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Pallavolo

Zlatanov, il Lord di Bulgaria

Da Carlo Gobbi 09/04/2018

Nella pallavolo di oggi chi dice Zlatanov dice Hristo. Ma il papà dello schiacciatore azzurro, Dimitar, è stato un grande: ha partecipato a tre Olimpiadi, ha vinto sette scudetti in patria e uno in Italia, mentre lo scorso anno è entrato nella Hall of Fame

Zlatanov. Un nome importante nella pallavolo. Bulgara prima. Oggi italiana. I ragazzi degli anni duemila conoscono Hristo (Izko per gli amici e i supporter, piacentini e non), schiacciatore della Copra Piacenza e, grazie Andrea Anastasi che hai provveduto, della nazionale. Quelli degli anni anta, che magari hanno qualche capello bianco oggi insieme a un pizzico di pancetta, si ricordano ancora di quell’altro Zlatanov, Dimitar. Zlatanov figlio pare avere oscurato la fama di Zlatanov padre. Attenzione: pare. Perché lui, Dimitar (un deprecabile errore di battitura ha trasformato per anni il suo nome in Dimiter, con la lettera E, sbagliatissimo, proto, correggi) è stato un grande di quel volley che oggi insistiamo a definire “dei pionieri”.
Difficile, meglio impossibile, ma anche inutile, fare paragoni. I classici: “il figlio ha superato il padre”, o anche “l’allievo è più bravo del maestro”, in questo contesto non si può fare. Perché il papà, chiamiamolo Zlatone, ha giocato in altra epoca, tra gli anni Settanta e Ottanta, ed era centrale. Mentre il figlio, chiamiamolo Zlatino, un colosso di 202 cm che spara bordate da artiglieria, è un martellone da posto quattro. Così, niente paragoni. Sarebbero indigesti.
Però Zlatino oggi è popolarissimo presso le giovani fan. Anche se Chiara ha vinto la gara (rimetta gratuita, al solito) bruciando sul tempo (e sulla pazienza) tutte le antagoniste e regalandogli prima Mia e da poco anche Manuel.
Mentre Zlatone, e chi mai se lo ricorda? Non è giusto, ragazzi, credete. Perché Dimitar Zlatanov è stato uno dei più grandi giocatori di quell’epoca. Non ci credete? In ottobre, insieme a capitan Andrea Gardini, questo sì lo ricordate vero, non deludeteci, è stato a Holyoke, Massachussets (ma quante esse), città che ha dato i natali al volley. Gita sociale? Macché. Lui è entrato con il Gardo nella Hall of Fame della pallavolo mondiale. Un grande onore che non capita a tutti. Ma a pochi e selezionati. E che Zlatino, per adesso, si sogna soltanto. Ma non basta. Doug Beal, il santone che ha imposto una sterzata a questo sport sul campo a metà degli anni ottanta, ha pronunciato 30’ di preziosità impagabili sul conto di questo super-campione. Se si scomoda Doug Beal, allora è da prendere sul serio. Anche se Zlatone si è quasi vergognato di una presentazione così ridondante di aggettivi e di complimenti.
Perché lui, Dimitar Zlatanov, è un grande anche e soprattutto per modestia, educazione, stile, correttezza. In tanti anni, non l’abbiamo mai visto adirato o anche per un attimo semplicemente contrariato. Più che un bulgaro sembra un lord inglese con l’aplombe del gentiluomo e il fisico di un corazziere. E non è un complimento. Provate ad avvicinarlo.
Ma cos’ha fatto questo Zlatone? In carriera, dodici anni ad altissimo livello. Ha vinto ad esempio quello che il figlio Zlatino ancora non è riuscito ad acciuffare. Lo scudetto. Sì, ma dove, in Bulgaria? Certo, anche lì: sette, bastano? E con il Cska Sofia, la squadra dell’Armata Rossa, cioè dell’Esercito, ha conquistato anche una Coppa Campioni (l’attuale Champions League) nel 1969 e una Coppa Coppe nel 1976 (terza la Klippan Torino). Altolà: un titolo l’ha vinto anche in Italia. Era il 1980-81, sua prima stagione tra noi. Sul podio con la Robedikappa (ex Klippan, per capirci). Zlatino, per adesso, insegue. Sogni di gloria. E nella sua seconda stagione italiana, secondo posto dietro al Santal Parma. Un evento storico quello: fu il primo campionato concluso con i play off. E la squadra torinese cedette lo scettro in una infuocata finale al palazzo della Vela. Il Ruffini? Indisponibile.
