Correva l’anno 1719 e Daniel Defoe, giornalista e romanziere di Stoke Newington, sobborgo londinese, sempre sull’orlo dell’indigenza e assiduo frequentatore di gogne e malfamate gattabuie, completava tra infinite peripezie il suo capolavoro: Robinson Crusoe. Il romanzo racconta la vita solitaria di Robinson, naufrago su un’isola sperduta e disabitata. Spinto dalla necessità di sopravvivere supera le difficoltà riuscendo a soddisfare i suoi bisogni primari. L’incontro con il nativo Venerdì offre al lettore, oggi come allora, riflessioni più o meno profonde sull’ineguaglianza dei rapporti umani.
Ritenuto modello ideale della vita a contatto con la natura, l’opera venne accolta con grande interesse dalla società del XVIII secolo e fruttò a Defoe l’epiteto di padre del romanzo inglese. Un successo giunto intatto fino ai giorni nostri: il riadattamento in chiave contemporanea proposto da Robert Zemeckis nel suo celebre Cast Away è lì a testimoniarlo.
Ma perché, vi starete chiedendo, questa digressione a tema letterario? Molto semplice: la squadra di calcio dell’Isola di Robinson Crusoe è pronta a esordire nella Coppa del Cile. Sì avete capito bene. E non si tratta di un esercizio di goliardia o di una trovata pubblicitaria per incentivare il turismo verso l’atollo. Sabato 27 aprile, contro i Santiago Wanderers, si assisterà a questo incredibile intreccio tra pallone e letteratura.
Lo sterminato villaggio globale del calcio si compone anche di squadre che si sono addentrate negli angoli più reconditi, ostili e, apparentemente, inviolabili del pianeta pur di disputare novanta minuti più recupero inseguendo una palla. Ma ben poche compagini di qualsiasi latitudine possono vantare nella loro più o meno lunga storia di aver giocato una partita in un luogo in cui è stato ambientato il romanzo cardine della storia della letteratura britannica. Quanti calciatori possono dire di aver calcato il suolo di un lembo di terra diventato leggendario nella cultura di massa e, di conseguenza, oggetto di innumerevoli rivisitazioni, parodie e imitazioni più o meno maldestre? Una squadra a breve potrà affermarlo orgogliosamente, quanta invidia: il 27 aprile, infatti, i Santiago Wanderers, neanche a farlo apposta i “vagabondi” di Santiago del Cile, sbarcheranno, o forse sarebbe meglio dire naufragheranno dolcemente, riprendendo le parole di Giacomo Leopardi, sull’Isola di Robinson Crusoe per disputare la loro prima partita nell’edizione 2024 della Coppa nazionale. Contro di loro ci sarà una matricola al ballo dei debuttanti nella competizione, una compagine ufficialmente nota come Juan Fernández ma che tutti ovviamente hanno soprannominato affettuosamente e con un pizzico di poesia “la squadra dell’isola di Robinson Crusoe”.
L’Isola di Robinson Crusoe è una delle isole facenti parte dell’arcipelago di Juan Fernández, ed è nota anche con il toponimo di Más a Tierra o Aguas Buenas, è qui che approdò per vie traverse Alexander Selkirk, navigatore scozzese che ispirò poi Daniel Defoe.
«Dio mi ha condotto qui e lo ringrazio per questo», parla così Jorge Garcés, l’allenatore del Juan Fernández, veterano del calcio cileno ed ex allenatore non solo dei Santiago Wanderers ma anche per un breve periodo della Nazionale del Paese (2001), quando gli domandano lumi circa la sua esperienza a contatto con lo spirito dell’isola. Garcés è lì da ormai due mesi; a fargli compagnia 1200 residenti. La sua missione? Costruire e allenare una squadra di calcio in uno dei luoghi più sperduti del mondo. Un puntino sulla mappa situato a 670 chilometri di distanza dalla terraferma e raggiungibile solo volando a bordo di aerei medio-piccoli, gli unici che possano atterrare e decollare dalle minuscole piste presenti sull’isola.
Stavolta, però, per suggellare la solennità del momento, si è deciso di fare le cose in grande: su iniziativa della Federcalcio cilena, che ha “invitato” il Juan Fernández a partecipare a questa edizione della Coppa del Cile, il viaggio sarà affidato addirittura alla Marina militare del Paese. Secondo i cronisti sportivi cileni, la maggior parte dei Santiago Wanderers, tra giocatori e staff, raggiungerà infatti l’isola a bordo dell’“Aquiles”, una nave militare, mentre l’allenatore Francisco Palladino arriverà via aereo assieme a sette suoi giocatori. Ad attenderli al gate dell’aeroporto ci saranno più di cento persone, sbarcate sull’isola appositamente per essere testimoni di questa incredibile pagina di sport dell’era globale.
Ma come si fa l’allenatore sull’Isola di Robinson Crusoe? Come spiega Garcés, è un mestiere diverso e difficile. Non tutti gli allenatori, infatti, devono trovare il modo di far quadrare gli impegni calcistici con il fatto che la maggior parte dei giocatori a disposizione si alzino dal letto alle cinque del mattino per andare a pesca, la principale fonte di reddito degli abitanti dell’isola. Ma Garcés pare avere la stoffa dell’inguaribile ottimista: «Sette od otto ragazzi sono molto interessanti», dice dei suoi giocatori. E poi, non tutti gli allenatori hanno il privilegio di avere a che fare con calciatori che li ringraziano lasciando succulente aragoste davanti alla soglia di casa: è infatti questo il piatto tipico dell’isola, i ristoranti locali la servono nei modi più disparati ma sempre gustosi.
Ora si capisce perché, contrariamente allo sfortunato Robinson Crusoe o a quel Chuck Noland magistralmente interpretato da Tom Hanks, Garcés abbia detto di voler rimanere a lungo ad allenare il Juan Fernández.