“Baby on board”, con tanto di biberon a fianco: è la grafica che spicca alle spalle di Oliver Köning (cognome di origine tedesca, significa “re”, decisamente di buon auspicio), quando è seduto nel suo box e sul suo casco. “L’ho scelta io. Sono il più piccolo della WorldSBK, in tanti me lo facevano notare, e ho pensato fosse divertente prendermi un po’ in giro” spiega il pilota ceco del team Orelac Racing Vernatura, classe 2002.
Dalla WorldSSP300 quest’anno sei passato alla WorldSBK (con un’esperienza al round indonesiano nel 2021, ndr): com’è stato il salto?
“Impegnativo. La difficoltà maggiore l’ho trovata nel setup: per la 300 era fisso tutta la stagione, qui, invece, a ogni round bisogna sistemare la moto, tra potenza, elettronica e tutto il resto”.
A proposito di potenza, cos’hai provato, quando nei test precampionato hai aperto il gas della Kawasaki ZX-10RR?
“Un’emozione pazzesca, non ci credevo! Però, ormai ci ho fatto l’abitudine e ne vorrei di più” (ride, ndr).
Raccontaci quando sei salito in sella la prima volta in assoluto.
“Mio padre guida su strada ed è appassionato di MotoGP e WorldSBK: non mi perdevo nemmeno una gara in tv insieme a lui e andavamo sempre a vedere la tappa di Brno di entrambi i campionati. Gli ho chiesto in regalo una moto a 3 anni e mezzo e mi ha accontentato. Ho iniziato con il motocross, ma non brillavo. Meglio la pista, anche per questioni di sicurezza: a 11 anni ho vinto il campionato ceco minimoto e, nel 2015 e 2016, sono arrivati i due titoli europei Stock 250”.
Papà ti dà dei consigli?
“Dopo che l’ho battuto in un duello nel 2015, ha smesso. Dice che non avrebbe senso. Non si esprime più nemmeno al termine delle gare, però capisco comunque la sua opinione dallo sguardo”.
Abiti con i tuoi genitori?
“No, sono separati. Nel 2020 sono andato a vivere con mia sorella maggiore, ma dall’anno scorso convive con il fidanzato e io abito da solo”.
Ti dispiace
“No, ho un bel gruppo di amici con cui chiacchiero, ai workshop parlo parecchio e apprezzo la pace e il silenzio della casa deserta. E me la cavo anche in cucina. Il mio piatto preferito è la pasta: in un attimo è pronta”.
È vero che frequenti l’università?
“Frequentavo. Lo scorso inverno mi riuscivo a studiare, anche perché la mano rotta impediva gli allenamenti. Ho concluso il primo semestre e mi sono fermato: il lavoro non mi lascia spazio per studiare. Adesso preferisco concentrarmi sulle moto, è un’occasione unica. Magari mi laureerò a 40 anni, c’è tempo!”.
A fine mese ti aspetta il round di casa, a Most.
“Il mio battesimo sul podio, l’anno scorso con il terzo piazzamento, è stato proprio lì, a 100 km da Praga, dove sono nato e risiedo. Per celebrare il risultato mi sono tatuato il 52, mio numero di carena, sul braccio. È l’unico tatuaggio che ho: appena guadagno qualche punto in classifica, mi premio con un altro”.
Il tuo idolo in pista?
“Da bambino in cameretta avevo poster di diversi piloti, Rossi, Bautista, Redding, per esempio. Poi mi sono costruito un mito tutto mio, che mette insieme i pezzi, tipo robot: con le “parti” migliori di ciascuno assemblate, dalla staccata alla partenza”.
Bautista e Redding adesso li trovi in griglia di partenza.
“Un onore. Ogni tanto mi capita di chiedermi se meriti di stare in mezzo a dei fenomeni. Di Scott (Redding, ndr), tra l’altro, ho un bellissimo ricordo. L’ho incontrato due anni fa durante un track day: la mia 300 aveva terminato la benzina e lui mi ha spinto fino al box”.
Credito: Dario Aio