Della ventina di tatuaggi che mappano Álvaro Bautista fino ai piedi, uno salta subito all’occhio. Sul collo, lato sinistro, il campione del mondo della categoria 125 (nel 2006) ha disegnato una rosa dei venti gigante. “Custodisce un significato preciso: è un’esortazione a cercare la propria strada” spiega il pilota spagnolo, classe 1984. Lui l’ha trovata l’anno scorso, quando ha accettato la proposta della Ducati di correre nella WorldSBK. Una scelta coraggiosa, dopo 17 stagioni di Motomondiale, l’Olimpo delle due ruote. Meglio, una scommessa. Vinta in partenza, con tanto di primato: sulla Panigale V4 R uscita nuova di zecca dalla fabbrica emiliana, il rider dell’Aruba.it Racing Ducati Team ha dominato le 11 gare di debutto (nessuno era mai riuscito a conquistarne tante di fila) e si è dimostrato l’unico capace di mettere in difficoltà il campione in carica Jonathan Rea, recordman da 4 titoli consecutivi.
Il tuo exploit tra le derivate di serie è stato trionfale. Te l’aspettavi?
“Sinceramente, no (sorride, ndr). A fine febbraio, mentre mi preparavo a entrare in pista nella tappa d’esordio a Phillip Island, in Australia, mi ripetevo: ‘I test a novembre erano stati positivi, ma le gare sono un’altra faccenda’. Sbagliavo, per fortuna: appena si sono spenti i semafori, sono andato fortissimo”.
Al punto che sei salito sul gradino più alto del podio non una volta, ma tre.
“Sì, perché ogni round della WorldSBK da quest’anno prevede il triplete di manches. Già una vittoria scatena una gioia esagerata, figurarsi l’en plein! A maggior ragione per me, che non mi godevo il successo dal 2009, ai tempi della 250 cc”.
Il merito di tante vittorie va a te o al bolide che maneggi?
“Lo dividerei equamente. Io non mi risparmio: se competo in questo Mondiale, il motivo è uno solo: aggiudicarmelo. Negli ultimi round ho perso il grande vantaggio che mi ero guadagnato, ma mancano quattro round e ciascuno custodisce un ricco bottino, grazie al quale posso tornare in vetta”.
La strategia?
“Non cadere è scontato; rimanere concentrato e dare il massimo subito, per partire davanti. Se guido il gruppo, sembra che tutto funzioni meglio”.
Hai detto che non ti risparmi; la tua “rossa”, invece, cos’ha di speciale?
“È rivoluzionaria, è la prima Ducati stradale a 4 cilindri della storia e mi sorprende ancora per le prestazioni incredibili. Del resto è figlia della Desmosedici, il prototipo MotoGP”.
Arriva dalla classe regina come te.
“E non è l’unica caratteristica che ci accomuna”.
Cioè?
“Ci somigliamo parecchio. Per esempio, siamo docili di natura, eppure non ci manca la personalità: quando bisogna lottare, tiriamo fuori tutta la nostra grinta”.
Come altro ti definiresti?
“Tenace: non mi arrendo mai, nemmeno lontano dalla bandiera a scacchi. Mi alleno spesso con Maria Herrera, che incontro nel paddock perché disputa il Mondiale Supersport 300. La conosco da quando è nata: suo padre mi ha insegnato a guidare le minimoto e lei ha imparato da me. Maria ha l’entusiasmo dei suoi 22 anni, io ne ho 34, di cui oltre 30 vissuti in sella, ma non sono meno carico: che si tratti di motocross o flat track, ogni sfida è agguerritissima. Nessuno vuole mangiare la polvere”.
A proposito di età e carriera longeva: hai idea di quando appenderai il casco al chiodo?
“No. Però ho una certezza: mi ritirerò nel momento in cui avrò capito che non mi diverto più”.
Credito foto: WorldSBK
Intervista ripresa da: Icon