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Pallacanestro

Basket: Torino è un romanzo, Milano una comica

Da Luca Chiabotti 19/02/2018

La Fiat ha cambiato allenatori e giocatori a raffica, attraversando polemiche e crisi, ma ha vinto la coppa Italia, Armani ha incassato l'ennesima figuraccia venendo eliminata al primo turno. Per il basket italiano, sempre più mediocre perché privo di vere grandi squadre, tutti e due non sono esempi da seguire anche se il trionfo torinese entrerà nella storia a beneficio di tutto il movimento

Torino ha vinto la coppa Italia. Più che un successo è un romanzo, anzi la sceneggiatura di un thriller: quindici giorni fa, un allenatore mitico, Carlo Recalcati, si era dimesso perché incapace di farsi seguire da un gruppo difficile, con pesanti rotture personali all’interno sfociate anche in scene rusticane. Trentaquattro giorni fa, se n’era andato un altro tecnico blasonato, Luca Banchi, chiamato per portare Torino in Europa e subito sostenuto dai risultati, perché non riusciva a più a tollerare le ingerenze della società nel settore di sua competenza. Da quel giorno, alla vigilia della coppa, la Fiat ha subito  tre k.o. in 4 gare di campionato, un solo successo e tre sconfitte, con eliminazione, dall’Eurocup. Ma ha anche promosso a capo allenatore il debuttante Paolo Galbiati, 34 anni, e cambiato stranieri con l’arrivo per la coppa Italia di un americano nuovo di zecca, Vander Blue. Scelto e fortemente voluto dal vicepresidente Francesco Forni, figlio del proprietario e il maggiore indiziato per le dimissioni di Banchi ma che il mercato lo conosce, Blue si è immediatamente rivelato l’mvp della manifestazione vinta dalla Fiat, esattamente come previsto dal vicepresidente nel momento più buio della crisi e della contestazione. Storia incredibile che, come accade nelle pubblicità televisive con gli stuntmen, consigliamo di non provare a copiare da casa. Ma che la dice lunga su come va il basket oggi. Torino, anche se ha vinto, oggi non può essere presa ad esempio per la gestione e la solidità tecnica del progetto. Se pensa di continuare così, la coppa resterà l’unico gioiello di famiglia. Se invece, proprietà, club, giocatori prenderanno questa vittoria come un segno benevolo del destino e una fonte di impagabile esperienza per costruire una società più potente in futuro (vincere fa bene anche al conto in banca, agli sponsor, alla “counicazione”), allora non c’è nulla che possa impedire a Torino di ripercorre la strada di Sassari, che partendo dalla coppa Italia ha edificato la stagione dello scudetto e del triplete. La quattro giorni di Firenze, al di la delle sorprese (le prime tre in classifica sono state eliminate al primo turno) si è rivelata, come al solito, una fucina di spunti sulla nostra pallacanestro. Eccone alcuni.
Il basket italiano è mediocre. Lo hanno detto le coppe europee, nelle quali solo una squadra su otto è ancora in corsa (per favore, evitiamo di contare i club “retrocessi” dalla Champions Fiba, ora tenuti in vita nella quarta, ed ultima, coppetta europea, la Fiba Cup), lo ha ribadito la coppa Italia dove le favorite più ricche e dotate sono state eliminate subito. Dando tutto il merito del mondo a Cantù, Cremona, Torino, l’uscita di scena di Milano, Avellino, Venezia, i tre club oggi in testa alla classifica di A, significa che al vertice abbiamo presunte big che si sfaldano anche in Italia appena la pressione si alza un pochino, l’esatto contrario che ti aspetti da una cosiddetta “grande squadra”. Cosa dobbiamo mai aspettarci se i fari del movimento sono questi? E stavolta non diamo la colpa ai troppi stranieri…
