Svelato ieri il percorso della corsa della prossima estate: partenza da Nizza il 27 giugno (una settimana prima del solito per le Olimpiadi) e arrivo a Parigi il 19 luglio dopo 9 tappe piane, 8 di montagna con 4 arrivi in salita (una cima inedita: Col de la Loze, a 2.304 metri) e una sola cronometro individuale, a la Planche des Belles Filles. Un percorso disegnato pensando ai corridori di casa: Pinot e anche Alaphilippe.
Jean-Luc Gatellier su l’Équipe scrive che si tratta “di un percorso decisamente orientato verso la modernità”.
Il nord dell’Ottagono? Tagliato fuori. Il mare? Uno spicchietto di Mediterraneo il primo giorno, un’ampolla di Atlantico il decimo. La prima salita? Il secondo giorno e non da sola. I Pirenei? L’ottavo, ma prima ci sarà il Mont Aigoual, nelle Cévennes. Le crono? Quelle tradizionali, eliminate. La battaglia conclusiva: Pirenei o Alpi? Nessuna delle due. Le salite leggendarie? Praticamente nessuna. Benvenuti al 107° Tour de France, quello 2020. Se l’edizione di quest’anno ha entusiasmato, quello del prossimo ha stupito gli ospiti della presentazione parigina di ieri. … Insomma, via le crono piatte, via le tappe troppo dure, insidie e trabocchetti a ogni angolo, una Boucle che piace agli scalatori ma anche a uomini come il furetto francese Julian Alaphilippe.
Marco Bonarrigo, Corriere della sera
Il coraggio di cambiare
La corsa più grande, più famosa e più prestigiosa al mondo, dopo più di un secolo sa ancora stupire. Con il coraggio di cambiare. Sarà un Tour per scalatori, fin dalla seconda tappa che presenta inaspettatamente 4mila metri di dislivello, una novità per la Grande Boucle, famosa invece per i suoi primi giorni di noia assoluta. Una prima settimana per fachiri, un’ultima – sulle Alpi – per uomini di fatica.
Alessandra Giardini, Corriere dello sport-Stadio
Il ricordo di Gimondi
Un Tour all’italiana, con tanti omaggi e ricorsi storici. Due su tutti: la quarta tappa propone Orcières-Merlette, teatro nel 1971 della indimenticabile battaglia fra Ocaña e Merckx, con lo spagnolo capace di rifilare 9′ al belga; a Pau (nona frazione) la Grande Boucle ricorderà invece il nostro Felice Gimondi. Un Tour all’italiana, con il coraggio di osare, proponendo nuove salite, disertando i giganti sacri come Tourmalet, Galibier, Alpe d’Huez e Ventoux, ma battendo sentieri inesplorati, mai banali e pensati a consumo dello spettacolo: televisivo (dove i milioni di euro in ballo sono tanti), ma anche dei tifosi (pure qui parliamo di milioni) che aspetteranno l’arrivo del gruppo lungo le strade della corsa.
Francesco Ceniti, la Gazzetta dello sport
Il ruolo che avrà Froome al rientro
Il grande punto interrogativo riguarda Chris Froome. Il britannico ha un palmares infinito (4 Tour, un Giro e 2 Vuelta, l’ultima nel 2017 in doppietta con la Boucle) ma è fermo per la drammatica caduta del 12 giugno a Roanne, al Delfinato. Dalla squadra trapela ottimismo sul suo recupero («Non ho dubbi che torni a pedalare come prima», dice per esempio Tosatto) ma anche ieri mattina, alla presentazione del Tour, Chris zoppicava ancora vistosamente.
In più a maggio compirà 35 anni, età alla quale non è facile neppure per un campione portare a casa il successo. Ma Sky/Ineos ci ha insegnato che l’improbabile, se non anche l’impossibile, può diventare realtà.
Claudio Ghisalberti, la Gazzetta dello sport
La salita inedita (e perfida)
“Solo un grande campione potrà vincere al Col de la Loze. Il profilo della tappa invita i favoriti del Tour a essere audaci. Non conoscono ancora la strada che li porterò quel giorno al Col de la Madeleine e non hanno idea di cosa li aspetti una volta giunti al resort di Méribel. Da lì avranno ancora 7 km di strada irregolare da scalare con alcuni passaggi oltre il 20%. Il prototipo della montagna del XXI secolo”
Christian Prudhomme, direttore generale del Tour. Sul sito della corsa e a l’Équipe
La salita della cronometro (che piace tanto agli italiani)
La Planche des Belles Filles, forse perché quasi tutta all’ombra, in mezzo al verde, fa meno paura rispetto a salite più famose, ma non è un osso tenero. Obbliga a cambiare spesso ritmo, alternando muri, falsipiani, discesine [1]. Il nome vuol dire “piana delle belle ragazze” e sembra derivi da una leggenda secondo la quale durante la Guerra dei Trent’anni, nel Diciassettesimo secolo, alcune ragazze dei vicini villaggi andarono a suicidarsi per non essere rapite dai soldati mercenari [2]. Piccola proposta geografica: annettiamo La Planche Des Belles Filles all’Italia. Il Tour l’aveva scoperta nel 2012 e Nibali arrivò quarto tra i giganti (primo Froome), ideale preludio al primo podio francese. Sempre lo Squalo dominò in maglia tricolore nel 2014, e tre anni dopo la maglia-bandiera festeggiò ancora grazie a Fabio Aru. Stavolta, al culmine di una tappa da sette Gpm e 4.000 metri di dislivello, è andata in porto una fuga da lontano in cui Ciccone – anche maglia bianca – ha creduto dall’inizio.
Ciccone, senta questa: lo sa che finora chi era vestito di giallo il giorno della Planche Des Belles Filles lo è poi stato anche a Parigi? Wiggins nel 2012, Nibali nel 2014, Froome nel 2017.
Sorride. «Beh, è una serie piccola, ma quest’anno si interromperà» [3].
[1] Gianni Mura, la Repubblica, 6 luglio 2017
[2] Gabriele Gargantini, Il Post, 6 luglio 2017
[3] Ciro Scognamiglio, la Gazzetta dello sport, 12 luglio 2019
Tratto da www.loslalom.it
Il meglio del racconto sportivo. Scelto e commentato