare adesso quando appare, nella sua nuova veste di allenatrice, nel “kiss and cry” delle manifestazioni di pattinaggio artistico su ghiaccio, come i recenti Mondiali di Boston, al fianco del “suo” atleta, il giapponese Yuma Kagiyama, medaglia di bronzo nel singolo Uomini. E il bello è che in questo nuovo ruolo è entrata “per caso”, perché non era stato programmato, almeno con questa tempistica. Sta di fatto che, lanciatasi in questa nuova avventura, dopo i successi in pista (un bronzo olimpico, un oro, 2 argenti e tre bronzi mondiali, più tanti altri podi), si è trovata subito a suo agio.
E lei spiega come è avvenuto questo “cambio in corsa” dei suoi progetti per la vita dopo essere stata atleta. “In realtà non avevo pianificato di entrare così a gamba tesa nel fare l’allenatore. Avevo in mente di continuare a pattinare per me stessa, di avere anche un po’ di tempo per me, magari di fare una famiglia, di fare un po’ di vita normale. Ovviamente, quando Yuma mi ha chiesto di entrare nel suo staff tecnico sono rimasta sorpresa e non sono riuscita a dire di no. Sono quei momenti in cui passa il treno, o sali o parte. E io ho deciso di accettare la sfida. Poi, piano piano, uno si abitua. Io dico che è un mestiere che va imparato, che io sia stata una bravissima atleta non significa automaticamente che possa diventare una brava allenatrice. Molto in questo ruolo arriva anche con l’esperienza. Grazie a questa esperienza insieme a Yuma, affiancando il suo allenatore e la coreografa, imparo immensamente. Perché magari io, da atleta, gestivo la gara in un modo, Yuma in un modo completamente diverso e adesso posso leggere un po’ fra le righe il lavoro dell’atleta, e poi, da allenatore, guardarlo negli occhi e dirgli: “Aspetta, oggi fai questo, domani quest’altro”.
A Boston si è avuta un’altra riprova dei progressi di Kagiyama che si distingue dallo stile di altri giapponesi per la scelta di non ricorrere a un pattinaggio “muscolare”, ma di sciogliersi in un’azione più armoniosa ed elegante, caratteristica che già era stata portata ai massimi livelli da un altro giapponese, Yuzuru Hanyu, capace di fare salti quadrupli e allo stesso tempo di esaltare la parte artistica in maniera unica. Ed è evidente, nella scelta di Kagiyama, l’influsso della Kostner, che parla non solo di lui, ma anche del pattinaggio artistico in generale, delle nuove tendenze, delle scelte che possono indirizzarlo verso un futuro migliore.
Si comincia quindi con Kagiyama e sull’apporto che Carolina Kostner gli ha dato nei suoi nuovi programmi, più morbidi, eleganti e con scelte non scontate.
“Sarebbe troppo prendermi il merito, però ci stiamo lavorando. A volte, ci vuole un po’ di calore italiano, essere un po’ estroversi. Io non sono una persona particolarmente estroversa, però noi italiani abbiamo un modo diverso di vedere le cose, di vedere l’arte e questo tento in qualche modo di farlo inserire nel modo che ha Yuma di pattinare”.
I risultati si vedono perché, nel Corto ai Mondiali, Kagiyama è arrivato a soli 3 punti dallo statunitense Malinin che si caratterizza invece per i salti quadrupli e non per una elevatissima qualità artistica, Tant’è che, nel Libero, Malinin non aveva programmato il quadruplo Axel, per il timore di sbagliare e concedere la possibilità del sorpasso a un pericoloso Kagiyama, e poi lo ha fatto soltanto perché, avendo Kagiyama fatto qualche errore di troppo nel suo Libero e non potendo più superarlo, ha potuto affrontare questo salto estremo con più tranquillità. Ma resta la sensazione che il giapponese allenato dalla Kostner sia più vicino di quanto si pensi al dominatore di queste ultime stagioni.
“Esatto. Ognuno strategicamente prende le decisioni su come affrontare le difficoltà comparando la qualità dei salti, i gradi di esecuzione, i components. Ognuno fa le sue valutazioni e noi, vedendo in allenamento quanto era stabile su un salto piuttosto che su un altro, abbiamo deciso di puntare su una cosa pulita e di grande impatto. Ed è stato bellissimo vedere Malinin che pattina benissimo e poi avere una risposta da Yuma, anche per il pubblico”.
Passiamo alle Donne. Senza la Russia, negli ultimi quattro anni, il livello tecnico è tornato indietro di molti anni. La questione sulla superiorità della difficoltà dei salti o su quella della parte artistica non finisce mai, ma è chiaro che quando le russe torneranno, si dovranno comunque fare i conti con avversarie in gradi di fare salti quadrupli e diventare irraggiungibili nei punteggi.
