Paola Egonu sembra destinata a creare polemiche qualsiasi cosa faccia. Che abbia ragione o torto. Così, in occasione della sua presenza al Festival di Sanremo, non potevano mancare le accuse di voler rappresentare un’Italia razzista quando è fin troppo chiaro che i razzisti sono i primi a dire di non esserlo, e in Italia, stando alle dichiarazioni ufficiali, non ce n’è nemmeno uno! Bontà loro, soprattutto di chi definisce “scimmia” qualcuno che, per pura coincidenza, ha la pelle scura e magari viene dall’Africa, altra coincidenza, o è nato in Italia da genitori arrivati dall’Africa. Toh, proprio il caso di Egonu, ma guarda un po’.
Diventa difficile, perciò, tornare a un discorso prettamente sportivo quando si parla di lei, in particolar modo se si tratta della Nazionale e della possibilità che ci giochi ancora o no. Tutto è scaturito dalle sue frasi, intercettate e ufficiali, che seguirono la sconfitta dell’Italia nella semifinale dei Mondiali contro il Brasile. Ma adesso, a freddo, forse è possibile tornare su quegli avvenimenti per cercare di definire meglio la situazione. Una premessa necessaria è chiarire che l’attacco della Egonu a un giornalista della Gazzetta dello Sport, per qualcosa che questi non aveva mai scritto, è stato scorretto, che sia scaturito dalla lettura diretta dell’articolo (quindi senza comprenderlo) o da una descrizione sbagliata fatta da qualcuno che gliel’ha riferito (e avrebbe comunque fatto bene a verificare). Detto questo, la cosa più giusta è ricondurre il tutto a un discorso solamente sportivo, con riferimenti il più possibile tecnici.
LA DESCRIZIONE SBAGLIATA
Il punto di partenza, di cui Egonu non ha alcuna responsabilità, è la descrizione che i mezzi di informazione in generale hanno fatto di lei. E’ stata definita la “più forte giocatrice del mondo”, sia da chi osserva la pallavolo per caso, sia dalla stampa specializzata, che ha colpe non lievi. La conseguenza è che ogni rappresentazione delle azioni di Egonu oscilla fra l’esaltazione acritica per le prodezze e il disprezzo totale per gli errori. Così, se l’Italia vince è merito totalmente suo, se perde è totalmente colpa sua. Ma qual è stato il criterio per definirla la più forte di tutte? Quello che si è potuto leggere nel 99% degli articoli è riferito al numero di punti fatti, con cifre sempre più alte e valutazioni che prescindevano da qualsiasi altro aspetto tecnico e tattico.
C’era e c’è qualcos’altro da considerare? Giusto per fissare due punti. Aspetto tecnico: Egonu non partecipa alla ricezione (che è una caratteristica del suo ruolo di “opposto”, ma ci sono anche opposti che vanno in ricezione e comunque è una manchevolezza per la definizione di giocatrice completa) e interviene pochissime volte in difesa. Aspetto tattico: la maggioranza assoluta delle alzate per la schiacciata conclusiva è per lei, con la conseguenza che ha comunque più punti nel suo tabellino anche quando non gioca al massimo; inoltre con la pecca, questa non dovuta a lei, che l’attacco dell’Italia diventa standard e prevedibile e le avversarie possono prepararsi in anticipo a contrastarlo; infine, che la sua usura fisica è maggiore rispetto alle compagne e questo può scontarlo nelle ultime e decisive fasi di gioco, come è successo nei Mondiali nei punti decisivi della semifinale col Brasile, e anche questa non è una sua colpa. In ogni caso, classificarla come la più forte giocatrice del mondo con questi lati deboli ritengo sia azzardato. Più giusto sarebbe considerarla la “più forte schiacciatrice del mondo”, ma qui entriamo in un altro campo, forse meno entusiasmante per chi osserva saltuariamente la pallavolo e vi è trascinato dalla narrazione delle imprese della Egonu descritte come mirabolanti altrimenti si dedicherebbe ad altro, ma certamente con maggior significato per chi questo sport lo segue con cognizione di causa, che sia un appassionato o un giornalista.
I NUMERI CHE NON SBAGLIANO
E allora, provo a entrare nello specifico proprio di quella semifinale mondiale, vinta per 3-1 dal Brasile, esaminando non solo la prova della Egonu, ma anche quella della più forte giocatrice brasiliana, Gabi, così da mettere in evidenza non solo le caratteristiche tecniche di entrambe, ma anche la definizione di “giocatrice completa” che si adatta a Gabi e non a Egonu.
