Nella storia dello sport italiano c’è un personaggio misconosciuto, per molti anni dimenticato dalle gerarchie, forse perché ai primordi dell’olimpismo moderno, ai primi del Novecento, l’invidia aveva terreno fertile. A parecchi non
andava a genio che il conte Eugenio Brunetta d’Usseaux, casato in origine francese, in realtà piemontesissimo, avesse il 10 giugno 1907 dato vita al Comitato nazionale olimpico italiano (CNO) per sostenere la presenza dei nostri atleti ai Giochi di Londra 1908. Casualità vuole che lo stesso giorno, sette anni più tardi, il 10 giugno 1914, sia nato in forma ufficiale il CONI che oggi conosciamo.
Brunetta d’Usseaux, grazie alle fortune della moglie, si divideva fra il castello di Mazzé, dimora estiva non lontana da Torino, e Parigi dove soggiornava per nove messi l’anno. Da molti era consideravano un privilegiato – oggi si direbbe raccomandato – forte dell’amicizia di Pierre de Coubertin, anima dell’olimpismo, conosciuto a Parigi nel 1889. I detrattori non mancavano di rammentare i suoi trascorsi in canoa e a cavallo, in gioventù decisamente mediocri. Storie ben datate, visto che Brunetta d’Usseaux nel 1907 era prossimo ai cinquant’anni, essendo nato a Vercelli nel 1857, il 14 dicembre. Ma soprattutto non gli perdonavano di aver offuscato le figure dei primi nobili italiani entrati a far parte del CIO, nel 1894, il conte Ferdinando Lucchesi Palli e il duca Riccardo d’Andria Carafa, entrambi napoletani, in realtà noti solo ai loro familiari.
Nel 1908, e qui il livore di chi lo avversava toccò i suoi vertici, Brunetta d’Usseaux divenne segretario generale del Comitato Olimpico Internazionale, primo e unico italiano a ricoprire questa carica che manterrà sino alla morte, avvenuta a gennaio del 1919 in circostanze misteriose. Nemmeno è noto il luogo del decesso, chi dice Parigi chi Nizza, e c’è persino chi adombra un intrigo internazionale, visto che Eugenio Brunetta d’Usseaux voleva raggiungere la Russia per accertarsi delle condizioni di un figlio, se ancora in vita e libero dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Tanto che sorsero problemi per le esequie, in quanto il feretro non raggiunse mai Pinerolo, dove lo attendevano per la tumulazione.
Ancorché il Coni gli abbia reso onore e merito con una certa calma – nel 1996 gli ha dedicato una pubblicazione – d’Usseaux è stato certamente un grande protagonista dello sport che viveva i suoi primi passi a inizio Novecento. Si batté a lungo perché l’Olimpiade del 1908 si svolgesse in Italia – il CIO aveva designato Roma già nel 1903 – e mal sopportò l’ostracismo del Vaticano che indusse Vittorio Emanuele III, il suo re, a recedere dalla candidatura per motivi squisitamente economici. La storia non è nuova a repliche, soprattutto nella Capitale, a distanza di oltre un secolo.
Ebbe comunque un ruolo chiave nell’approntare la spedizione italiana ai Giochi di Londra, che rischiava di non partire per mancanza di fondi. Si prodigò per avere i denari dal governo guidato da Giovanni Giolitti, 25mila lire, e re Vittorio Emanuele III contribuì con 6mila lire. Altre 1500 lire vennero dal ministro degli Esteri, il senatore Tittoni. Quel che mancava, la cifra non è nota, lo mise lui che aveva ereditato un’autentica fortuna alla morte della moglie. A Londra, con la sua auto, portò il nostro Dorando Pietri a visionare il percorso della maratona che a distanza di settimane lo avrebbe reso un eroe imperituro A Stoccolma, quattro dopo, Brunetta d’Usseaux presiedette la cerimonia di chiusura dei Giochi svedesi, quelli che si ricordano per l’assenza forzata del pugilato, disciplina allora fuorilegge in Svezia.
Sergio Meda