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Sport

Per chiarire: non fornisco esercizi ma… idee all’avanguardia

Da Maurizio Mondoni 20/08/2022

I neuroni specchio sono per l’attività motoria e sportiva quello che il DNA è stato per la biologia

Nulla ci sembra più facile e semplice quando in palestra prendiamo in mano un pallone di pallacanestro. Eppure questo gesto è naturale, ma comporta una pluralità di processi interconnessi tra loro, da risultare a prima vista indistinti.
Innanzitutto dobbiamo scegliere il pallone, tra altri palloni presenti e che si contendono la nostra attenzione (il più lucido, il più nuovo, il Molten, etc.).
Per fare questo dobbiamo orientare la testa e gli occhi in modo tale che l’immagine del pallone cada sulla nostra “fovea” (punto della retina in cui l’acuità visiva è massima, consentendoci di apprezzare nel modo migliore gli aspetti del pallone (più consumato, più gonfio, etc.).
Se poi vogliamo prenderlo in mano, dobbiamo localizzarlo rispetto al nostro corpo: solo allora possiamo allungare le mani e prenderlo e allo stesso tempo dobbiamo prenderne le misure per poterlo afferrare nel modo che riteniamo più opportuno.
Il pallone ci detta un insieme di misure e di modalità di afferramento: sta a noi rispondere e decidere come muoverci e conformarci ad esse, assumendo tra le prese possibili (a una mano, a due mani, etc.) quella più idonea all’uso o magari più consona alle nostre abitudini.
Non ce ne accorgiamo, ma prima di raggiungere il pallone, le dita e i palmi delle mani hanno già iniziato a prefigurare la conformazione geometrica del pallone (una sfera) e gli eventuali tipi di presa da adottare.
Non appena raggiungiamo il pallone, le mani ricevono informazioni dalla cute, dai muscoli e dalle articolazioni che assieme permettono di “raffinare” la presa e di prendere il pallone.
Anche senza considerare gli aggiustamenti posturali nel momento in cui si “prende” il pallone (che anticipano l’attuazione dei movimenti sopra descritti) e il ruolo svolto dall’apprendimento e dall’esperienza nelle diverse fasi di identificazione, localizzazione, raggiungimento e prensione del pallone, un gesto elementare come quello di “prendere” un pallone rivela un complicato intreccio di sensazioni (visive, tattili, olfattive, propriocettive, etc.), nessi motivazionali, disposizioni corporee e performances motorie che interagiscono tra loro, realizzando di volta in volta forme di sintonia più o meno fine.
E adesso che ho preso in mano il pallone “che cosa ne faccio?”, “cosa voglio fare subito?”, “lo palleggio, lo tiro a canestro, lo passo?”
Anche nel Minibasket …….
I neuroni specchio ci aiutano a comprendere i gesti, i movimenti da compiere e anche i bambini, vedendo gesti e movimenti compiti dall’Istruttore o da un’altra persona (o in video o attraverso filmati) li eseguiranno subito in rapporto alle loro possibilità e alle fasi dell’apprendimento (coordinazione grezza, coordinazione fine e disponibilità variabile) e imparareranno di conseguenza tecniche esecutive nuove e…….difficili.
L’Istruttore deve conoscere bene le tecniche esecutive corrette di un movimento, altrimenti il suo insegnamento non sarà fruibile correttamente dai bambini e ….. se insegna cose sbagliate (perché non le conosce) crea dei danni che si protrarranno nel tempo e sarà difficile correggerli successivamente.
