Una vittoria, dovuta, contro la Georgia e tre sconfitte, di cui due con poco onore e molte – troppe – mete al passivo. Considerando come si è concluso il Novembre ovale della Nazionale azzurra, è forte la tentazione di lasciarsi andare a un bilancio fallimentare: “Diamine, abbiamo preso una valanga di punti e di mete dalla Nuova Zelanda. D’accordo, sono gli All Blacks, ma non è possibile crollare di colpo dopo neanche mezz’ora, esponendoci a una gragnola di azioni e sfondamenti continua, senza la minima possibilità di difendersi!”
Se poi pensiamo a come è cominciata la serie di test-match in queldi Chicago con i verdi d’Irlanda, il disfattismo potrebbe davvero trovare legittimazione e travolgerci. Eppure, in mezzo a quelle due sfide da dimenticare ne troviamo altre due che vanno in direzione opposta.
A Firenze contro la Georgia gli uomini di O’Shea sono scesi in campo con una pressione addosso enorme. Si giocava per un solo risultato, perdere avrebbe significato ridare pieno fiato a tutti quelli che ritengono che l’Italia non sia adeguata al livello del Sei Nazioni e debba competere appunto contro le squadre del Rugby Europe Championship (l’Europa B) come Georgia e Romania. Si doveva vincere e vittoria è stata, non senza errori e di fatto mantenendo sempre in partita gli avversari, ma gli azzurri hanno ribadito sul campo che il solco tra noi e i georgiani è ancora netto. Una settimana più tardi, a Padova, la prova contro l’Australia è stata per molti versi incoraggiante. Una costruzione del gioco a tratti molto piacevole, il merito di aver messo noi una grande pressione ai nostri avversari, già in un periodo molto difficile ma contro l’Italia autori di diversi errori col pallone (tra in avanti e palloni persi) che ai Wallabies non avevamo mai visto fare. Il match ha visto dei chiaroscuri che meritano un piccolo focus. La prima mezz’ora è rimasta fissata sullo 0-0 ma con l’Italia sugli scudi: tante azioni che hanno portato a una quasi-meta di Steyn, che segna dopo che il piede sfiora la linea laterale in seguito al placcaggio, e alla meta su intercetto di Tebaldi annullata senza un perché dall’arbitro francese Gauzère. Poi, il cinismo degli australiani che segnano tre mete tra fine primo tempo e inizio del secondo, uccidendo la partita. A quel punto, la galoppata in meta di Bellini a muovere il punteggio azzurro ancora inopinatamente fermo a 0 e negli ultimi minuti la meta finale di Genia. Da sottolineare come l’Italia abbia saputo reagire al 21-0, giocando bene anche nel secondo tempo ma sprecando troppo (Allan troppo falloso dalla piazzola, mentre gridano vendetta quella caterva di touche rubate dagli avversari tutte allo stesso modo).
In definitiva, non ha senso soffermarsi solo sul bilancio di 1 meta a 4, così come sarebbe inutilmente generoso risparmiare agli azzurri la critica per non aver tradotto sul tabellone la mole di gioco prodotta. Il passo avanti però è stato importante e ha segnato un miglioramento rispetto alla prova con la Georgia. Contro i Lelos di San Giorgio, avversario molto più che ostico, il merito maggiore è stato reggere alla pressione per la vittoria obbligata, contro i Wallabies è stato il miglioramento in termini di qualità del gioco, specie per lunghi tratti del match. Ciò che manca è sempre la cosa più difficile, la continuità. C’è qualche nota positivaanche nella batosta contro gli All Blacks, ma non possiamo girarci intorno: un passivo del genere non è accettabile.
In chiave Sei Nazioni, durante la gestione di Nick Mallet e la prima parte di quella di Jacques Brunel recriminavamo perché ogni volta difettavamo in qualcosa che non così di rado segnava la differenza tra vincere e perdere. Poi, l’involuzione della squadra (dovuta a diversi fattori) si è tradotta in risultati negativi più pesanti che hanno allontanato buona parte del pubblico e lasciatochi è rimasto a rimpiangere il periodo del “questa volta è stata la touche, quell’altra i calci, quella prima ancora la mischia, quando vinceremo?”. In quest’ottica, i match con Georgia e Australia sono ossigeno puro e danno non poca fiducia se consideriamo la continuità che invece stanno raggiungendo le franchigie di Treviso e Parma impegnate in Challenge Cup. Vale la pena dunque non disperare di fronte alle debacle con Irlanda e Nuova Zelanda, tenendoci stretti le ottime prestazioni di alcuni azzurri in particolare, come Abraham Steyn e Mattia Bellini.
Nell’articolo dello scorso 3 Novembre, presentando il test match tra Irlanda e Nuova Zelanda abbiamo scritto erroneamente che se gli irlandesi avessero battuto gli AllBlacks avrebbero conquistato il n.1 del ranking mondiale. Era sbagliato: gli uomini di Joe Schmidt hanno fatto sognare l’AvivaStadium di Dublino, instillato più di un dubbio nella mente dei tutti neri e dato una bella lezione anche al sottoscritto, visto che i neozelandesi restano in cima alla classifica… L’algoritmo che la compila è infernale, ma le scuse stanno a zero. Quelle verso i lettori invece sono dovute.
Ruggero Canevazzi