Roma riscopre le emozioni forti con un pizzico di dolce vita: il presidente Pallotta si tuffa nella fontana di piazza del Popolo, a due passi dall’albergo di riferimento. Niente a che vedere con Anita Ekberg, ma dietro questa esibizione c’è la voglia di cavalcare la tigre e di ricordare alle autorità competenti che il fondo statunitense Raptor, un nome, un programma, è sbarcato nella Capitale per costruire il nuovo stadio, affare colossale anche per la terribile burocrazia che annoda e scioglie senza soluzione di continuità.
Ma il vero eroe di questa indimenticabile rimontada è un signore abruzzese con gli occhiali da professorino che interpreta un personaggio inedito o quasi nel panorama del calcio italiano: Eusebio Di Francesco, che per la cronaca aveva già rifilato un 3-0 a Valverde con il Sassuolo dominatore del Bilbao, é riuscito a imporsi in un ambiente dove convivevano le vedove di Totti, gli orfanelli di Spalletti e il dettato delle plusvalenze.
In realtà Di Francesco portava con sé un curriculum quasi esclusivo nel panorama del calcio italiano. Prima di guadagnare una delle panchine più calde del campionato, Di Francesco era stato un giocatore della Roma e successivamente un apprezzato dirigente. Conosceva dunque dall’interno i complicati meccanismi di una piazza che passa velocemente dall’adorazione alla crocifissione, cosa che gli ha consentito di imporre le sue regole senza troppe scorciatoie. Ha passato momenti difficili anche per colpe non sue, ma la vittoria sul Barcellona e sulla sua infinita presunzione lo consacra ufficialmente tra i tecnici di prima fascia. Presentato come figlioccio di Zeman, il prode Eusebio ha invece dimostrato che non esiste lo schema perfetto e inviolabile: nella notte della leggenda la Roma ha giocato con un inedito 3-4-3 cbe ha prima confuso e poi annichilito gli spagnoli. “Se la Roma avesse perso mi avreste lapidato” ha poi detto ai che gli dedicavano un applauso Naturalmente ha ragione.
Enrico Maida
(foto laroma24.it)