Ci sono campioni che non si plasmano, sono semplicemente regali di Mamma Natura. Gli interventi successivi devono solo rispettare il loro talento, farlo crescere con pazienza, senza rovinarlo. Concetto ancora più importante nello sci, dove la continuità nelle vittorie è una sintesi che si raggiunge solo in anni di fatica. E’ una disciplina dove la differenza la fanno i centesimi di secondo, quindi decisivi sono i particolari. Ancora più lunga è la strada per chi sceglie la velocità. Non a caso in discesa vincono atleti trentenni.
Perché? Innanzitutto è necessario plasmare la giusta complessione fisica, adeguate masse muscolari per uno sforzo che su quasi tutte le piste sfocia nella sofferenza, senza smorzare l’esplosività e la reattività. Si deve quindi crescere nella tecnica, tecnica di scivolamento, tempi di una curva, set up perfetto dei materiali in cui è fondamentale avere la completa fiducia. Ma ciò che alla fine porta al successo è la perfetta conoscenza delle piste di gara: il fondo, le pendenze, le contro pendenze, il tipo di neve, la luce e le ombre in ogni angolo della pista. E quest’ultimo è un know-how che si costruisce in tante stagioni di prove e competizioni.
Mamma Natura, in questa era sciistica, ci ha regalato Dominik Paris. Possiamo contare anche su Peter Fill e Christian Innerhofer, ragazzi di talento, che con il massimo dell’applicazione sono cresciuti nelle stagioni, ma è soprattutto Paris quello che ci fa sognare un oro olimpico il prossimo febbraio a Pyeongchang. “Domme”, come lo chiamano gli amici, si è segnalato nel 2010, vincendo ai Giochi Invernali di Vancouver la discesa della combinata. Un talento puro, con la forza di un toro e il cuore di un leone. Prima di lui, ci aveva fatto sognare Kristian Ghedina negli anni Novanta. Ma fra i due chi è il più forte?
E’ sempre difficile comparare i fuoriclasse di epoche diverse. Diversi i materiali, diversa la preparazione delle piste, diversa la tecnica con cui si affrontano. Iniziamo dal fisico. Kristian, ora 48enne, è alto 1.77 per 85 chili. Aveva due piedi d’oro, capaci di far scivolare gli sci su ogni tipo di neve più velocemente degli altri e una straordinaria capacità di governare il proprio corpo nel vuoto. Per questo amava i salti, tanto da incantare tutto il popolo di Kitzbuehel con una spaccata in aria a 130 km all’ora, di cui ancora si racconta. La spaccata gli fece perdere per pochi centesimi di secondo il podio, ma quel suo gesto è rimasto unico e inimitato. Ghedina era tutto istinto, un animale della velocità, che sapeva fiutare come un cane il tartufo. E poi il coraggio, un coraggio al limite dell’incoscienza. In coppa del Mondo ha vinto 13 gare, due argenti e un bronzo ai Mondiali. Ma Kristian non amava le gare secche, ha sempre affrontato Olimpiadi e Mondiali con il grugno. Diceva che quell’atmosfera, il gigantismo delle manifestazioni e le lunghe attese gli facevano passare la voglia di sciare. Ha espresso sempre in Coppa il meglio, quel circuito più spartano che viveva con più naturalezza. Avrebbe potuto vincere di più, ma non poteva tradire il suo istinto, andava solo davvero dove lo portava il cuore.
Ben diverso è Paris. Conscio del suo talento, si è costruito passo dopo passo. Alla sua apparizione sul grande palcoscenico era cicciotto. Ora pesa 102 chili, per 1.83 di altezza, ma sono tutti muscoli. Fattore che gli dona una potenza spaventosa. In palestra sulla pressa supera sorridendo i 500 kg, ma questa forza è decisiva per stringere la strada in certe curve. Per ora il suo palmares conta 9 vittorie in coppa del Mondo e un argento mondiale, ma è in divenire. Fra questi successi due sono stati ottenuti a Kitzbuel e due a Bormio, le piste più difficili del circuito, dove non si può vincere per caso e gli albi d’oro sono zeppi di campioni che hanno scritto la storia dello sci. Pure Domme ha coraggio da vendere, ma lo applica con intelligenza. Tecnicamente sa essere grandioso sulle curve lunghe, dove bisogna avere la pazienza di aspettare per non frenare incidendo il meno possibile con le lamine la neve, ma deve migliorare ancora in quelle più secche.
La sua grande massa muscolare ogni stagione richiede un certo tempo per arrivare al top della condizione, ma una volta raggiunta dura mesi. Mentalmente è forse più solido di Ghedina, ma ancora non riesce a digerire le piste che non gli piacciono. Ma ci lavora, ci lavora tanto. Per questo è forse più forte del suo predecessore. Forse la fase migliore della sua carriera sta solo iniziando adesso. In fondo 28 anni è un’età da lattanti nella velocità pura.
Pierangelo Molinaro