I neuroni specchio ci forniscono la possibilità di codificare le intenzioni e anche il risultato di un’azione motoria, per cui per l’Istruttore Minibasket è estremamente importante:
1) far vedere da subito “la tecnica per intero” senza frammentarla in sottomovimenti; i neuroni specchio sono interessati più all’obiettivo che al dettaglio e codificano sempre azioni e intenzioni;
2) mostrare la tecnica alla “giusta” velocità, né troppo lentamente, né troppo velocemente. Questo è un ulteriore accorgimento per indurre una giusta percezione nel bambino, in quanto, se la tecnica è mostrata troppo velocemente il bambino può non fare in tempo a registrare l’immagine correttamente; lo stesso dicasi di un’esecuzione troppo lenta, che sfalsa la dimostrazione rispetto alla reale immagine che se ne intende dare;
3) mostrare la tecnica dalla “giusta” angolazione, cioè dalla prospettiva dalla quale poi il bambino la dovrà ripetere. Se l’Istruttore si pone frontalmente rispetto ai bambini e dimostra un gesto o un movimento (pensiamo a un palleggio, un tiro o un passaggio), i bambini la ripeteranno dalla parte opposta, cioè in maniera speculare. E’ opportuno collocarsi dalla stessa angolazione dei bambini, oppure collocare i bambini in modo che tutti vedano dalla stessa angolazione. La prospettiva in prima persona è quella che determina la performance migliore, confermando così l’importanza della prospettiva nell’apprendimento motorio;
4) chiarire che la tecnica presentata dovrà essere imitata e non solo osservata, evidenziando così l’obiettivo da raggiungere. Se l’attenzione è rivolta all’osservazione al fine di imitare, direzionando il “focus attentivo” sui punti essenziali alla comprensione dell’azione, il sistema specchio è maggiormente attivato e di conseguenza sono implicati anche i processi cognitivi. Seguendo quest’ipotesi è presumibile che l’apprendimento imitativo non sia semplicemente una copia di basso livello delle azioni osservate, ma al contrario, presupponga ed implichi processi cognitivi di alto livello. La conseguenza pratica è che l’esperienza motoria deve essere “significativa”, cioè che l’obiettivo che l’azione persegue, deve essere esposto chiaramente. Operando in tal modo si direziona l’attenzione sugli aspetti salienti dell’azione e si coinvolgono processi cognitivi che portano ad una memorizzazione più stabile;
5) cosa avviene nell’insegnamento di un movimento “nuovo”, che non fa parte del patrimonio motorio?
Il sistema specchio si può attivare anche in presenza di movimenti nuovi ed estranei al patrimonio motorio del bambino, creando a livello neurologico una prima immagine, una prima traccia del movimento, ma ciò implica un’attivazione di processi cognitivi e attentivi che il bambino deve poter mettere in gioco. Non è detto che il bambino ci riesca, non è detto che abbia la possibilità e/o la disponibilità a farlo e ciò sembra dipendere in parte dalla volontà o meno di farlo, ma soprattutto dal grado di maturazione neurofisiologica che il bambino ha a disposizione in quel momento. Il movimento nuovo è “processato” dal bambino in ogni singola parte, in pratica i neuroni specchio nell’osservazione di un atto motorio non presente nel repertorio motorio del bambino, si attivano prima spezzettando in più frammenti l’atto osservato, poi lo ricompongono nella sequenza temporale adeguata. Ogni frammento corrisponde a un movimento già immagazzinato e tramite la collaborazione di altre aree frontali, tutti questi “frames” sono riassemblati per permettere poi la riproduzione del gesto motorio, definendo un nuovo “pattern” (modello) motorio; appare evidente come i processi attentivi siano importantissimi durante la visione dell’atto motorio.
