Dopo un terzo di stagione di Eurolega, Milano è messa peggio della passata stagione, considerata fallimentare. Ora è davanti a 10 partite cruciali: deve cominciare subito, dal Khimki…
Milano deve dare una svolta alla sua Europa. E deve farlo adesso, subito, anche se siamo solo all’inizio e manca una vita alla volata playoff. Arrivata a un terzo della stagione regolare di Eurolega, l’Armani in 10 partite ha conquistato tre vittorie, una in meno della scorsa stagione considerata fallimentare e nonostante una squadra ritenuta da tutti più forte (e meglio allenata). Dodici mesi fa, proprio a dicembre iniziò il calvario dell’Olimpia: 7 sconfitte consecutive, l’addio mesto all’Europa e poi l’agonia fino ad aprile. Non esistono dati certi, ma non si può escludere a priori che quell’insuccesso clamoroso, ultimo posto in classifica, pesò anche sui destini dello scudetto, poi finito a Venezia.
I paragoni tra due anni, due squadre differenti, due allenatori, con avversarie cambiate e calendario differente lasciano ovviamente il tempo che trovano. Quest’anno, ad esempio, le 10 partite future dell’Olimpia, a partire da quella casalinga col Khimki, sono memo impegnative rispetto alla passata stagione: diciamo che a parte la doppia trasferta di Atene e la gara col Cska, sono tutte gare stravincibi: Khimki, Vitoria, Stella Rossa, Malaga, Maccabi al Forum, ancora Malaga e Vitoria in trasferta. Con un 7-3, Milano tornerebbe al 50% di successi, in piena zona playoff in vista della volata finale. Ma anche questi discorsi “calcistici” (quante volte avete letto o visto in tv le tabelle sulle rimonte delle squadre in classifica…) non hanno alcun valore, perché il problema di Milano, almeno finora, è stato molto simile a quello della passata stagione, pur con tutti gli addendi fondamentali cambiati.
L’ultima partita, quella contro l’Efes Pilsen ad Istanbul, squadra che aveva vinto solo due gare nelle prime nove uscite, è stata sintomatica: turchi spesso avanti, Milano che rientra e riesce a sorpassare nell’ultimo quarto (+4 a 6’27” dalla sirena), poi una serie di palle perse sanguinosissime nei possessi cruciali (Gudaitis, Tarcewski, M’Bahie) e poca lucidità nell’epilogo (stoppata subita da Jerrells). Come era ben chiaro fin dalle prime partite della stagione, perse solo alla fine contro le big d’Europa, cosa che aveva fatto persino gridare al miracolo e suscitato grandi applausi, l’Armani non sa gestire i momenti decisivi se Curtis Jerrells non fa l’eroe (a Istanbul era dato in cattive condizioni). Persino domenica, a Reggio Emilia, ha dato agli avversari due tiri per la vittoria dopo aver buttato via un vantaggio considerevole nell’ultimo quarto. Le giustificazioni sono tante: l’infortunio di Goudelock, gli acciacchi vari, la stanchezza (ma Pianigiani continua a non utilizzare molti giocatori, alcuni come Abass appena rivitalizzati dalla Nazionale), etc, etc. Verissimo. Io però continuo a non vedere nell’Olimpia il sacro fuoco di chi, arrivato a Istanbul contro una avversaria che stava peggio di lei in classifica, decide di dare una svolta netta alla mediocrità continentale delle ultime stagioni. Ogni volta Milano perde il treno per risalire. Da oggi non può più permetterselo: se crede davvero in quello che dice di essere, le prossime dieci partite devono rimetterla in corsa.
Milano è una buona squadra, completa anche per l’Europa. E ha dei momenti in cui gioca anche molto bene. Il fatto di vivere in un limbo aureo, normale quando si cambiano i giocatori chiave e l’allenatore dopo una stagione negativa, dove non arrivano mai critiche, né sui giornali né in televisione fatte salve alcune uscite-verità strappate in telecronaca a Hugo Sconochini, non deve far credere a Milano che vada tutto bene così, e non perché ha perso finora tre partite in più, una in Europa e due in campionato, rispetto ai tempi di Jasmin Repesa, in pieno caos Gentile, e già considerato dannoso dalla società e buona parte del pubblico.
Se fossi l’Olimpia, più che le classifiche, ampiamente rimediabili, mi preoccuperebbe un altro dato: sempre un anno fa, dopo le prime 5 gare casalinghe di Eurolega, Milano aveva raccolto 9970 spettatori di media, con due picchi da 12 mila, nonostante avesse dovuto emigrare a Desio (6416 paganti) in una occasione. Quest’anno la media è scesa a 7717, che resta sempre un numero di altissimo rispetto, ma con oltre 2200 presenze in meno. Vero che questi dati vengono pompati o spompati a seconda delle politiche societarie sulle promozioni per il pubblico, ma il dato deve fare riflettere. I pienoni del Forum sono stati la parte più affascinante e significativa della stagione di 2016-17 di Milano, la discesa delle presenze potrebbe anche voler dire che anche i tifosi la pensano più o meno come me: che l’Olimpia ha tutto per far bene in Europa ma non dà l’impressione di dare il 100% quando scende in campo, non sa diventare davvero grande, non si accorge quando una grande occasione per accendere una stagione le sta passando davanti se non quando va sotto di brutto e magari si lancia in una rimonta, qualche volta solo scenografica, quando ormai è troppo tardi.
Il pubblico di Milano, uno dei più pazienti e positivi del mondo, più che le classifiche ad un terzo di stagione, deve essere la ragione primaria per far fare all’Olimpia il salto di qualità anche in Europa. Subito, adesso, dalla gara col Khimki.
Luca Chiabotti