In campo i papà, in tribuna i figli. Eppure si gioca a porte, anzi, a cancelli chiusi: vengono aperti solo per questa occasione, per questa partita, per questa parentela.
Calcio. Nei penitenziari la palla è prigioniera: non di schemi e tattiche, ma dei muri che circondano porte e linee. Di solito la palla è rotonda, sferica, calcistica, ma altrove – Bollate, Torino, Frosinone… – è anche ovale, bislunga, rugbistica. Di sé, la palla significa libertà: libertà di pensiero, pensiero e azione, libertà di testa e di piede, insegna a rispettare le regole e gli avversari, forma lo spirito di squadra, dà il senso della comunità, regala la forza dello spogliatoio, anche l’odore, anche l’allegria, può addirittura sfiorare l’arte, magari un’arte da circo, e può liberare, almeno nella fantasia, nella creatività, nella genialità, nell’improvvisazione, che non è poco, soprattutto lì, nelle patrie galere. Dove si gioca per sfogarsi, sciogliersi, distrarsi, impegnarsi, ritrovarsi, ripartire. La palla è una luce, un raggio di luce, è un raggio di luce anche nel raggio di un carcere.
Ma c’è, anche nelle carceri, una partita speciale. Non è quella fra reparti o sezioni, non è quella fra italiani e resto del mondo, non è neppure quella fra bianchi e neri oppure fra bianconeri e rossoneri, fra nerazzurri e giallorossi, ma è “la Partita con papà”: per il terzo anno la organizza l’associazione Bambinisenzasbarre con il sostegno del ministero di Giustizia-dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ed è l’unica iniziativa, così, in Europa. In campo i papà, in tribuna i figli. Da oggi, in una cinquantina di istituti penitenziari italiani: dal Marassi di Genova (adiacente allo stadio di Genoa e Sampdoria) al Rebibbia di Roma, dal San Vittore di Milano al Secondigliano di Napoli, dall’Ucciardone di Palermo al Barcaglione di Ancona, e magari ci sarà qualche “clamoroso al” campo di Castrovillari o di Sant’Angelo dei Lombardi, di Voghera o di Vercelli, di Giarre o di Vicenza. Centomila bambini che vedranno i loro genitori, liberi per sport, chi anche di ruolo se la sua squadra non gioca a zona.
Ed è proprio dalla parte dei bambini che bisogna mettersi. “Sono bambini con un segreto – spiega Lia Sacerdote, presidente di Bambinisenzasbarre – perché hanno il papà in carcere e per questo vengono emarginati. Dobbiamo contrastare questa esclusione e liberarli dal peso della vergogna. E’ una responsabilità sociale cui siamo tutti chiamati”. Centomila bambini in Italia, più di due milioni in Europa, separati, privati, orfani. Questa partita – giurano gli esperti – li potrà aiutare. In campo i papà, in tribuna di figli. Vite prese a calci, stavolta vite riprese a calci.
Marco Pastonesi