Questo passaggio è importante per gli Istruttori, poiché li aiuta a relativizzare il fatto che i bambini siano sempre in grado di apprendere per imitazione; talvolta questo tipo di apprendimento è efficace e opportuno, altre volte può essere una richiesta troppo difficile per loro. E’ chiaro che in questa fase l’Istruttore possa influire nel saper direzionare “ad hoc” l’attenzione dei bambini, può essere determinante nel sostenere la loro motivazione, ma può anche imbattersi nei limini motori, attentivi, cognitivi dei bambini stessi e quindi non gli resta che capire se proseguire su quella strada o magari cambiare direzione, aspettando momenti più favorevoli, agendo nel frattempo in altri modi;
6) la ripetizione dei movimenti e la memoria a lungo termine
L’apprendimento di un movimento risiede nella memoria a lungo termine e l’esempio è “l’andare in bicicletta” e ……. quando l’hai imparato non lo scordi più ! Così avviene per l’apprendimento di qualsiasi tecnica esecutiva, ma per arrivare a far parte della memoria a lungo termine, un movimento deve essere ripetuto e “lavorato” per molto tempo. Se il sistema specchio è adibito all’imitazione, creando un’immagine, una traccia neurologica di un movimento nel cervello del bambino, il movimento andrà poi sgrezzato, raffinato e perfezionato attraverso le ripetizioni (apprendimento per prove ed errori). Le fasi dell’apprendimento (fase della coordinazione grezza, fase della coordinazione fine, fase della stabilizzazione e della disponibilità variabile) sono uguali per tutti, quello che cambia è il ritmo di apprendimento. Questo tipo di apprendimento richiede una maturità neurofisiologica da parte del bambino, il quale, se non è sufficientemente consapevole di ciò che sta facendo e sufficientemente “maturo” (“ripetizioni consapevoli”), si adopererà nel ripetere meccanicamente il movimento senza autocorreggersi o apprezzare le correzioni dell’Istruttore, rischiando di fissare “errori e vizi motori” piuttosto che abilità motorie che, non essendo passate attraverso il filtro di una giusta attenzione, del feedback interno (il proprio) ed esterno (dell’Istruttore), saranno poi molto difficili da correggere, poiché la traccia neurale creatasi da queste ripetizioni sarà comunque molto forte, magari correggibile ma con una certa difficoltà. Il bambino deve capire ciò che fa e non eseguire meccanicamente ciò che è proposto dall’Istruttore!
Da sottolineare in questo processo il ruolo dell’Area 46 di Brodmann (organo esecutivo del “Sistema Specchio” che decide tutto);
7) come agisce il sistema specchio sull’Istruttore?
L’Istruttore non si deve limitare a osservare il gesto del bambino, ma lo ripete internamente. Quando l’Istruttore analizza un gesto in condizioni di attenzione e sufficiente competenza, contestualmente “carica” e “fa girare” sul suo sistema motorio il programma del movimento esaminato. Grazie all’azione dei neuroni specchio, il movimento osservato è “provato” internamente in maniera automatica. Da tutto ciò si comprende come l’Istruttore competente, alla vista di un movimento del bambino, abbia, grazie al suo sistema specchio, la possibilità di processare l’intero movimento comparandolo con il proprio (cioè rivivendolo al proprio interno) e da ciò scorgere gli errori o le imperfezioni, cioè tutti quegli aspetti che differiscono dalla propria esecuzione, che si suppone sia quella corretta. E’ dunque importante che l’Istruttore abbia molto chiaro quel movimento se vorrà apportare le giuste correzioni al movimento del bambino (conoscenza delle tecniche corrette dei fondamentali individuali);
8) fornire spiegazioni verbali chiare, che non siano troppe e che focalizzino la loro attenzione solo nei punti salienti. Se l’Istruttore spiega correttamente un gesto e poi lo esegue in maniera scorretta, generalmente predomina l’aspetto visivo, dunque va posta attenzione sul fatto che le istruzioni verbali siano coerenti con quanto dimostrato, altrimenti i bambini ripeteranno ciò che vedono e non ciò che sentono, anche se quello che vedono contiene un errore. Le indicazioni verbali all’inizio devono essere poche e concentrate su pochi aspetti della tecnica, senza insistere sui particolari che saranno proposti e affinati successivamente.
I neuroni specchio si attivano quando qualcuno palleggia un pallone, quando vede un pallone che è passato a un compagno, quando si sente il suono prodotto da un pallone quando è palleggiato.
