Tutti ricordano i momenti più belli, più difficile non scordare i più brutti. E’ così anche per Franco Tentorio che, nonostante una memoria ferrea, preferisce “conservare solo le vittorie”.
Nonostante una lunga carriera nella politica cittadina culminata con un mandato da sindaco di Bergamo, il commercialista orobico non ha mai nascosto la propria passione per lo sport e in particolare per il calcio, passione trasmessa dal papà Luigi che ha segnato un pezzo di storia dell’Atalanta e della Nazionale Italiana.
Un dirigente d’altri tempi, capace di portare a Bergamo grandi campioni del Nord Europa attraverso un’attività simile a quella che oggi fanno gli scout: “All’Atalanta lui svolgeva un ruolo simile a quello del direttore sportivo. Il presidente Daniele Turani si fidava totalmente di mio padre tanto che era lui a decidere gli allenatori e i calciatori, mentre il senatore della Democrazia Cristiana metteva i soldi necessari. Gli acquisti sono stati numerosi, ma senza dubbio il più importante rimane quello di Hasse Jeppson, segnalato da don Silvio Porisiensi, un sacerdote bergamasco residente in Danimarca -. racconta Tentorio -. Proprio a questo episodio è legato uno dei primi ricordi della mia vita che mi vede chiedere a mia madre dove si trovasse papà visto che non lo vedevo da giorni e lei rispondermi che si trovava all’estero. Infatti era in Svezia, proprio per Jeppson”.
L’acquisto va in porto, Jeppson arriva in Lombardia nel 1951 per 35 milioni di lire, trascina l’Atalanta a una salvezza tranquilla con 22 gol realizzati in 27 gare e consente al club di Turani di realizzare una plusvalenza memorabile. L’attaccante svedese passa al Napoli l’estate successiva per 105 milioni venendo soprannominato “o Banco ‘e Napule” per l’ingente valore.
Hasse Jeppson con la maglia dell’Atalanta
Da Pierluigi Pizzaballa a Jørgen Sørensen passando per Poul Rasmussen, Karl Aage Hansen, Bengt Gustavsson senza dimenticare Angelo Domenghini, i talenti scoperti da Luigi Tentorio sono tanti, ma Franco è sicuro che il nome più amato dal padre fosse un altro.
“Secondo lui il miglior acquisto fu Humberto Maschio che faceva parte di quella triade nota come ‘angeles de la cara sucia’ (angeli dalla faccia sporca) e che era composta da Omar Sivori e Antonio Valentin Angelillo – ricorda l’ex primo cittadino -. Lui giocava a Bologna, ma grazie all’amicizia con il presidente dei rossoblù riuscì a strapparlo e portarlo in nerazzurro. Lui si trovò così bene a Bergamo che si sposò una bergamasca e diventò un grandissimo centrocampista, capace di fare molti gol”.
Proprio quella memoria “ballerina” nega a Franco di ricordare appieno l’esperienza di Luigi Tentorio alla guida della Nazionale Italiana a partire dal 1954 quando, dopo il flop ai Mondiali in Svizzera, viene coinvolto nel progetto promosso dal presidente federale Ottorino Barassi che offre il posto di ct ad Alfredo Foni affiancato dal direttore tecnico Luciano Marmo e da una commissione che vede la presenza dell’atalantino insieme al vicepresidente Giuseppe Pasquale e all’ex campione del mondo Angelo Schiavo.
All’inizio i risultati arrivano, ma poco dopo la parabola torna a discendere così nel dicembre 1956 il presidente federale decidere di cambiare. Nella primavera 1957, in vista delle qualificazioni ai Mondiali 1958, Barassi promuove Foni a ct unico e retrocede Marmo alla commissione di controllo. La situazione non migliora: il 12 maggio l’Italia viene travolta per 6-1 dalla Jugoslavia a Zagabria nel match di Coppa Internazionale e così si convoca una riunione d’emergenza con Barassi che decide insieme agli altri la formazioni in vista della sfida con il Portogallo.
Il risultato però non cambia: gli azzurri perdono 3-0 e si inizia quindi a stilare un “programma di 14 punti” per salvare il calcio italiano iniziando a pensare a un parziale blocco per gli stranieri. Il percorso verso i Mondiali non appare però compromesso, almeno sino al terribile match di Belfast dove l’Italia esce sconfitta dalla ripetizione con l’Irlanda del Nord seguito da un altro tonfo con l’Austria a Vienna.
Lì si conclude l’esperienza di Tentorio sulla panchina della Nazionale che però, come riportato da Franco, ha vissuto anche qualche momento positivo: “Nel 1956 arrivano nel nostro paese il Brasile e l’Argentina per delle amichevoli. Vinciamo in entrambe i casi, ma questo non bastò perché qualche mese dopo andammo in Sudamerica, perdemmo e lo sostituirono. Nonostante ciò, ricordo con grande piacere l’approdo in Nazionale del bergamasco Marino Perani”.
L’undici azzurro capace di superare il Brasile per 3-0 a San Siro nel 1956
Oltre ad esser un eccellente tecnico, capace di guidare in panchina l’Atalanta per una stagione insieme a Francesco Simonetti, Luigi Tentorio è stato anche un giocatore simbolo della Dea fra la fine degli Anni Venti e l’inizio degli Anni Trenta con una piccola parentesi con il Pro Palazzolo.
Un attaccamento alla maglia che lo porta anche a rinunciare al trasferimento nel “Grande Torino”: “Fra i granata uno dei titolari si era rotto una gamba e così contattarono mio padre proponendogli un contratto. All’epoca non si viveva solo di calcio e mio papà era appena diventato ingegnere – chiosa Franco -. A quel punto lui richiese un posto di lavoro per poter mantenere la propria famiglia, ma non riuscirono a trovarglielo e così rimase a Bergamo”.
La carriera di Luigi Tentorio si concluse nel 1966 quando il calcio iniziò a cambiare e le società a diventare delle vere e proprie aziende. Una situazione insostenibile per chi aveva vissuto quel mondo con la fiducia che possiede soltanto chi vive il proprio lavoro come una passione: “L’età avanzava e i tempi stavano cambiando, ma ci sta, perché per quanto probabilmente si vada verso un peggioramento, anche il calcio inesorabilmente è costretto a far i conti con questo fenomeno – conclude l’ex sindaco -. Tuttavia io non ho mai smesso di seguire l’Atalanta e ancora oggi possiedo l’abbonamento, anche se non ho mai posseduto il suo talento. Come diceva lui ‘I me s-cèt, a futball, I è töcc e tri broc (i miei figli a calcio sono tutti e tre brocchi, NdR)”.