Solo a snocciolarne i successi nel momento d’oro in cui la leggenda svizzera ha dominato il tennis ci si impressiona: dal 2003 al 2009, il sensazionale campione svizzero ha giocato addirittura 21 finali Slam su 28, infilando fra l’altro 5 trionfi consecutivi a Wimbledon e agli US Open, sfatando il tabù Roland Garros. Poi, pur andando a singhiozzo per via della fortissima concorrenza di Nadal-Djokovic e Murray, degli acciacchi e del tennis sempre più fisico, è comunque arrivato a 20 Slam, s’è preso altre enormi soddisfazioni con la doppietta agli Australian Open 2017-2018. Vincendo tutto quanto poteva vincere. Comprese 6 ATP Finals e una coppa Davis. Con 103 titoli ATP, 310 settimane al numero 1 del mondo (237 consecutive), e fantasmagorici guadagni, addirittura 1.09 miliardi di dollari, grazie ai munifici sponsor.
Forse quest’aggettivo – Il Magnifico – fotografa più di altri la straordinarietà di un campione unico, capace di gesti all’apparenza semplici ma assolutamente straordinari e inimitabili, la facilità del gesto sportivo, di qualsiasi colpo anche il più difficile, la capacità di trovare soluzioni geniali. Questo, unito all’eleganza naturale e alla tecnica sopraffina, da manuale, rendono Roger inattaccabile – almeno a nostro giudizio – nel parallelo con gli altri grandi protagonisti della sua era, i fantastici Fab Four, che proprio il Fenomeno ha creato dando l’esempio.
Siamo stati fortunati: abbiamo avuto la possibilità di seguire da vicino il Magnifico in tutta la sua evoluzione, dagli inizi, da puledro irrequieto che non accettava le briglie degli schemi tattici e dell’allenamento fisico, cercando la soluzione di fino, spesso al rete, al giocatore moderno, a tutto campo, che si esalta con l’uno-due, servizio-diritto, e sale a folli livelli di continuità ad altissimo livello, all’ultimo Federer che, grazie a coach-Ljubicic torna a liberare finalmente il rovescio, si butta a rete più che può, e vince altri 3 Slam. Anche se tanti detrattori sottolineano che la maggior parte dei suoi trionfi siano arrivati senza rivali diretti così forti e che il declino sia coinciso con l’ascesa di Nadal, Djokovic e Murray.
In realtà noi, guardandolo, ammirandolo, seguendolo, lo abbiamo apprezzato sempre più anche come uomo sempre disponibile, educato, elegante nel campo come nella vita. Quando da ‘pro’, dopo le lontanissime isterie da junior, ha gettato, stizzito, una racchetta per terra, quando ha protestato alzando anche la voce contro l’arbitro o un avversario, ha fatto scalpore. E’ uscito da un personaggio sempre misurato che non ha avuto nemici. Ha stupito per un comportamento negativo che caratterizza gran parte delle partite dei colleghi. Mentre lui è arrivato al punto di abbracciare come miglior amico sul Tour il peggior nemico tennistico, Nadal, creato apposto da zio Toni per neutralizzare di potenza la sua leggiadria stilistica.
Ha sempre elogiato l’avversario, vittorioso o sconfitto che fosse, ha sempre dimostrato amore e conoscenza del suo sport e dello sport in generale, ha cercato di tornare in campo due-tre volte, a dispetto dei problemi fisici, dell’anagrafe tiranna, della famiglia, delle motivazioni che non possono più essere le stesse di 23 anni fa. In lui non abbiamo apprezzato il grande interprete, come altri grandissimi campioni che stanno superando i suoi record al pallottoliere, ma qualcosa di più, l’artista sublime che crea opere d’arte e quindi sensazioni irripetibili in un modo che solo lui sa e che lo rendono immortale. Che è un’altra cosa, un’altra dimensione rispetto ai comuni mortali e anche a pochissimi altri dei inarrivabili dello sport. Noi nell’enumerarli siamo arrivati appena alle dita di una mano.
Vincenzo Martucci (Foto e testo tratti da supertennis.tv)