A due mesi dai Giochi invernali in Corea, l’Olimpiade è a rischio, fra il dittatore Kim Jong-Un e lo Zar di tutte le Russie. Sono Giochi a rischio. Mancano solo due mesi ai XXIII Giochi Olimpici Invernali, in programma a Pyeongchang in Corea del Sud dall’8 al 25 febbraio, e due spade di Damocle li minacciano: Kim Jong-Un, il dittatore della Corea del Nord che si balocca con i missili nucleari, e Vladimir Putin, dal 1999 Zar di tutte le Russie.
La decisione del Cio di escludere la Russia per doping è un sonoro schiaffo allo Zar, che avrà certamente una risposta. Ricapitoliamo le decisioni prese a Losanna.
La Russia, prima nel medagliere dei Giochi di Sochi 2014 – 33 medaglie, 13 d’oro – è bandita da quelli di Pyeongchang. Questo provvedimento estremo fu preso in passato per motivi politici, ma mai per l’infamia del doping. Solo gli atleti russi “non positivi”, dopo aver superato gli esami di una commissione all’uopo costituita, presieduta dalla francese Valérie Fourneyron, potranno partecipare a titolo individuale. Senza bandiera. Senza inno. Senza divisa. Cittadini di un nuovo paese, che ha un acronimo nuovo: OAR, Olympic Athlete from Russia. Se vinceranno, udiranno l’inno olimpico, vedranno alzarsi la bandiera a cinque cerchi. La Russia di Putin non figurerà nel medagliere.
Anche il Comitato Olimpico Russo, ROC, è stato sospeso, insieme al suo presidente Alexander Zhukov, che era entrato nella Duma come membro di Russia Unita, il partito di Putin. Zhukov perde anche la carica di membro Cio. Il ROC dovrà pagare una multa di 15 milioni di dollari, che saranno usati per la lotta al doping.
Di più, il numero 1 dei prossimi Mondiali di calcio e vice-premier Vitalj Mutko è stato bandito a vita per il suo ruolo di garante e organizzatore del doping di stato. Mutko è amico di Putin. Era presidente dello Zenit di San Pietroburgo, la squadra per cui tifa Putin, è presidente della Federcalcio russa, è stato Ministro dello Sport nel periodo 2008-2016, ed è il cervello del Comitato organizzatore dei Campionati del mondo di calcio, che l’estate prossima si svolgeranno in Russia. La fase finale del Mondiale di calcio si svolgerà dal 14 giugno al 15 luglio prossimi, con 32 squadre in lizza – manca l’Italia – sarà la più grande manifestazione sportiva mai organizzata in Russia. Quali saranno le conseguenze su questo grande evento?
Il rapporto McLaren ha trovato che 1115 atleti di oltre 30 sport sono coinvolti nel doping di stato. Ci sono 12 medaglie russe dei Giochi di Sochi e c’è anche il calcio. Questo, oltre alla radiazione di Mutko, è una mina sotto il Mondiale.
Il Cio ha già squalificato a vita 6 fondisti, tra cui i primi due della 50 km, Alexander Legkov e Maxim Vylegzhanin (che, però, col beneplacito della Fis di Kasper, stanno gareggiando in Coppa del Mondo come se niente fosse). Ha radiato l’oro dello skeleton Alexandr Tretyakov, che fu premiato da Putin, e Elena Nikitina, che ebbe il bronzo. Ha radiato Alexandr Zubkov, 2 ori nel bob a due e nel bob a quattro a Sochi, che ora – nobile esempio – è presidente della Federazione di bob e skeleton e la pattinatrice Olga Fatkulina, argento sui 500 metri a Sochi. Con loro Maria Orlova, Alexander Rumyantsev, Olga Potylitsyna, Olga Stulneva, oltre ai fondisti Alexej Petukhov, Evgenj Belov, Julia Ivanova, Evgenia Shapovalova.
La Russia è il paese di Tolstoj e Bulgakov, ma la sua storia sportiva è macchiata dal doping. Ai Giochi di Seul, nel 1988, nel porto di Pusan, su una nave russa c’era un laboratorio medico che testava gli atleti russi prima delle gare: controlli di garanzia, come nel laboratorio di Kreischka (DDR), per avere la certezza che i dopati risultassero puliti.
A Salt Lake City 2002 due medaglie d’oro del fondo, la leggendaria Larissa Lazutina – già 5 ori olimpici e 11 mondiali – e Olga Danilova furono squalificate per la darbopoietina. Per non parlare della lanciatrice di peso Irina Korzhanenko, che si era già macchiata di doping allo stanozololo, e, nel 2004, sul terreno sacro di Olimpia volle ripetersi. Vinse l’oro con un sacrilegio e fu radiata.
Putin conosce il doping e non solo per il suo ruolo passato di capo del KGB. La sua ultima fiamma, la bella Alina Kabaeva, 34 anni, oro olimpico nella ginnastica ritmica ai Giochi di Atene 2004 e 9 ori mondiali, perse la vittoria ai Mondiali di Madrid del 2001, perché positiva al furosemide.
Il rapporto McLaren ha esplorato solo il periodo 2011-2015, distruggendo il mito dello sport pulito ai Giochi di Londra 2012 e a quelli di Sochi 2014, ma ci sono altri scheletri da dissotterrare. La Russia non è l’unico paese nel doping. Negli ultimi anni, ad esempio, Kenia e Spagna hanno goduto di protezioni inaccettabili. C’è altro ancora da scoprire.
Si torna in Corea, dopo trent’anni. Nei Giochi di Seul gli atleti-simbolo furono la nuotatrice Kristin Otto, sei ori, e Ben Johnson, la folgore dei cento. Due dopati. Abbiamo bisogno di uno sport diverso. Subito, ora che si va a gareggiare a 80 km dal paese di Kim Jong-Un, temibile e temerario artificiere.
La Russia meritava il bando per le frodi dei suoi vertici sportivi e politici. Resta un grande paese. Ha straordinarie risorse. Se Putin è di San Pietroburgo, lì Gogol, Dostojevskij, Nabokov hanno lasciato tracce assai più nobili. Per non parlare di Puskin che, lungo la Chernaya, morì in duello per aver sfidato un ufficiale galante. Lì abitano anche il coraggio, la cultura, l’intelligenza, la fantasia, la verità.
Claudio Gregori