“Siamo sportivi, c’è sempre la voglia di andare oltre i limiti, di portare avanti tecnicamente lo sport. Io spero che nel portare avanti la tecnica non vada persa la parte artistica che piace tanto. Quando non dovevo seguire Yuma, ero seduta in tribuna e sentivo che gli spettatori apprezzano i salti, perché riconoscono la difficoltà dell’elemento, come una scivolata, un bell’arabesque, si sentiva la reazione ammirata del pubblico. Spero vivamente che spingersi ai limiti non riguardi solo la tecnica ma anche l’arte, che si tenti di migliorare tutte e due le cose, che ci sia armonia. Dobbiamo riconoscere la difficoltà immensa di certi salti, perché fare un quadruplo per noi umani normali è inimmaginabile, per riuscire in poco più di mezzo secondo (è stato calcolato in 6 decimi il tempo del quadruplo, ndr), di fare quattro giri in aria e atterrare su un piede come se niente fosse. E dobbiamo anche non far andar persa la personalità di queste ragazze, che comunque abbiano la possibilità, ognuna con il suo stile, di esprimere la tecnica e l’arte. Come Malinin che sta andando nella sua direzione e Kagiyama che sta andando nella sua, è bello vedere le rivalità di atleti che però si rispettano. Proprio Malinin e Kagiyama, dietro le quinte, si sono scambiati un “in bocca al lupo”, perché vanno oltre la competizione l’amore per questo sport e lo spingere verso i limiti che questi ragazzi stanno realizzando”.
Le russe sono state accusate di pensare soltanto ai salti, agli elementi difficilissimi. Però, a ben guardare, il “blocco russo” non è compatto come viene presentato da un’osservazione superficiale. Per una Trusova estrema nei salti e meno brava nella parte artistica, c’è una Shscherbakova molto elegante e capace anche dei quadrupli, ma senza esasperarli, e una Petrosyan che si mostra più completa, come lo era la Valieva. Insomma, si colgono le differenze. Forse è meglio ripartire da lì per comprendere nel modo giusto l’evoluzione del pattinaggio artistico.
“Credo che non si possa generalizzare mai, perché per un atleta essere “unico” non deve consistere tanto sul fatto di saper realizzare qualcosa che un altro atleta non fa, che sia un salto o l’interpretazione di un elemento artistico, ma nell’esprimere la propria personalità, farla venire fuori, combinando il tutto con la musica che uno sceglie, più moderna, o più veloce, o più divertente. A Boston, per esempio, Jason Brown ha scelto un tema classico (Spiegel im Spiegel, del moderno compositore estone Arvo Paerte, esponente della corrente denominata “Minimalismo sacro”, una musica delicatissima, ndr) e la reazione del pubblico è stata di silenzio assoluto. Io do il massimo valore sia al grido del pubblico che al silenzio assoluto perché sono i due estremi che solo un pattinatore bravo, bravo, bravo, riesce a creare. Io spero che si prenda il tempo di dare unicità ai pattinatori”.
La diversità è arricchimento e nello sport lo si può constatare in maniera ancora più chiara. Prendiamo il Bolero di Ravel, che ha dato origine a tante versioni e tutte differenti, nello stile, nella tecnica e nell’interpretazione, a cominciare dai britannici Jayne Torvill e Christopher Dean nella Danza, agli Uomini col russo Evgenij Pljuscenko, il giapponese Shoma Uno e il francese Kevin Aymoz, alle Donne con la stessa Kostner, la giapponese Mana Kawabe e le russe Adelina Sotnikova, Elizaveta Tuktamysheva, Kamila Valieva. Tutti diversi e, in particolare, diverse anche le versioni delle russe, a riprova di una “non omologazione” all’interno della stessa nazione e quindi di una ricchezza anche lì dove non sembra apparire.
“Penso di sì. Ovviamente la tecnica è molto simile, o anche il modo in cui pattinano, quindi si tende subito a non vedere la differenza. Ma loro pattinano insieme e succede che lo stile si tramanda anche ai giovani. Mi auguro che ci sia sempre più attenzione ai particolari, anche se mi rendo conto che il tempo è poco per pensare a tutti questi particolari, perché il nostro sport è così vasto e tante le cose che devi allenare. Per esempio, nella corsa in atletica il gesto tecnico è quello, magari con alcune sfumature, ma si corre in quel modo. Nel pattinaggio, noi magari troviamo una coreografia e l’anno dopo ne troviamo una completamente diversa, anche perché è richiesto per regolamento che non sia sempre la stessa, quindi sei continuamente tenuto a imparare meccanismi e automatismi anche muscolari nuovi. Il tempo che si ha a disposizione per creare l’automatismo è poco, io creo un programma a maggio e vado in gara a settembre, sono pochi mesi, manca sempre il tempo. Io spero sempre che si possa dedicare attenzione, non dico 50 e 50, ma facciamo un 60 e 40, ai dettagli tecnici, come anche a quelli sulla rifinitura della postura, della gamba se è tesa, se il piede è girato all’indentro. Sono piccole cose che, per esempio, nel balletto in teatro non sono scusabili, vieni scartata subito. Da noi, se fai il quadruplo, allora è un po’ più accettato che ci sia una leggera imperfezione. Lo si accetta perché è uno sport e quindi io valuto questo e valuto quest’altro, ma spero che si abbia la pazienza di essere anche un po’ più ossessivi in questi dettagli che rendono il tutto un po’ più magico”.