E’ più facile “carpire” l’attenzione dei bambini se la spiegazione dell’Istruttore si riferisce ad esercizi e giochi “reali”, “veri” (e non astratti).  I contenuti che un Istruttore intende comunicare ai bambini arriveranno più forti e più chiari se anche il suo linguaggio sarà condivisibile, evocativo di qualcosa che i bambini conoscono.
Il livello di comprensione di un bambino è differente rispetto a quello di un adulto: l’adulto può poggiare su un pensiero astratto, ipotetico-deduttivo, capace di compiere operazioni complesse, di astrarre appunto concetti e applicarli, il bambino si basa su un pensiero delle operazioni concrete, non essendo ancora capace di ragionare su dati presentati in forma puramente verbale. E’ chiaro che gli Istruttori debbano operare una distinzione tra bambini, ragazzi e adolescenti, adeguando il linguaggio e le spiegazioni verbali.
9) lo spazio intorno a noi. Lo spazio intorno a noi, sia quello più vicino, sia quello più lontano da raggiungere, assume significati diversi a seconda delle azioni che noi possiamo fare o pensare relativamente a questi spazi. Nel Minibasket la percezione di vicino-lontano è differente (vicino o lontano dal canestro, compagno vicino o lontano, con la palla o senza, etc.) e il sistema specchio è fortemente implicato in questo.
Queste diverse percezioni di vicino e lontano variano a seconda delle possibilità d’azione che esistono all’interno di questo spazio, rimodulando così il concetto di vicino e lontano, a seconda dell’interazione con lo spazio e/o con gli oggetti in esso contenuto. Ad esempio la percezione di una palla che è lontana dal bambino cambierà al momento in cui la palla si avvicina.
La possibilità di interagire con gli oggetti cambia la percezione dello spazio vicino o lontano (un pallone lontano, un pallone che si avvicina, un pallone vicinissimo, un pallone passato lentamente, un pallone passato velocemente, un difensore vicino o lontano, etc.) e tutto ciò evoca nel bambino potenziali programmi d’azione, programmi che grazie al sistema specchio può anticipare. Lo spazio è uno spazio di senso, è uno spazio che evoca azioni potenziali, è uno spazio interpretato, a seconda delle nostre abilità motorie e della nostra esperienza;
 10) I metodi deduttivi e i metodi induttivi. Se si parla di apprendimento per imitazione nel momento in cui l’imitazione non è immediata o comunque relativamente facile (come nel caso di imitazione di movimenti in parte conosciuti, cioè che appartengono almeno in parte ai programmi motori del bambino), subentrano processi attentivi e cognitivi importanti, sui quali i bambini devono poter fare leva.
Abbiamo anche affermato che imitare non basta, poiché all’imitazione deve poi seguire l’esercitazione e l’apprendimento per prove ed errori che presuppone una maturità da parte del bambino, che deve di volta in volta “controllare” il movimento e non ripeterlo automaticamente. Perciò, per un Istruttore, poter fare leva anche sui metodi induttivi, che partono dalla realtà dei bambini e su di essa si conformano, attraverso esercizi e giochi “ad hoc” che siano adatti al loro livello, alle loro reali capacità, è opportuno ed efficace. Non perché, ovviamente, i metodi deduttivi siano sbagliati, quanto perché a volte sembrano non essere efficaci, sembrano non essere la via migliore per arrivare a un risultato. Nei metodi induttivi la conoscenza parte dal soggetto, nei metodi deduttivi parte dall’oggetto, nei metodi deduttivi l’Istruttore è al centro, detta “il da farsi” e come lo si deve fare, attraverso esempi, dimostrazioni da imitare, mentre nei metodi induttivi il processo d’apprendimento è più libero e lo svolgimento del compito è condizionato dalla soggettività del bambino, sicuramente l’Istruttore da delle consegne, ma lascia anche la libertà di eseguirle a suo modo. L’apprendimento per imitazione rientra ovviamente nei metodi deduttivi, in quanto si dà per buono che sia replicato, imitato un movimento partendo dalla realtà del movimento mostrato dall’Istruttore, dunque dalla tecnica. Mentre nei metodi induttivi il processo è inverso, si arriva alla tecnica (o comunque ad un obiettivo da raggiungere) attraverso un processo di sperimentazione da parte del bambino;
11) empatia e apprendimento: senza l’empatia non c’è apprendimento! Se noi Istruttori possiamo fare leva sulle capacità empatiche dei nostri bambini e sulle nostre, per facilitarli nel loro compito di apprendere, possiamo considerare altrettanto seriamente l’altra faccia dell’empatia, quella per cui i nostri bambini molto spesso sono portati a imitarci anche nelle nostre convinzioni, nei nostri valori e in quello che realmente noi siamo e manifestiamo: essi si vedranno attraverso i nostri occhi!