Egonu fa 30 punti, di cui 28 su attacco e 2 a muro. L’efficacia peggiora nel corso dei quattro set: 10 punti nel primo, 7 nel secondo, 8 nel terzo, solo 5 nel quarto. Al contrario, Gabi va in crescendo, anche se i suoi punti totali sono 10 in meno rispetto all’azzurra: 3 nel primo, 2 nel secondo, 7 nel terzo, 8 nel quarto, dei quali 17 in attacco e 3 a muro. Al di là delle considerazioni sulla migliore forma atletica e mentale, è evidente che Egonu è sfruttata maggiormente nell’azione più dispendiosa fisicamente e quindi più a rischio di calo. Questo non vuol dire che Gabi fatichi di meno, ma che il suo sforzo è più distribuito fra attacco e difesa, con pause che le consentono di respirare. La più alta frequenza degli attacchi della Egonu ha sì una motivazione nel fatto che lei in pratica fa solo quello, ma anche che l’azione della squadra è impostata così, e questo lo decide l’allenatore, non Egonu. E’ il motivo per cui si arriva ad alcune “distorsioni” tattiche nei momenti decisivi, ma su questo punto arriviamo con calma.
In attacco Egonu fa 28 punti su 63 tentativi, Gabi 17 su 46, quindi con miglior percentuale dell’azzurra, 44,4%, rispetto alla brasiliana, 36,95%. Ma la differenza decisiva sta nelle palle mandate fuori, perché quelli sono punti persi direttamente, quando la schiacciata viene intercettata dal muro o presa dalla difesa l’azione può trasformarsi in attacco avversario. Egonu manda 9 palle fuori, Gabi solo 2. Quindi, anche se ha più attacchi finiti in campo, Egonu fa perdere 7 punti rispetto al Brasile. E’ chiaro che, con un maggior numero di schiacciate si alza anche la probabilità di errori, quindi è più facile che Egonu ne sbagli qualcuna in più su 63 tentativi che Gabi su 46, ma anche in questo caso il punto fondamentale è che a decidere tale impostazione tattica è l’allenatore, non Egonu.
LA DISTORSIONE TATTICA
E proprio sugli errori decisivi si può notare la “distorsione” cui accennavo prima. La semifinale col Brasile viene in gran parte condizionata da due punti che costituiscono le “sliding doors”, le porte scorrevoli che possono indirizzare la partita in un senso anziché in un altro. In questo caso, si parla delle schiacciate sbagliate da Egonu nei finali del primo e del terzo set, in entrambi i casi con palla del set per l’Italia. Nel primo set, sul 24-23, Gabi schiaccia, la difesa italiana recupera e Orro alza per Egonu, che si trova in prima linea, la cui schiacciata è respinta, palla a Degennaro che alza di nuovo per Egonu e stavolta la schiacciata va fuori. Nel terzo set, su attacco del Brasile c’è Egonu in difesa, palla a Degennaro che alza per Egonu, che si trova in seconda linea, la sua schiacciata è murata, la palla finisce a Orro che alza nuovamente per Egonu e anche stavolta, come nel primo set, la sua schiacciata va fuori. Quindi, in due momenti decisivi si verifica lo stesso comportamento delle azzurre: due azioni d’attacco consecutive, palle alzate da due differenti giocatrici (Orro-Degennaro nel primo caso, Degennaro-Orro nel secondo) sempre per Egonu nella stessa zona (la 2, anche se nel secondo caso, quando parte dalla seconda linea, potremmo anche dire che è zona 1, ma la sostanza non cambia). Non ci sono variazioni, non si cerca l’alternativa dal centro o dalla zona 4, c’è un solo schema: palla a Egonu sulla banda destra dell’attacco, sia che si trovi in prima linea che in seconda, fra l’altro, nel secondo caso, dopo che lei ha recuperato palla in difesa dando l’avvio all’azione d’attacco. Tutto questo non lo decide Egonu, lo decide l’allenatore, Davide Mazzanti, ed è talmente assimilato dalla squadra che si ripete automaticamente, non considerando la stanchezza della Egonu, la mancanza di sorpresa per le avversarie, che già sanno dove si svilupperà l’attacco.
C’è poi da considerare la sproporzione nella tipologia d’attacco fra un set e l’altro. Nel primo set Egonu attacca solo 4 volte dalla prima linea e 16 dalla seconda; nel secondo set, 8 dalla prima e 5 dalla seconda, nel terzo 13 dalla prima e 5 dalla seconda, nel quarto 8 dalla prima e 4 dalla seconda. Il paradosso è che, alla fine, ha 33 attacchi dalla prima linea e 30 dalla seconda, quindi in notevole equilibrio, ma l’alternanza ha poco senso e si verifica anche nel raffronto nei set “paralleli”, dispari e pari, quando ci possono essere eventuali cambi tattici. Per Gabi, invece, c’è un costante equilibrio in ogni set, con prevalenza di attacchi dalla prima linea, da 7-2 a 11-2. Nel suo caso, anche quando aumenta il numero di attacchi e di punti fatti, come abbiamo già visto nella progressione dei set, l’equilibrio fra prima e seconda linea rimane uguale. Ed è sempre questione di impostazione della squadra, non di scelte individuali delle giocatrici.