Quanto contano gli allenatori? Tra le prime 4 di Firenze, a parte Meo Sacchetti, oggi anche c.t. della Nazionale, in panchina c’erano Andrea Diana, alla seconda stagione in A, Marco Sodini debuttante e Paolo Galbiati, che il capo-allenatore lo fa da 15 giorni. E’ evidente che Galbiati, portato a Torino da Luca Banchi e considerato da tutti molto bravo, non sia “più bravo” di un mito come Carlo Recalcati che è stato rigettato dalla squadra. Ma, di certo, un gruppo molto difficile ha trovato in Galbiati una persona “per cui giocare”. Il mondo è pieno di squadre che “non giocano” per un allenatore, o addirittura scendono in campo contro il loro tecnico (vi ricordate la differenza del Leicester con Ranieri e appena se n’è andato?), e altre che invece riescono a gestirsi o autogestirsi meglio accentando una guida tecnica meno esperta dei giocatori stessi. Anche Marco Sodini, pur con una lunga carriera da vice alle spalle, è arrivato sulla panchina di Cantù quasi per caso dopo l’autoretrocessione di Kiri Bolshakov che aveva preso il posto di Recalcati nel momento più buio della Red October. Andrea Diana è un discorso diverso avendo portato Brescia in A, due stagioni fa. I numeri, comunque, dicono questo: Diana, Sodini, Galbiati sommano 58 presenze in serie A complessive (più ci sono le 260 di Sacchetti); gli allenatori eliminati al primo turno della coppa ne totalizzano 1292. Senza contare le centinaia di gare allenate in Europa e i titoli conquistati. E’ ovvio che l’esperienza conti meno della forza e la personalità dei giocatori come della presenza e del sostegno della società. Ma non credo che sia meglio non avere un coach esperto per vincere, anzi sono convinto del contrario. Però sono numeri che meriterebbero un’analisi approfondita sul mestiere di allenatore al mondo d’oggi.
E veniamo a Milano. Non ci sono più parole per definire quello che l’Olimpia è riuscita a combinare contro Cantù, né quelle espresse da Livio Proli, al di la della indignazione di rito, e Simone Pianigiani danno un contributo vero alla conoscenza del problema. Almeno per capire come mai, ad esempio, la difesa sia stata ancora una volta da ufficio inchieste. Possiamo discutere fino alla fine dei giorni sulle scelte rivedibili fatte finora dall’Armani. Ma, diciamoci la verità: Torino ha vinto la coppa cambiando tre allenatori in meno di un mese e anche se ho sempre sostenuto che a Milano manchi, prima di qualsiasi altra cosa, un plenipotenziario delle basketball operations (che non può essere Proli, che non ha conoscenze tecniche), autonomo e più “potente” dell’allenatore per quanto prestigioso sia, è difficile dare la colpa solo alla dirigenza davanti a prestazioni simili. E si torna al discorso iniziale: è palese che i giocatori di Milano non “giochino per Milano”, siano indifferenti a quello che succede, non tirino fuori neppure il 50% del loro potenziale. E’ accaduto spesso in questi anni. Cosa può fare adesso la società? Io sfoltirei subito la rosa effettiva dei giocatori soprattutto stranieri, tanto l’Eurolega se n’è andata, per dare responsabilità più chiare e maggiori occasioni di esprimersi a tutti. Insomma, rischierei di avere una squadra meno forte e completa sulla carta ma con ruoli più certi, senza doppioni e con stimoli maggiori. Ma probabilmente all’Armani sono convinti che se i loro 16 giocatori così tanto conclamati ritrovassero un minimo di amor proprio e non solo fossero solo preoccupati del loro status personale, potrebbero dominare il campionato da qui allo scudetto. Dubito che ciò avvenga senza intervenire. Poi sono d’accordo che Torino è intervenuta troppo. Ma ha vinto entrando nella storia e regalando un fantastico assist a tutta la pallacanestro italiana.
Tags: Armani ha incassato l'ennesima figuraccia venendo eliminata al primo turno. Per il basket italiano, attraversando polemiche e crisi, Basket, coppa Italia, La Fiat ha cambiato allenatori e giocatori a raffica, ma ha vinto la coppa Italia, Pallacanestro, sempre più mediocre perché privo di vere grandi squadre, tutti e due non sono esempi da seguire anche se il trionfo torinese entrerà nella storia a beneficio di tutto il movimento

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Nota sull’autore: Luca Chiabotti

(La Firma) Inviato a 6 Olimpiadi, 7 mondiali e 15 europei basket, oltre 200 partite dello sport che è il suo grande amore ed ha caratterizzato la sua carriera, 35 final four, finali italiano del 1978. Esperto anche di sport americani, dal football al baseball.

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