Alle 20 di ieri, dopo la presentazione ufficiale delle squadre, gli ultimi due fuochi di artificio prima del via: la dichiarazione che due protagonisti – gli italiani Stefano Pirazzi e Nicola Ruffoni -, positivi a un test antidoping a sorpresa, sono stati sospesi dalle corse in attesa del responso delle controanalisi.
Da oggi a domenica 28 maggio si vivrà il centesimo Giro d’Italia. Il battesimo fu il 13 maggio 1909: 127 corridori (dei 165 iscritti), di cui sei stranieri (cinque francesi e un austriaco), partirono dal rondò di piazzale Loreto, a Milano, diretti all’ippodromo di Bologna, 397 chilometri grazie a una serie di allungatoie. Quei corridori erano professionisti all’avventura, pochi, dilettanti allo sbaraglio, molti, e appassionati al fulmicotone, tutti. Correvano per fame, per soldi, per curiosità. Mangiavano quello che potevano, bevevano quello che trovavano, dormivano anche dove capitava. Era vietato cambiare la bici, pena l’espulsione dalla gara. Gli organizzatori, di anno in anno, cercavano di rendere le condizioni sempre più difficili, faticose, pericolose. E i concorrenti si arrangiavano come riuscivano: in quella prima tappa quattro corridori vennero squalificati perché sorpresi mentre approfittavano di un passaggio su un treno, mentre il favorito numero 1, l’astigiano Giovanni Gerbi, il Diavolo Rosso cantato anche da Paolo Conte, si scontrò contro un carro dopo soli 1500 metri, spaccò la bici, consumò quattro ore cercando, pregando, implorando e infine aspettando che un meccanico gli aggiustasse il mezzo, poi si lanciò all’inseguimento del gruppo.
Da allora il Giro d’Italia è stato poema epico, romanzo d’avventura, film d’azione, lezione di storia e corso di geografia, officina scientifica e laboratorio tecnologico, circo a pedali e teatro a due ruote, gloria stradale e vanto statale, anzi, probabilmente l’unico modo per collegare regioni e dialetti. Ed è una divina commedia umana. Per Indro Montanelli, che stava in carovana per il “Corriere della Sera”, “il Giro d’Italia ha la straordinaria capacità di far sembrare ogni giorno come fosse domenica”. Per Alfonso Gatto, che seguì la Corsa Rosa per “l’Unità”, “il Giro è una meravigliosa corsa umana, il suo traguardo è la felicità”. E per Dino Buzzati, che sostituì Montanelli sull’auto del “Corriere della Sera”, “quando oggi, su per le strade dell’Izoard, vedemmo Bartali che da solo inseguiva a rabbiose pedalate, tutto lordo di fango, gli angoli della bocca piegati in giù per la sofferenza dell’anima e del corpo – e Coppi era già passato da un pezzo, ormai stava arrampicando su per le estreme balze del valico – allora rinacque in noi, dopo trent’anni, un sentimento mai dimenticato. Trent’anni fa, vogliamo dire, quando noi si seppe che Ettore era stato ucciso da Achille”.
Il Giro d’Italia è tutti i nostri mesi di maggio, è un’eterna primavera, è un ritorno alla giovinezza, all’adolescenza, all’infanzia, al bambino – direbbe Altan – che è dentro di noi. Pedalando. Così il mio Giro d’Italia è sempre una corsa nella corsa, un viaggio nel viaggio, una scoperta nella riscoperta, è strade silenziose, trattorie stradali, incontri fatali, è fatto di dorsali appenniniche e numeri dorsali, di miss tappa e mi scappa, di sacre ruote, sacre menti e sacramenti, è tutte quelle volte che tengo ai gregari, agli umili, ai modesti, agli scarsi, ai disgraziati, ai fuggitivi, magari soltanto per il loro cognome poco adatto a podi, baci delle miss e mazzi di fiori: Barbin, Bruseghin, Busato, Da Dalto. E’ quella volta in cui, per solidarietà dopo l’ennesima beffa della sorte (il mio eroe ripreso a poche centinaia di metri, sul traguardo di casa, dopo una carriera immacolata di vittorie), mi sono iscritto al fan club più allegro, più disincantato, più beone del pianeta: quello- appunto – di Alan Marangoni. Ed è perfino quella volta che grazie a un eccesso di fortuna ho conquistato la classifica finale del concorso pronostici dei giornalisti, con tanto di podio in corso Venezia a Milano, baci delle miss e mazzo di fiori (custodisco la foto con estrema diligenza per non suscitare le prevedibili giustificate gelosie), dunque uscendo dalla mia supersquadra, aperta esclusivamente e quei corridori che, nella loro carriera da professionisti, non ne hanno vinta neppure una (le cronosquadre non le considero: suppongo che, in caso di vittoria, la colpa non sia stata dei “miei” corridori, ma dei loro compagni).
Oggi si comincia: Alghero-Sassari, 205 km. Il colombiano Quintana, su tutti, poi il campione uscente Nibali, poi il gallese Thomas, il francese Pinot, lo spagnolo Landa, gli olandesi Dumoulin, Kruijswijk e Mollema, l’americano Van Garderen, l’australiano Denis, l’inglese Yates, il lussemburghese Jungels, anche l’italiano Pozzovivo. E i velocisti per una volata, gli scalatori per una montagna, i coraggiosi per una fuga. C’è per tutti, all’orizzonte, il sogno di una vittoria. Antidoping permettendo.
Marco Pastonesi