Domenica parte il campionato di baseball americano, la Mlb che dal 1876 (allora solo come National League), accompagna milioni di appassionati da aprile a novembre, il vero passatempo nazionale degli Stati Uniti. Cosa mai potrà succedere quest’anno più di quanto sia accaduto nella stagione scorsa? Piccolo ripasso: nel 2016, hanno vinto i Chicago Cubs che inseguivano il loro terzo titolo dal… 1908, anno dal quale hanno sommato 8 finali perse, tutte un po’ datate: l’ultima apparizione fu nel 1945. Hanno battuto i Cleveland Indians nelle World Series 4-3, rimontando da 1-3, una delle sei squadre a riuscirci in 112 anni, vincendo gara-7 che resterà della storia come una delle più grandi partite che hanno assegnato il titolo (molti l’hanno definita la più grande) per 8-7 all’extra inning (il supplementare). Il tutto dopo aver regalato colpi di scena, storie straordinarie, come quella di Kyle Schwarber, infortunatosi dopo due gare della stagione e tornato a tempo di record, ma ancora non guarito completamente, per giocare da eroe le World Series, e pure la pioggia, che ha fatto sospendere e ritardare la gara, un segno del destino a favore dei Cubs. La cosa interessante, quasi impossibile da noi ma possibile nel mondo professionistico americano, è che solo due anni prima della conquista del titolo, i Cubs si erano classificati ultimi nella loro division per la quinta stagione consecutiva. Dietro la repentina scalata c’è la mente di Theo Epstein, il presidente-gm della squadra, che nel 2004 costruì una favola analoga a Boston, quando i Red Sox conquistarono il titolo dopo una “secca” durata 84 anni. Ci affidiamo agli esperti di Espn per dirvi che quest’anno Cubs e Indians sono di nuovo le due squadre favorite per scontrarsi nelle World Series 2017 davanti a Boston, Los Angeles Dodgers, Houston Astros, Washington Nationals etc etc.
In Italia facciamo fatica a comprendere cosa significhi la Major League Baseball per il pubblico americano: se il football è lo sport più popolare pound per pound, vista l’eccezionale carica emotiva delle poche partite concentrate in 4 mesi, i quasi 74 milioni di spettatori paganti stagionali, il quadruplo della Nfl, più del triplo della Nba, fanno del baseball un fenomeno unico nel mondo anche per l’impressionante numero di gare, quasi 2500. Se prendete, nel calcio, la Champions league e i dieci campionati più visti in Europa a partire da Bundesliga, Premier, Liga, Serie A, Ligue 1 mancano ancora 10 milioni di biglietti venduti l’anno rispetto alla Mlb. Io, che non sono assolutamente un tecnico ma resto affascinato dalla storia, ho un debole per i Cubs per un motivo preciso: Wrigley Field. Che è lo stadio, anzi il ballpark, di casa. E’ stato costruito nel 1914 ed è ancora lì, anche se nel mezzo di un adeguamento multimilionario. Vedere una partita a Wrigley è una esperienza emotiva. Come a Fenway Park di Boston, più vecchio di un paio d’anni (è del 1912). Quest’anno, due delle tre squadre date favorite per il titolo da Espn sono proprio Cubs e Red Sox che giocano nei due stadi più antichi della Lega. Ma possiamo dire tre delle prime quattro: la terza sono i Los Angeles Dodgers, anche se il Dodgers Stadium è “solo” del 1962. Piccolo particolare, tutte e tre non hanno battezzato il loro ballpark con il nome di uno sponsor. Non sono discorsi di nostalgica retroguardia: Wrigley Field, Fenway Park e il Dodgers Stadium sono bellissimi stadi, capienti, comunque comodi. Che riescono a sostenere il business anche senza spettacolosi centri commerciali. E, considerando che lo stile di molti stadi costruiti di recente è il cosiddetto “retro classic” o “retro modern”, cioè richiamano la tradizione del baseball fino agli anni Sessanta, solo Wrigley e Fenwey sono autentici, dei “Jewel Box”, scatole di gioielli. Sono stati tra i primi ad aver abbandonato il legno delle tribune per un misto, in evidenza, di ferro, mattoni e pietra. Fenwey è stato ristrutturato nella prima decade del secolo, Wrigley ha in corso un rinnovamento da 575 milioni, compreso un nuovo schermo gigante (jumbotron). Ma il muro dell’outfield coperto di edera resta, così come il tabellone segnapunti azionato a mano e la possibilità di vedere la partita da alcuni terrazzi delle casi confinanti, dopo un accordo tra i proprietari degli appartamenti, che avevano creato delle tribune a pagamento, e il club. Avrei un po’ di timore a tornare a Wrigley, i miei ricordi sono pre-ammodernamento quando Harry Caray, diventato celebre come speaker alle partite oltre che radiocronista, apriva la finestrella della sua postazione e cantava assieme al pubblico presente “take me out to the ballgame” durante il seventh inning stretch. Anche Fenway ha un’atmosfera unica, con il suo Green Monster, il muro sinistro in legno lì da quando c’è lo stadio. Il Dodgers Stadium ha invece uno stile completamente differente, “modern” per quello che poteva essere il gusto degli anni Sessanta, quando si cominciarono ad avere sedili multicolori e strutture più moderne. E’ un bellissimo posto dove assistere a una partita, aiutato dalle serate d’estate californiane. Giocare in vecchi stadi, evidentemente, non affossa il business e la competitività delle squadre rispetto alle avversarie con impianti recenti. In più, se ne coglie l’anima. Oggi che molti club di tutti gli sport hanno abbandonato, o stanno per farlo, la loro storica casa (in questi giorni è stato un colpo al cuore vedere che è iniziata la demolizione della Bobby Moore Stand a Upton Park, lo stadio che il West Ham United ha lasciato quest’anno per trasferirsi al London Stadium) per motivi di puro business, viene da chiedersi se non abbiano ragione squadre come Cubs e Red Sox, che partecipano al campionato dove i tifosi passano più tempo allo stadio, a investire nei vecchi ballpark per lasciare che l’atmosfera resti quella di sempre. Non è impossibile, anzi, che le World Series si giochino proprio tra queste due squadre: sarebbe il trionfo dello spirito immortale del baseball. Difficile per i Cubs ripetersi non solo per l’appagamento dopo il trionfo: è dalla tripletta degli Yankees, chiusa nel 2000, che nessuna squadra riesce a vincere due titoli consecutivi. Ma, nello sport moderno, miliardario e iperdigitale, sapere che l’edera cresce sempre più rigogliosa con l’arrivo dell’estate, partita dopo partita, settimana dopo settimana, da più di 100 anni sul muretto dell’outfield, non dà un senso di pace?
Luca Chiabotti