Si è concluso sabato il campionato del mondo numero nove della palla ovale. Il
mondiale meno visto per tv, appena 18 partite sulle 43 in campo trasmesse dalla
Rai, che si era accaparrata i diritti soffiandoli a Sky. Piaciuto molto il commento
tecnico dell’amico Andrea Gritti, avvocato di Treviso, cinque scudetti con il
Benetton e molti caps azzurri da seconda linea, che ha aiutato i non addetti ai lavori
a penetrare il difficile regolamento di questo sport. Ma soprattutto il meno letto,
almeno sula stampa italiana. A cominciare dalla Gazzetta, dove ai nostri primi passi
oltre mezzo secolo lo scoprimmo fra gli sport meglio seguiti, il rugby è stato
disertato dalla totalità della nostra stampa scritta. Motivo? Il Giappone costa
troppo. E poi, il rugby non interessa. In pratica, frega gnent. Decisamente brutta
condanna che dovrà far riflettere non tanto il variopinto mondo ovale della
parrocchietta, così lo definì Alfio Caruso secoli fa, quanto la federazione. Senza
grancassa mediatica, qualunque sport è destinato a scomparire. Per quanto ci
consta, due soli i colleghi italiani presenti all’avvenimento. Li segnaliamo per
coraggio e tanto d’altro: Fabrizio Zupo del Gazzettino e Paolo Ricci Bitti del
Messaggero. Entrambi in ferie, ergo a proprie spese e senza scrivere.
E’ stato un bel Mondiale, con troppe partite scontate, perché il Gotha rugbystico
non cambia. I guerrieri del sud Pacifico, salassati dei loro prodotti giovanili, faticano
ormai a tenere il passo degli squadroni, che sono sempre quelli. E’ mancata d’un
soffio l’Argentina, inserita nel girone più difficile. Ha fallito la Francia che pure
presenta giocatori di valore. E’ crollata l’Irlanda, schiacciata dagli All Blacks. E c’è
stata la sorpresa della Nuova Zelanda. Sorpresa relativa, che pure i tuttineri avevano
iniziato bene battendo il Sudafrica nella gara d’esordio. Poi sono incappati in una
straordinaria Inghilterra, che ha disputato forse la più bella gara della sua storia
soverchiando i grandi maestri sul piano del gioco e della fisicità. Merito del coach
australiano Eddie Jones che ha presentato una super squadra in grado di praticare
un magnifico rugby moderno.
Hanno vinto gli springboks, terzo titolo come i neozelandesi. Già lo sapete dalla
Gazzetta per l’intervento in extremis dei colleghi Andrea Bongiovanni e Simone
Battaggia, esperti e innamorati, eroici sulla trincea di questo sport. Una finale
entusiasmante, dove i sudafricani hanno sciorinato tutta la loro maestria rugbistica
impadronendosi dell’ovale e mantenendo saldamente il timone della sfida, cioè il
pallone, sino all’ultimo secondo. Una macchina da guerra perfetta messa insieme da
Rassie Erasmus, terza linea del recente passato, che ha risolto brillantemente il
problema dei neri inserendo quelli giusti nei ruoli chiave e attuando la famosa
staffetta famosa con Mazzola-Rivera anni 70. Per la prima volta un nero, la terza
linea ala Kholisi, ha guidato da capitano gli Springboks alzando la coppa alla
cerimonia finale. Neri o colored gli autori delle due mete decisive, Mpapinpi e Kolbe.
Tanti neri nelle tribune a dimostrazione che come sul campo, anche fuori i
sudafricani si stanno cementando. E’ quanto si spera, perché in realtà il Paese è
ancora pervaso da ondate di violenza e brutalità contro gli eredi dell’apartheid.
Un bruttissimo gesto ha oscurato questo brillante finale. Gli inglesi, che avevano
suscitato ammirazione, entusiasmo, applausi per la loro gara perfetta sugli All
Blacks, si sono resi autori di un gesto antisportivo. Rifiutando alla premiazione di
mettersi al collo la medaglia d’argento. Solita arroganza inglese? Non sappiamo.
Ciascuno potrà dare la sua opinione. Ma sul campo, quando si è sconfitti in quella
maniera, senza problemi di Var o ingiustizie arbitrali, battuti per non dire schiacciati
12-32 con una meta annullata ai sudafricani, questo rifiuto antipatico se lo potevano
risparmiare. Nel rugby, da sempre, chi perde saluta il vincitore con rispetto. E
viceversa. Ha salvato l’onore della vecchia Inghilterra il principe Harry. Presente in
tribuna d’onore, al fischio finale si è alzato in piedi per applaudire i vincitori,
complimentandosi e abbracciando il presidente nero del Sudafrica, seduto al suo
fianco. Ma poi è anche voluto entrare nello spogliatoio degli Springboks festanti e
brindare insieme a loro con una birra. Gesto simpatico, molto semplice, molto
british. Ha salvato la faccia all’Union Jack di fronte agli antichi avversari di una
guerra anglo-boera vecchia di due secoli. Bravo Harry, così si fa! Un vero God save
the Queen…