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Tennis

Il record di 10 azzurri a New York riecheggia quello del 1992… vero rinascimento

Da Vincenzo Martucci 02/09/2020

Il tennis italiano del nuovo Rinascimento è un “work in progress” che va elogiato per aver siglato il record di 10 giocatori nel tabellone principale degli Us Open, che migliora il precedente record di 8 degli ultimi due anni e richiama il bum del 1992 coi magnifici 7 di quell’annata da ricordare

Si fa presto a dire cemento, ma se sei nato tennisticamente sulla terra rossa la storia è diversa molto diversa. Lo sanno bene i giocatori italiani che, tendenzialmente, almeno fino all’ultima generazione stanno un metro troppo lontano dal campo, anticipano poco, attaccano un colpo dopo, spingono per necessità e con circospezione. Chi si meraviglia dei ko d’acchito degli azzurri agli US Open dovrebbe prima guardar bene il loro curriculum, insieme ai nomi e alle caratteristiche di chi li ha battuti, senza parlare delle attenuanti che accompagnano e anzi innalzano il ko di Jannik Sinner, infortunato dopo i primi due set vinti contro Khachnov, e poi battuto ma solo di mezza incollatura al quinto set, senza potersi quasi più muovere.

In realtà, il tennis azzurro del nuovo Rinascimento è un “work in progress” che va elogiato per aver siglato il record di 10 giocatori nel tabellone della prova principale stagionale sul cemento. Perché 10 migliora il precedente record di 8 degli ultimi due anni, e richiama il bum del 1992 coi magnifici 7 di quell’annata da ricordare. Sottolineando anche questa evoluzione tecnica e culturale, insieme a tutte le altre del movimento. Dopo il grande insegnamento delle fantastiche ragazze di Fed Cup, Francesca Schiavone, Flavia Pennetta, Sara Errani e Roberta Vinci, con l’acme della straordinaria finale azzurra di Flushing Meadows 2015.

Il 2020, sulla scia dell’esaltante 2019, e quindi dell’esplosione di Matteo Berrettini e Jannik Sinner, insieme al rilancio di Fabio Fognini, testimonia la crescita esponenziale di giocatori e tecnici. Che non temono più viaggi e sfide come un tempo, non risparmiano energie per la stagione sul rosso europeo, non svicolano davanti alle manifestazioni e agli avversari più importanti per cercare facili guadagni vicino casa e sull’amica terra rossa. Riflettendo la piccola rivoluzione del 1992, quando i ragazzi del ’70 di Riccardo Piatti, Renzo Furlan e Cristiano Caratti, più Omar Camporese che s’era aggregato al gruppo, più Diego Nargiso, più il più giovane, Stefano Pescosolido, i più anziani Claudio Pistolesi e Gianluca Pozzi, si presentarono in massa a New York. Testimoniando un anelito di novità dopo troppi anni bui.

Il “McEnroe de noartri”, il mancino barese Pozzi dall’aria un po’ afflitta ma dal tennis sempre brillante fece l’impresa di battere lo specialista Amos Mansdorf per 6-1 al quinto set, ma poi si impigliò, da pronostico, nella rete da fondo dell’australiano Richard Fromberg. L’altro mancino, il napoletano Nargiso, volò Gorriz, strappò il primo set a John McEnroe ma poi si spense. Ahilui, Camporese dal braccio d’oro e dai piedi lenti dominò Raoux, ma spese troppe energie per domare Scott Davis e si arrese nettamente a Carlos Costa, che era lo spagnolo più da duro del suo gruppo e sarebbe poi diventato il manager di Rafa Nadal.

Il ciociaro dalla “castagna” che fa male col poderoso servizio-dritto, Pescosolido, fu costretto a restare troppo a lungo in campo contro German Lopez per trovare energie extra contro quel diavolo di Siemerink. Lottò come un gladiatore piè veloce Cristiano Caratti con la baionetta sempre innestata, ma si arrese al quinto set e si fermò già al primo turno contro l’elegante tedesco Kuhnen. Mentre il “gemello” Furlan fu schiacciato subito in tre set da Magnus Larsson. Uscì subito di scena Pistolesi, nato e cresciuto sulla terra, contro il solido Champion. Quella spedizione, non fu, insomma, esaltante, ma ebbe il pregio di lanciare un seme importante e di tracciare una strada nuova.

Tanti anni dopo, Riccardo Piatti, alla sua Academy di Bordighera ,ha campi solo in cemento, e tutte le strutture, da quella federale di Tirrenia alle private, si attrezzano sempre con campi con superfici dure, nel segno di un’evoluzione che ha portato agli ultimi US Open un italiano, Matteo Berrettini,  alle semifinali dello Slam principe sul cemento, prima che anche gli Australian Open lo sposassero. E’ stato un altro record che ha ravvivato quella di addirittura 42 anni fa di Corrado Barazzutti, quando, in realtà, il torneo su disputava ancora sulla terra verde americana. Che è più veloce di quella europea, ma è sempre terra.

L’evoluzione degli ultimi quattro anni a New York porta quindi a questo ennesimo record della nuova Italia al maschile, piantando il tricolore al terzo posto fra le nazioni più rappresenta in tabellone, dietro agli Us (20 elementi, con 8 wild card) e Spagna (10). Del resto, nella “top 300” l’Italia ha 21 giocatori, ed è la quarta potenza dopo Spagna (22), Francia e Stati Uniti (27). E senza cemento i grandi risultati non si fanno.

 

 

Tags: tennis, us open

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Nota sull’autore: Vincenzo Martucci

Napoletano, 34 anni alla Gazzetta dello Sport, inviato in 8 Olimpiadi, dall’85, ha seguito 86 Slam e 23 finali Davis di tennis, più 2 Ryder Cup, 2 Masters, 2 British Open e 10 open d’Italia di golf. Già telecronista per la tv svizzera Rsi; Premio Bookman Excellence.

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