LE PECCHE NASCOSTE
Infine, nel quadro di pregi e difetti, va notato qualcos’altro. Una pecca di Egonu in attacco è la schiacciata che nasce da un recupero: quando le azzurre sono costrette a difese difficili e riescono ugualmente ad alzare per Egonu da zona 6 o 5 verso zona 2, Egonu effettua l’attacco sempre in diagonale, che faccia punto o che la schiacciata sia murata o presa in difesa, l’attacco è comunque in diagonale, mai lungolinea. Certo, un minimo di difficoltà in più c’è su una palla che arriva da dietro, quindi con angolazione maggiore rispetto a un’alzata normale, ma in questo modo le avversarie sanno già dove piazzarsi in questa azione. Lo si vede nelle poche volte che succede nella semifinale, dopo la prima azione in cui Egonu fa quel tipo di schiacciata, le brasiliane in quelle successive lasciano completamente scoperta la zona di banda e si spostano in anticipo, sia col muro sia con la difesa, nella parte centrale e destra del loro campo. Se poi in difesa gli interventi di Egonu e Gabi sono numericamente gli stessi, non altrettanto si può dire della qualità. L’azzurra prende solo palle in cui deve spostarsi in avanti, la brasiliana compie interventi incredibili con spostamenti difficili: addirittura di tacco su Pietrini nel primo set, doppio salvataggio nel secondo su Danesi. Infine, la ricezione. Già detto della Egonu, in questo fondamentale Gabi diventa gigantesca con un solo errore, su missile di Pietrini, e 16 interventi positivi.
LE SPROPORZIONI CHIASSOSE
Una volta messi in risalto tutti questi aspetti, qualche conclusione credo si possa trarre, a cominciare dalle responsabilità che vengono attribuite a Egonu per la sconfitta in semifinale col Brasile. Come detto, nel tabellino ci sono 63 suoi attacchi con 28 punti (oltre ai 2 punti a muro). La seconda azzurra come numero di attacchi è Sylla con 34 (17 punti). Poi c’è Lubian con 9 (6 punti). Nel Brasile, dopo Gabi (46 attacchi e 17 punti, oltre a 3 punti a muro) ci sono Lorenne (31 attacchi e 12 punti) e Rosamaria (24 attacchi e 10 punti). La distribuzione delle schiacciate è anomala nell’Italia, perfettamente equilibrata nel Brasile. Certo, avendo una giocatrice come Egonu è logico ci sia una differenza più marcata, ma qui siamo nella sproporzione assoluta, con le conseguenze, fisiche e mentali, che già ho fatto notare. Fra l’altro, anche il rendimento a muro non è ad altissimi livelli per Egonu, sia come partecipazione che per efficacia, 10 muri e 2 punti, dietro Danesi (18 e 3) e con la Orro che ne attua di più (12, con un punto). Nel Brasile, oltre a Carol (22 muri e 10 punti), la stessa Gabi ha un buon rendimento (8 e 3) e Carol Gattaz (12 e 3).
Può tutto questo far attribuire a Egonu la maggiore responsabilità di quella sconfitta? Le sproporzioni sono evidenti soltanto nella squadra azzurra e tale anomalia non può essere attribuita a una sola giocatrice, sia pure importante come Egonu. Delle colpe del tecnico Mazzanti si è già discusso, ma quello che vorrei mettere in risalto è l’impatto nel mondo della pallavolo, fra giocatrici, allenatori, giornalisti e appassionati. Gli esami di coscienza dovrebbero essere multipli. Esaltare e poi abbattere Egonu in base ai risultati finali, facendo la conta solamente dei punti, non è da competenti né da onesti intellettualmente. Una semplice analisi critica può far capire come Egonu, con tantissime doti ma anche tante pecche, non sia la più forte giocatrice del mondo, né credo lo sia mai stata o possa diventarlo. Ma è sicuramente una attaccante fortissima, fra le 2-3 migliori del mondo, che, utilizzata nella maniera migliore, può garantire un salto di qualità decisivo a qualsiasi squadra, di club o nazionale, a dispetto delle difficoltà che sta incontrando in questo momento anche nel Vakifbank. E lei stessa, infine, dovrebbe essere così accorta da non credersi la più forte giocatrice del mondo solo perché la dipinge così chi non ha la minima idea di cosa sia la pallavolo. E’ il danno peggiore che le è stato fatto e lei non se lo merita.