Navigando nella rete, difficilmente si può sperare di smaltire gli effetti collaterali delle abbuffate appena concluse, ma almeno si viene a conoscenza di discipline che sembrano stravaganti e invece hanno tutti i connotati di sport vero e proprio. Anche perché si tratta sempre di navigare pur restando al coperto, ma sudando davvero. Stiamo parlando di indoor rowing, ossia della versione indoor del canottaggio. Né chi legge né chi scrive è vittima di qualche calice di troppo e non si tratta di un semplice abbellimento del tradizionale vogatore da palestra (per meglio dire, del remoergometro). Appena prima di Natale, il sito letteraemme.it informava del campionato siciliano indoor in programma a Messina al palasport Primo Nebbiolo. L’indoor rowing veniva presentato come canottaggio fuso al fitness. Perché il fitness? Per riprodurre al chiuso il concetto di equipaggio, che deve necessariamente coordinarsi. Per andare a tempo in palestra, cosa meglio della musica?
In realtà il canottaggio indoor nasce nel 1982 a Cambridge, senza musica. Solo che gli inglesi non possono vantare nulla, perché è la Cambridge americana, città a nord di Boston e parte della stessa area metropolitana. È lì che troviamo tra le altre l’Università di Harvard e il MIT. Nemmeno loro possono arrogare niente sul canottaggio indoor. Sul fiume Charles tra il ‘76 e l’80 un gruppo di canottieri olimpici, non solo americani ma certamente tutti studenti delle università locali, si allenavano molto goliardicamente sfidando non di rado l’equipaggio di Harvard. Si facevano chiamare CRASH-B, acronimo di Charles River All Star Has-Beens. Il 1980 è stato però l’anno del boicottaggio americano alle Olimpiadi di Mosca. Sempre in quel periodo la società Concept2 inventò il primo modello di remoergometro. E allora questi buontemponi di gran livello (tra cui anche qualche buontempona), capeggiati da una sorta di triumvirato (Tiff Wood, Jake Everett and Holly Hatton), pensarono bene di organizzare una gara alla Harvard’s Newell Boathouse, cui presero parte una ventina di canottieri, “per spezzare la monotonia dell’allenamento invernale” (così si legge testualmente nel sito ufficiale del campionato mondiale di indoor rowing). Eccoli, i fondatori del canottaggio indoor. Il successo dell’evento fu enorme, tanto che le sedi delle edizioni successive cambiarono molto spesso per adeguarsi al sempre crescente numero di partecipanti, già dai primi anni provenienti da tutto il mondo, Europa in primis. Dall’anno scorso, il campionato si disputa nella decima sede diversa, la Boston University track and tennis Center. L’evento costituisce da tempo il Campionato Mondiale di canottaggio indoor, riconosciuto dalla federazione internazionale di canotaggio (FISA), si disputa ogni anno sulla distanza dei 2000 metri. L’edizione 2020 è in programma il prossimo 1 Marzo, con accesso gratuito per il pubblico. Il titolo di campione del mondo è assegnato al vincitore della categoria Open, in teoria aperta a chiunque – Open, appunto – ma per vincere a certi livelli l’età fa la differenza, per cui sono state presto introdotte le categorie masters (dai 30 ai 49 anni) e veterans (dai 50 in su), a loro volta suddivise di 5 anni in 5 anni. Ogni anno non mancano ai nastri di partenza vecchietti e vecchiette che si smazzano i loro 2000 metri al remoergometro, che a chi scrive, a 38 anni, danno stanchezza solo a pensarci…
A partire dalla voglia di spezzare la monotonia degli allenamenti invernali, è nato uno sport che oggi annovera oltre al campionato del mondo una diffusione capillare a livello amatoriale, con le palestre piene di praticanti che si allenano a tempo di musica o competono, sfruttando la completezza di uno sport come il canottaggio. Senza i buontemponi che non potevano aspettare la fine dell’inverno per competere, non avremmo tutto questo. Questa improbabile lungimirante follia è la stessa che animò, più di cento anni fa, un professore canadese di educazione fisica che cercava un modo per mantenere in allenamento gli studenti nei mesi invernali con qualcosa che fosse più della palestra, in pratica un gioco vero e proprio. Si chiamava James Naismith, non lo conoscono in molti ma è l’inventore del basket. Senza quel distinto signore coi baffi con l’aria di chi sa cosa vuole, ma in realtà portatore sano del gene della pazzia, oggi Michael Jordan sarebbe forse un ignoto giocatore di baseball, Bologna una delle tante città italiane che vanno pazze per il calcio e molti di noi dei grandi appassionati di sport che mentre in ufficio buttano un foglio di carta arrotolato nel cestino sentono un istantaneo, inspiegabile ma enorme senso di vuoto.
*Foto di Igor Belakovskiy, tratta da scullingfool.smugmug.com