Nell’aria c’è odore di aceto, a volte di caramello. Dipende se l’eroina è ancora solida o se è stata appena fumata. Spanish Town e Montigo Bay sono in fermento, le gang si dividono il territorio. Rapine e omicidi sono il loro pane quotidiano.
Joe è arrivato a Kingston due settimane fa. Si è portato dietro un misto di sentimenti. Ha girato l’Europa con la sua band, fregandosene di avere un appuntamento con un gigante che picchia come un mulo. Il problema non è solo suo, ma dell’intero clan che non ha ancora capito cosa li aspetti.
I bookmaker danno favorito Smokin’ Joe. Devi puntare tre dollari e mezzo su per vincerne uno. E allora anche lui si è convinto che il match sarà facile, un mondiale da boxare con una mano sola. Preferibilmente quel sinistro che, portato in gancio, gli ha dato tante soddisfazioni.
Don King è andato nel suo campo di allenamento, l’ha avvicinato e gli ha detto cinque semplici parole: “Sono convinto della tua vittoria.” Anche questo avrebbe dovuto metterlo in allarme, ma quando non vuoi vedere, si sa, diventi cieco.
Joe si è preparato al Palyboy Club Hotel di Great Gorge a McAfee, nel New Jersey. Un freddo boia, neve e il vento che in dicembre ti taglia la faccia. Poi è piombato in Giamaica è ha scoperto che fa caldo, tanto caldo. Mai sotto i 33 gradi, con un tasso di umidità tale che ti sembra di essere perennemente nell’acqua calda di una piscina.
Questa cappa di afa ha spezzato ogni equilibrio. Smokin’ Joe adesso è nervoso. Vede nemici ovunque, non vuole neppure mangiare quello che gli passa la cucina dell’albergo. Alza il telefono e ordina direttamente negli Stati Uniti.
“Ehi Bob, sono Joe.”
“Che succede campione?”
“Mi vogliono avvelenare, ho bisogno di te.”
“Chi ti vuole avvelenare? Chi? Vuoi che venga lì?”
“No. Voglio che mi mandi aragoste e bistecche surgelate. Subito.”
“Tranquillo, sarà fatto!”
Bob è Robert Menz ed è il proprietario del miglior ristorante di Cape May, New Jersey. Lì Joe Frazier è cliente fisso.
Aragoste e bistecche arrivano puntuali.
Puntuale anche la telefonata di Muhammad Ali due sere prima del match.
“Ehi Joe?”
“Che c’è?”
“Lo sai che stai per fare una stupidaggine?”
“Che vuoi?”
“Stai per farti massacrare da un brocco che picchia forte.”
“Vai a farti fottere.”
“’notte Joe.”
Come se non bastassero i mille problemi che già gli frullano nella testa, Joe si agita per qualcosa che lo preoccupa più di tutto. Per la prima volta a bordo ring ci sarà Marvis, 12 anni. Suo figlio. E questo porta il nervosismo a livelli davvero pericolosi.
Quando lascia la stanza per andare allo Stadio Nazionale sente una musica che entra nell’anima. La hall dell’albergo è avvolta da una melodia coinvolgente. Il reggae di Bob Marley e Peter Tosh, i Wailers, non fa prigionieri. Punta dritto a cuore e nessuno riesce a resistergli.
Joe ama la musica, ma stavolta ha davvero troppi pensieri per la testa. Devi difendere il mondiale dei massimi, una cosa tanto grande da coinvolgere presidenti e celebrità. Lui c’è arrivato dopo mille sacrifici e non ha alcuna intenzione di finire qui l’avventura. Intascherà un minimo di 850.000 dollari o il 42% dell’intero giro di affari. Comunque finisca, il conto in banca diventerà più robusto. Ma al campione in questo preciso momento non importa davvero niente dei soldi.
Arriva allo stadio. Ci sono trentaseimila persone impazzite per la sfida. Voglio vedere sangue, sudore e lacrime. Saranno accontentati. Tra i familiari di Frazier, proprio accanto a Marvis, siede Don King.
Nel camerino dello sfidante c’è un silenzio assordante. Archie Moore prende tra le mani la testa di quell’omone e gli sussurra parole piene di passione.
“Guarda Joe. Fissalo dritto negli occhi, fino a quando in quegli occhi non troverai te stesso. Allora capirai che il viaggio è finito, perché sarai tu il nuovo campione.”
Si comincia. Primo round.
Il gigante colpisce e Frazier va giù. Tre volte al tappeto in meno di una ripresa.
Montanti e ganci devastano Smokin’ Joe. Scuotono il suo corpo, lanciano segnali inquietanti al cervello, annullanno ogni resistenza e riempiono la mente di domande che non hanno risposta.
Secondo round.
Ancora tre atterramenti. Frazier vola, atterra sul ring. Sembra quasi rimbalzare sul tappeto. L’altro lo guarda con un volto privo di espressione. Sta solo facendo il suo lavoro.
“Basta papà! Basta!” urla Marvis.
Don King lascia i Frazier, avanza fila dopo fila, sedile dopo sedile sino a finire a un passo dall’angolo dello sfidante.
Arthur Mercante, l’arbitro italo-americano, interviene e ferma il match. Sono passati 2:26 dall’inizio della seconda ripresa.
Don King grida al mondo.
“Sono arrivato con il campione, me ne vado con il campione!”
È il 22 gennaio del ’73.
Big George Foreman è il nuovo re dei pesi massimi.
Dario Torromeo
(tratto da http://dartortorromeo.com/)