Ma non si ferma qui. Zlatone è stato un grande anche in campo mondiale. Sennò, come facevano gli americani a iscriverlo alla Hall of Fame? Tre Olimpiadi, i Mondiali (5° posto in Argentina, a Rosario nel 1982), gli Europei. Lo ricordiamo in una fantastica finale olimpica, a Mosca 1980, soccombere 3-1 all’Urss di Zaitsev e Savin. Dietro allo squadrone che poi dominò il globo sottorete per quasi un decennio, ecco la Bulgaria di Zlatanov e Simeonov padre.
Nella carriera di Zlatone, anche un’ombra. Una partita entrata nel Guinness (non la birra…!). Mondiali 1970, in casa. Finale a Sofia con la Germania Est. Apoteosi. Invece, no. Una squadra di piccolotti, non tanto alti: Shultz, Schneider, Webner, Schumann, spalle alla Andrea Lucchetta un po’ cascanti, Freiwald, Pietzsch e chi se li ricorda più? Bulgaria avanti 13-5 al 5° set (il tie break ante litteram, cioè, venne molto dopo con l’imperatore Ruben Acosta). Si può perdere? Si può. Infatti ai tedescotti riuscì l’incredibile impresa. Ci fu la rimonta. Gianni Mura, unico giornalista italiano presente, allora per la Gazza, ne fu buon testimone. E Zlatone fallì il suo unico titolo mondiale. Un abbonato all’argento del secondo posto, direte voi. Non si può sempre vincere. Ma lui, ecco il vero lord, ne parla con distacco, a tanti anni di distanza, senza spocchia, né amarezze, né rancore. Un vero signore. Appunto.
In quegli anni, dove il centrale non era ancora costretto dal nuovo regolamento a sedersi in panca nel giro dietro sostituito dal libero, era un gran bel ruolo. Zlatone lo ricorda con nostalgia. «Ho fatto anche lo schiacciatore, ma preferivo giocare al centro. Un ruolo completo: attaccavo, muravo, ma dietro ricevevo, difendevo e schiacciavo dalla seconda linea». Detto così sembra semplice. L’ultimo grande erede di Zlatanov padre, per capirci, è stato Bas Van de Goor, l’olandesone di Modena e Treviso, che dalla seconda linea scaraventava missili sul taraflex. Ma Zlatone era il più completo di tutti. Bravo? Sì, ma per la tecnica perfetta. E sapete come se l’è procurata? Contro il muro. Un esercizio che ai nostri tempi era basilare, condotto fino allo sfinimento o al rimbambimento. Ma serviva, eccome. E lui dice ancora grazie. A chi? All’Esercito. Già, proprio in un paese, il nostro, che ha bandito la leva obbligatoria (e ci stiamo già accorgendo dei danni, e non solo per gli Alpini), ecco l’esempio. Che fa bene. Provare per credere. Zlatone, nativo di Htiman, 50 km a sud di Sofia, 60 anni il prossimo 11 novembre, dopo le superiori entra diciottenne, nel 1966, nell’Armata Rossa, il Cska. Come tutti i giovani. Scelto per fare sport, si dedica per due anni a basket, pallavolo, atletica, nella rigorosa scuola sportiva Ciavdar. Quattro i posti, 44 i candidati. Lui è il primo. Poi preferisce il volley. Fra i suoi allenatori, Slavko Jovcev, il primo, e Todor Simov, poi cittì della Bulgaria. Rimarrà nell’Esercito, fino al grado di Colonello. Ma lo diventerà per meriti sportivi. Gli stessi per i quali otterrà l’Ordine della Bandiera Rossa, il massimo per gli atleti bulgari. E il permesso, dopo i 30 anni, di emigrare all’estero. Cioè dopo avere servito la Patria. Nel frattempo, si è sposato con Maria, schiacciatrice della nazionale, atleta dotata di grande temperamento agonistico («Izko assomiglia a lei per l’aggressività», sostiene molto fiero), si è laureato all’Istitito Superiore di Educazione Fisica e ha messo al mondo il piccolo (all’epoca) Zlatino. E proprio Hristo diventerà figlio d’arte, come si dice, seguendo il padre nelle sue peregrinazioni.
