A 33 anni appena compiuti Gael Monfils, prossimo avversario di Matteo Berrettini, sembra aver messo insieme per la prima volta tutto il suo micidiale arsenale psico-fisico-tecnico. Ed è diventato più concerto, più stabile e meno farfallino, meno dipendente dal colpo ad effetto.
Forse è l’amore per la sua ultima fiamma, quel peperino della collega Elina Svitolina, forse gli anni, forse l’elettricità di New York, forse la pausa che gli stanno dando gli infortuni in una carriera da dentro e fuori l’infermeria, sulla scia dell’ultimo, forzato, stop, a luglio, per i guai al tendine d’Achille.
Di certo, l’ex numero 6 del mondo del novembre 2016, la Pantera come lo chiama Nadal, La Monf come si fa chiamare lui, personaggio istrionico e bizzarro che ha sempre anteposto il sorriso, lo star bene con se stesso, l’intelligente ironia a qualsiasi discorso agonistico, è uno degli “out siders” più pericolosi dei quarti degli Us Open. Livello, dove, negli Slam, arriva per la nona volta, l’ultima dall’esperienza nella Grande Mela del 2016.
Ma per la prima volta ci arriva di volata, sicuro, forte, dopo il convincente 61 62 62 in meno di 90 minuti contro il coriaceo Pablo Andujar. Dopo una prestazione talmente completa da poter essere illusoria, nel tennis che ogni giorno cambia faccia e situazioni: “Mi funzionava tutto. La tattica era giusta, mi muovevo bene, ho colpito forte, perfetto. Quando le cose vanno così, non c’è molto da dire”. Come conferma il 6/10 sulle palle break trasformate, senza doverne fronteggiare alcuna sul proprio servizio (con l’81% di punti sulla seconda), mettendo giù ben 34 vincenti.