Conclusioni
Mostrare l’azione per intero dovrebbe aiutare a capire il senso dell’azione, quindi a comprendere l’intenzione di chi mostra l’azione, infine di prevederne il risultato finale. Un ulteriore aiuto a comprendere le intenzioni dell’esecutore può essere il mostrare l’azione in un contesto generale più ampio. E’ importante che il bambino abbia una prima immagine corretta del movimento e ne comprenda il senso, il fine, lo scopo. E’ evidente che quando mostreremo la tecnica esecutiva di un gesto al fine di riprodurla, la mostreremo da fermi, evidenziando pochi punti salienti e cercando di portare a focalizzare l’attenzione dei bambini su di essi. Non è opportuno in questa prima fase insistere sui particolari, che andranno invece curati in un secondo momento attraverso le ripetizioni, cioè l’apprendimento per prove ed errori. Una delle evidenze sperimentali sui “neuroni specchio” ha mostrato che ogni neurone risponde ad un’intera azione e non a parti della stessa e questo lascia intendere che vi sia una naturale predisposizione ad apprendere unità di senso. Ciò non implica che gli esercizi più analitici non debbano andare bene, ma semmai che siano proposti successivamente e soprattutto che con il passare del tempo si chiarisca il senso e lo scopo, così che il bambino possa sempre ricollegare l’esercizio alla tecnica completa, cioè ad un’unità di senso compiuto.
E’ sicuramente vero che i bambini dispongono di un alfabeto motorio di azioni base (non uguale per tutti), ma la loro corretta giustapposizione può avvenire solo nell’ambito dell’esecuzione di un’azione complessa.
Da notare che da un po’ di anni a questa parte c’è stato un cambio di rotta delle Scienze Motorie e dello Sport, a proposito dell’apprendimento di una tecnica: infatti, se prima si raccomandava un insegnamento per “step”, cioè frammentando il movimento e imparandolo ” pezzo per pezzo”, per cui se non si era acquisita correttamente una parte del movimento non si poteva passare alla successiva, ora si raccomanda invece di far praticare la tecnica per intero, raffinandola successivamente attraverso le ripetizioni.
E questo cambiamento di rotta è senz’altro dovuto alla scoperta dei neuroni specchio.
P.S. L’Istruttore Minibasket …………………i fondamentali individuali li deve conoscere (ma se ai Corsi di formazione non si insegnano, non si conoscono!), li deve spiegare ai bambini utilizzando il loro linguaggio (ma se ai Corsi non si insegna a comunicare come si può comunicare con i bambini?) e soprattutto li deve dimostrare nel modo il più corretto possibile (ma se non si conoscono non si possono nemmeno dimostrare!): questo è il miglior esercizio per imparare i fondamentali giocando: giochiamo a palleggiare, a tirare, a passare!
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Nota sull’autore: Maurizio Mondoni

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