Addio Pelé, il primo ad averci fatto capire che i brasiliani sostituiscono un nome lungo e complicato con un soprannome più breve, in questo caso Edson Arantes do Nascimento – nome apparentemente aristocratico ma lui era in realtà umilissimo e poverissimo tanto da cercare di portare qualche soldo a casa facendo lo sciuscià, il lustrascarpe – con Pelé. Fu il soprannome datogli da un suo compagno di scuola che lo prendeva un po’ in giro per la sua parlata incerta. Tutto cominciò, ovviamente, con la classica palla di stracci, per finire con l’essere il più grande.
Siamo stati fortunati ad averne visto almeno un pezzetto, poco più che bambini noi, già leggendario lui, icona del calcio e di un paese intero, il Brasile. La terra promessa del futebol, dove tutti i calciatori sono geni, artisti, in ogni caso fenomeni. Lui è stato il più grande, O Rey per antonomasia. Pelé non è stato il giocoliere da circo che tutti di solito identificano nel clichet del calciatore brasiliano. In campo era una furia, un’ira di dio, univa la classe e il genio alla potenza, alla velocità, il suo calcio era meraviglioso ma se dovessi scegliere un solo aggettivo direi “travolgente”.
Avrebbe segnato, Pelé, con il suo Santos e la Nazionale brasiliana senza contare nemmeno il New York Cosmos che venne dopo, ben più di mille gol in carriera. Ma il conteggio dei gol di Pelé resta uno dei più grandi gialli della storia di questo sport. Spesso non esisteva nemmeno un tabellino ufficiale delle partite che giocava, il confine tra gare ufficiali e amichevoli non sempre così chiaro in Brasile, c’è chi ne considera una parte e altre no. Il millesimo gol di Pelé, nel 1969, contato non si sa bene come, fu comunque un evento planetario, festa nazionale in Brasile. Anche se poi ufficialmente gliene furono riconosciuti molti di meno: da un lordo di 1281, tutto compreso, la Fifa ha fatto scendere l’ammontare a 757.
Dagli anni 50 agli anni 70 un ciclone di vittorie e di gol, la nazionale brasiliana che con lui entra nel mito e diventa la più grande macchina da spettacolo sportivo del pianeta. Pelé è l’unico ad aver vinto tre volte il campionato del mondo (allora Coppa Rimet): il primo in Svezia nel ’58 a soli 17 anni, il secondo in Cile nel ‘62, il terzo a Messico ’70 in finale contro l’Italia, che è la notte che tanti di noi ricordano perfettamente. Pelé svetta su Burgnich e va in cielo a colpire di testa per il primo gol di una partita che di fatto ci umilia. I nostri al ritorno saranno presi a pomodorate.
Il calcio e il Brasile sono oggi in lutto. Ma per noi più gioia che lacrime, più ricordi e sorrisi che tristezza. Siamo stati fortunati ad aver vissuto un’epoca così straordinaria, in cui tre campioni eccezionali si sono dati la mano uno dopo l’altro: Pelé l’ha data a Maradona, Maradona l’ha data a Messi. E noi abbiamo potuto vederli tutti e tre.
Pelé ha vissuto un’epoca in cui la comunicazione era ancora lenta e faticosa. Il Sudamerica allora era molto più lontano di quanto non lo sia oggi. Non venne mai a giocare in Europa se non con il Brasile e sporadicamente col Santos. Quando è arrivato Maradona la velocità di comunicazione era già dieci volte più alta, Maradona ha giocato davanti ai nostri occhi. Pelé ci arriva nella tv a colori solo nella seconda metà degli anni 70, ed è già il Pelé-Buffalo Bill dell’epoca dei Cosmos. Con Messi oggi la velocità di comunicazione è mille volte più alta. Istantanea, in 5G. Chissà, magari il prossimo fenomeno di questa grandezza giocherà nel nostro salotto sotto forma di ologramma.
L’informazione e la frequentazione cambiano la percezione dei personaggi e soprattutto dei calciatori. I più vecchi pagano sempre un sovrapprezzo a questa lontananza nel tempo, in parte è giusto e corretto – l’uomo sportivo tende comunque a evolversi e progredire, un 10’’ netti sui 100 metri di quell’epoca oggi è un risultato mediocre e comunissimo – in parte il giudizio è condizionato dalla percezione soggettiva.
Pelé è stato poesia, mito, un personaggio, un’icona tramandataci dal football e perfino dal cinema. La sua rovesciata in “Fuga per la Vittoria” di John Huston metteva i brividi come se fosse una partita vera. Io non credo che Pelé sia stato inferiore a Maradona, anzi. Ha marcato la differenza in campo almeno tanto quanto lui. Certo mentre Maradona è stato un ribelle antisistema, Pelé è stato un conformista e un dio del calcio al servizio del potere terreno. Pelé era un testimonial, quasi un uomo sandwich della Fifa, Maradona ne era un feroce oppositore. Ma questa è una valutazione politica e ideologica, che poco c’entra col pallone e col campo.
Pelé e Maradona. In due anni purtroppo li abbiamo persi entrambi. Pelé ha compiuto il suo ciclo di vita terrena senza shock particolari, entra ufficialmente e serenamente in paradiso camminando sul tappeto rosso – in questo caso verde… – delle grandi icone del novecento. A essere onesti la scomparsa di Maradona ha fatto molto più male, non l’abbiamo mai accettata, perché quella è una storia di fatale autodistruzione.
Nessuno stabilirà mai chi è stato il più grande, e francamente non ce ne è nemmeno il bisogno. Ringraziamo però di averli visti entrambi. E’ stata gioia, è stata bellezza, è stata passione. E’ stato il football.
Articolo ripreso da www.bloooog.it, il bar sport di Fabrizio Bocca