Flavio Cobolli, numero 100 del mondo, 21 anni, romano d’adozione, partendo dalle qualificazioni supera 2 turni nel tabellone principale agli Australian Open di Melbourne: dai 5 set contro Jarry al 7-5 6-3 5-7 6-2 con Kotov, e domani sfida l’idolo di casa, De Minaur.
Stefano Cobolli, da ex tennista pro ad allenatore-papà: com’è il doppio ruolo?
“Provavo emozioni più forti da semplice genitore quando Flavio giocava a pallone che a tennis: questo è il mio sport, ne capisco di più e mi sono sempre riuscito a distaccare un po’ perché provo emozioni più da coach”.
Come si fa a scindere i due ruoli?
“La mia soluzione è stata quella di avvalermi di un’altra persona che faccia da filtro. Fuori, gli lascio i suoi spazi: altrimenti non potremmo vivere 300 giorni l’anno insieme”.
Si è mai confrontato con un padre-padrone del tennis come Richard Williams o con chi ha usato le maniere forti?
“No, perché ogni situazione è diversa. Capisco chi – vedi papà Agassi o una mamma autoritaria, come quella di Rune – si impone in un certo modo sin da quando il figlio è molto piccolo perché ne intravede le grandi possibilità: può ottenere grandi risultati come fargli lasciare lo sport. Per me è più importante crescere per la vita che emergere solo nello sport”.
Dal vademecum del papà di un atleta…“
“Bisogna regalargli una cultura sportiva giusta: il rispetto per l’allenatore, per gli avversari e tutte le persone che ruotano attorno allo sport. Fidarsi di un allenatore ed affidarsi a lui. Se è anche coach… Da under 18 a Flavio dava fastidio che avessi un tono diverso rispetto agli altri allievi. L’ho cambiato”.
Stefano e Flavio sono simili o diversi?
“Mi assomiglia molto, ma come uomo è molto più generoso, con una sensibilità fortissima. Come tennista aveva preso i miei aspetti negativi, mi sono battuto: non ero il modello da seguire”.
Qual è il complimento più bello fra voi?
“Non siamo molto affettuosi tra di noi. Gli dico che è stato bravo, anche a voce”.
Quando ha capito che Flavio aveva stoffa?
“Fin da piccolo ho notato che la palla gli camminava, gli usciva in un certo modo dalle corde e ne vedevo le doti fisiche e mentali. Ho sempre pensato che potesse fare il tennista pro”.
Quali sono le migliori qualità di Flavio?
“Ha tennis il timing sulla palla su tutti i colpi, che è molto difficile da imparare, più velocità, soprattutto di piedi, e resistenza”.
Flavio fa super rimonte.
“Da piccolo allungava le partite apposta perché voleva vivere quei momenti quando ha sempre tirato fuori il meglio: esprime un’attenzione, un livello di gioco e di recupero fisico, soprattutto un coraggio, fuori dal normale. In quei momenti è molto bravo – a differenza di com’ero io – è freddo, è vincente, difficilmente gli viene il “braccino”.
Esiste un effetto-Sinner?
“Jannik e Musetti hanno tolto molta pressione ai giovani che ci sono dietro perché hanno reso normali dei risultati fino a 10 anni fa straordinari. Ma non dimentichiamo il ruolo della FITP che ha aiutato tanto i giovani, con tanti più tornei e contributi economici”.
Il tennis è sempre più fisico e testa e meno tecnica?
“C’è anche tanta tecnica, senza è impossibile far camminare la palla a questa velocità”.
Flavio ha mai rimpianto di non aver giocato a calcio nella sua Maggica Roma?
“Aveva due piedi veloci, copriva vari ruoli, penso abbia avuto qualche rimpianto ma è sempre stato convinto della scelta tennis”.
Vincenzo Martucci (tratto dal messaggero del 18 gennaio 2024) foto tratta dal sito della Fitp