Due anni a Torino, voluto fortemente da Silvano Prandi e Franco Leone. «Abitavo in un piccolo appartamento con Giorgio Salomone e un altro ragazzo che non ricordo. Poi mi raggiunsero Maria e Izko. Allora davano i permessi con fatica: si temeva la fuga all’estero».
Sarà una tappa importante per la carriera di Zlatone, anche se sarà l’ultima. «In squadra c’era Franco Bertoli, con Rebaudengo, Borgna, Dametto, De Luigi, Pilade Pilotti, un bel gruppo. La città mi piaceva, ci sono stato molto bene e ho imparato l’italiano. Come? Guardando la televisione e con una piccola dispensa che mi aiutava a compitare i verbi». Sarà proprio lui il primo a provare la battuta in salto. «Io la facevo già in Bulgaria. L’ho insegnata a Bertoli Io e Franco stavamo un’ora in più ad allenarci. Lui è diventato molto bravo. È stato lui a lanciarla in campionato».
Nasce così il connubio con l’Italia. Che lascerà per una sola stagione: un’esperienza a Osaka nel Suntory, cinque mesi. «Volevo vedere i sistemi di allenamento e il gioco veloce dei giapponesi. Ho lavorato con Oko, siamo diventati molto amici». Ma l’Italia suona la diana e gli Zlatanov tornano a baita. Prima a Milano, dove il piccolo Izko si allenerà a basket nei pulcini dell’Olimpia. Poi a Cuneo, dove si raddrizzerà seguendo le orme paterne dietro al volley. In A2 nel Cedisa Salerno (ottime pizza e mozzarella, per forza). Ancora Milano (con Dusty Dvorak, suo grande amico, Carretti, Paolo Buongiorno diesse), Ravenna, Roma, Milano (il Tally con Hugo Conte). Concluderà a Romagnano Sesia in serie B. «Sono stato fortunato. In Italia ho lavorato nelle tre città più importanti: Torino, Milano e Roma. Ovunque mi sono trovato bene, mi sono fatto amici». E come non farsene, per un lord come Zlatanov? Che da qualche anno si è ritirato a Sofia, dove vive in una splendida villa in altura con Maria. Da cui si stacca di frequente, tre-quattro volte all’anno. «Quando i ragazzi hanno bisogno, noi corriamo sempre. Preparo la macchina, in 14 ore, sono 1350 chilometri, noi arriviamo. Ma in inverno, preferisco l’aereo. Non mi piace guidare quando fa freddo e magari trovi neve, pioggia, nebbia». Un saggio. Per forza. Ora è anche nonno e ci tiene a farlo.
Con Izko ha il classico rapporto del papà verso il figlio atleta. Vive nella splendida residenza a Ivaccari, alle porte di Piacenza, dove si gira con la bussola e dove Maria Zlatanova, la nonna, prepara il pane caldo, secondo tradizione, per gli ospiti illustri. Guarda e critica dove è giusto, incoraggia, sprona, elogia, corregge. Sempre tra le quinte. In punta di piedi. Da vero signore. Non è mai entrato nella polemica con Montali. Lord, appunto. Piccato ribatte solo su questo argomento. «Non è vero che Izko non sa ricevere. Lo dicono e scrivono certi giornalisti, ma non si documentano. Oggi è un buon ricevitore». E se lo dice lui…!
Quando viene in Italia a fare il nonno, lo si può vedere sempre al PalaBanca di Piacenza, con la piccola Mia in braccio. Un occhio alla partita, un occhio alla nipotina. Ragazzi, date retta. Chiedetegli l’autografo. È di uno importante. Hall of Fame, appunto. E se vi guarda con aria severa e distaccata, non preoccupatevi. Lui è un lord. Ha già mangiato…
Tags: carlo gobbi, il Lord di Bulgaria, Zlatanov

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Nota sull’autore: Carlo Gobbi

È il giornalista più poliedrico del panorama nazionale. Oltre a 7 Olimpiadi, 6 Mondiali e 15 Europei di pallavolo, e 139 test match di rugby, ha seguito oltre 20 Mondiali ed altrettanti Europei di ginnastica, judo, hockey, ghiaccio, pallamano, pesi, tiro.

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