Essere di serie B è sempre stato considerato uno status sbagliato, il senso dell’inadeguatezza in qualsiasi campo della vita e del lavoro. Per il calcio essere di serie B ha avuto il peso di una condanna, per i giocatori che vivevano il declassamento professionale come lo sprofondamento di una carriera e per le società, che si attrezzavano senza badare a spese, ma spesso con poco raziocinio, per togliersi il marchio di dosso. Per non parlare poi delle grandi società del calcio nostrano che la serie B l’hanno sempre vista con paura (per le più deboli) e con fastidio (per le più grandi). E la storia è andata avanti così fino al 2010 quando le leghe di A e B si sono separate e per quest’ultima si è aperta una dimensione nuova e inesplorata.
Bisogna partire da sei anni fa per capire come il campionato di B si sia trasformato, spinto da politiche costruite per abbellirne l’attrazione, ma anche per sostanziare la forza di un movimento che aveva la necessità di essere diretto professionalmente, non come in passato. Così il campionato di seconda fascia è stato trasformato in una realtà nuova, ricca di contenuti non soltanto tecnici.
Come sempre la serie B ha regalato campioni che poi hanno sfondato in serie A. Per alcuni di loro il cammino è stato fulgido (Vialli, Del Piero, ultimamente Insigne o Gagliardini) e la loro storia non ha fatto altro che confermare il destino del calcio di seconda divisione: contribuire a crescere i giocatori che non sono ancora campioni ma che hanno dimostrato di possedere doti importanti. Nessuna novità sotto il sole.
Diverso l’aspetto organizzativo. L’avvento alla presidenza della lega di una manager come Andrea Abodi ha trasformato gli obiettivi delle società, alle quali ha offerto il miraggio della realizzazione di stadi nuovi (o ristrutturati) come radicamento del calcio nel territorio con la creazione di una società di scopo (B Futura) per favorire le politiche lanciate nel futuro e nella tecnologia.
Il bacino di utenza delle squadre di B è ormai consolidato, soprattutto in quelle città tradizionalmente più forti e che hanno un recente passato nella massima divisione: sullo zoccolo duro si stanno costruendo premesse importanti. Parliamo di Bari che è prima nel ranking delle presenze allo stadio con una media, quest’anno, pari a 16.780 mila spettatori, seguita da Verona, Cesena, Salernitana che superano il tetto delle diecimila presenze nelle partite casalinghe. Un trend positivo che fa da contraltare alle piccole realtà come Entella (2.350 presenze) e Carpi (2.477) o Latina (2.506), ancorate a un limitato apporto di spettatori, sempre in bilico finanziariamente e vive (nei casi di Entella e Carpi) grazie all’apporto di proprietà solide o sull’orlo del fallimento (come il Latina) perché incapaci di tenere il ritmo con un movimento assai dispendioso.
Anche in questo campo la B ha fatto passi da gigante cercando di gestire società in grado di sopravvivere, aiutando soluzioni (come a Pisa) che ricreassero un clima virtuoso. Nei progetti la sostenibilità finanziaria è la prima e fondamentale regola per partecipare al campionato. Una regola non da poco visti i tempi recenti.
Il cammino non è facile e le scelte devono tenere conto di molti fattori, ma con l’avvento della diretta Tv e la cessione dei diritti a Sky sommate ad adeguate iniziative di marketing, la B sembra essersi tolta il “vizio” di dilettantismo gestionale per vestire le sembianze di struttura autonoma, al passo con il Duemila e, soprattutto, in grado di far fronte a tempi complicati.
C’è poi l’aspetto agonistico. In queste ultime stagioni il campionato è stato attraversato dalla crescita di realtà nuove (Carpi, Frosinone, Spal), dal riemergere di vecchie piazze che non hanno perso il gusto della sfida per tornare in A (Perugia, Bari, Salernitana) e dalla conferma delle solite grandi che, scese dalla A, si attrezzano per risalire immediatamente nella massima divisione. La serie B, grazie anche alla formula delle due promozioni dirette e del playoff con una nuova promozione e playout per evitare la retrocessione, ha dimostrato di non essere mai scontata, soprattutto mai appagata perché ogni formazione non è tranquilla del proprio destino sino all’ultima giornata, a risultato acquisito.
Non per questo le squadre hanno rinunciato all’innovazione tattica e al lancio di nuove speranze che, al contatto con calciatori più esperti e navigati ,possono crescere con pazienza e profitto. La tradizione del passato e la forza della programmazione per il futuro, hanno dato al campionato cadetto una dimensione più consona alle proprie esigenze e aspirazioni.
Fra poche settimane si aprirà un nuovo capitolo dopo le dimissioni di Abodi, che ha sfidato Tavecchio per la presidenza federale: c’è il rischio che le società, sin ora ben dirette, si facciano prendere da tentazioni semplicistiche entrando nel vortice di sottili guerre di potere. L’intrusione di Lotito, padrone della Salernitana, ne è un esempio. Anche questa tornata elettorale per la nomina di un nuovo presidente di Lega (sempre che Abodi non si ricandidi) diventa l’occasione per cancellare definitivamente il dispregiativo “essere di serie B”.
Sergio Gavardi