Una pattinatrice che appare in grado di interpretare il pattinaggio in questo modo “paritario” fra bravura tecnica e armonia è la statunitense Isabeau Levito. Cosa ne pensa?
“E’ una delle pattinatrici al momento più eleganti, si vede dal portamento e poi, io che la conosco un po’ meglio dietro le quinte, è anche un bel peperino e spero che in futuro possa anche mostrare quel lato della personalità, perché è autoironica, è abbastanza estroversa. Noi la vediamo eterea, bella, ma ha molte sfaccettature che la rendono una pattinatrice molto interessante, molto bella, molto artistica. E’ stata un po’ sfortunata con qualche infortunio che l’ha frenata quando stava già realizzando un triplo Axel e un quadruplo Toeloop, ma purtroppo il volume di allenamento che comporta un quadruplo o un triplo fa aumentare anche il pericolo di sovraccarico e di infortuni. Il fisico si deve piano piano anche adattare, fortificare per riuscire ad allenare le difficoltà”.
In Italia c’è la giovane Anna Pezzetta che sembra avere il potenziale giusto per eseguire i salti più difficili e, magari, per arrivare ai livelli più alti.
“Che abbia salti strepitosi non è una cosa nuova, lo sappiamo da un paio d’anni e quest’anno lo ha dimostrato in più occasioni a livello internazionale, ma noi dell’ambiente lo sappiamo e ne siamo molto orgogliosi. Io le darei tempo perché poi l’evoluzione di un’atleta non è sempre uguale. Al mio terzo mondiale ho vinto una medaglia, per l’oro ci ho messo poi dieci anni. E’ una evoluzione che noi magari ci aspettiamo che venga subito, perché in allenamento lo vediamo il potenziale, ma non bisogna affrettare. Diamole tempo. Mia madre diceva sempre: la mela casca quando è matura”.
Dell’esperienza in Giappone e dell’offerta di Yuma Kagiyama che non ha potuto rifiutare abbiamo detto. E in Italia?
“In effetti, ci lavoro già. Io dietro le quinte seguo maggiormente i ragazzi delle Fiamme Azzurre, in modo non diretto perché loro hanno il loro team. In Federazione sanno che io sono a disposizione, a giugno probabilmente sarò insieme alla nazionale juniores a Varese”.
Ma al servizio dell’Italia in maniera più consistente?
“Io ho rapporti buonissimi con tutti, spero che lo pensino anche i ragazzi. Con Lara Naki Gutmann mi sento via messaggio, ci mandiamo gli audio. Spero che sappiano, e lo ripeto, io sono a disposizione e mi possono chiamare quando vogliono. Anni dopo aver fatto l’Olimpiade a Torino, pensando a quello che mi sarebbe potuto servire durante una gara così importante in casa, mi dico sempre: forse se ci fosse stato qualcuno che avesse già prima di me cavalcato quell’esperienza, che magari mi avesse detto “guarda, è così”, io forse ci avrei creduto forse di più, forse anche no, non lo so, però forse mi avrebbe aiutato. Quindi, credo un po’ che sia anche questa una mia missione, non tanto l’allenatore che sta lì tutti i giorni, ma più che altro una figura che ha fatto tante esperienze, ne ha vissute di cotte e di crude e che eventualmente può essere la persona tra l’allenatore e l’atleta. E’ una figura che, in realtà, non esiste da noi, che non ha nome, ma non sarebbe la prima volta andare su una strada che è abbastanza nuova. Vedremo quello che il futuro mi porterà. Sono molto emozionata per l’anno che viene, soprattutto perché ci sarà l’Olimpiade a Milano”.
Ci sarà, naturalmente, con Kagiyama. Ma qualcosa in più? A Torino, nella cerimonia inaugurale, campioni italiani di vari sport portarono in sfilata la bandiera olimpica. Se sarà lo stesso a Milano, ci potrebbe essere un posto per Carolina Kostner? “Sarebbe un bellissimo sogno avere quell’onore”.
Foto copyright: ©International Skating Union (ISU)