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Ciclismo

E se il Giro lo vincesse un gregario: come Pambianco, come Cunego o magari Sam Oomen?

Da Alessandra Giardini 04/05/2018

Sempre più raramente la corsa rosa ha un epilogo romantico. Di più: nel 2016, Scarponi era in fuga verso il primo successo di tappa, ma si sacrificò per il suo capitano, Nibali…

La domanda giusta te la fa una bambina di sei anni. Tu le stai spiegando il Giro, le biciclette da strada e quelle da crono, le macchine che poi si chiamano ammiraglie, le radioline che quando serve chissà perché non le sente mai nessuno e radio-corsa che gracchia in francese e singhiozza in italiano. I meccanici che sono tuoi amici e se ti fermi a chiacchierare con loro capisci prima la corsa, i massaggiatori che sono gli unici a sapere che cosa passa nella testa dei corridori, i direttori sportivi che abbassano il finestrino e bastano due parole per capire cosa è successo. I campioni che hanno una grazia speciale che si chiama talento, ed è come a scuola, c’è quello bravo a disegnare e quello che sa tutte le poesie a memoria, quello che appena sente il titolo del tema comincia a scrivere con un sorriso e quello che ha l’aritmetica nel sangue e segue un ritmo tutto suo. E i gregari che si riempiono le tasche e la maglia di barrette e di panini e di borracce, e prendono il vento in faccia per troppi chilometri e fanno la stessa strada dei capitani ma arrivano quando lo spumante è già sparso per terra e i coriandoli del podio sono volati via col vento. Hanno portato i capitani lì dove cominciava il punto più duro della salita e poi si sono fatti da parte con un colpo di magia, sono spariti in fondo alla corsa sapendo di aver fatto il loro dovere.

   E se il Giro d’Italia una volta lo vince un gregario? La domanda giusta te la fa una bambina di sei anni, tu ormai hai imparato troppo ciclismo per cadere nella trappola del romanticismo.
   Allora, e se vince il gregario cosa succede?
Succede come nel 1961, il Giro anniversario dell’Unità d’Italia. Da Torino a Quarto dei Mille, dalla Sardegna alla Sicilia, ogni tappa un pezzo di quell’unità. Doveva vincere uno dei grandi, Eraldo Baldini o Charlie Gaul o Jacques Anquetil. E invece vinse Arnaldo Pambianco, che prese la maglia rosa in Toscana e la portò fino a Milano, mentre tutti si aspettavano che un giorno o l’altro sarebbe crollato. Non crollò, i gregari sanno soffrire più di tutti. Succede come nel 2004, quando Damiano Cunego che era il giovane gregario vinse il Giro davanti a Gibo Simoni che era il suo capitano, e finì a male parole. Succede di rado, e sempre meno.
Più spesso i gregari aiutano i loro capitani a vincere. Nei Tour de France e nella Vuelta vinti da Chris Froome c’è tantissimo dei suoi scudieri. Ma anche nella Vuelta conquistata da Fabio Aru. E siamo piuttosto sicuri che Vincenzo Nibali non avrebbe vinto il Giro 2016 senza Michele Scarponi. Michele un Giro l’aveva vinto, sia pure a tavolino, e aveva deciso di chiudere la carriera da gregario. «Lo faccio perché uno come Nibali non l’ho mai incontrato, e quando vince sono felice come quando vincevo io. Non tutti lo capiscono, non tutti ci credono, ma è la verità».
 Al Giro 2016 era la terzultima tappa, da Pinerolo si doveva arrivare a Risoul, una brutta stazione sciistica oltre il confine francese. La maglia rosa ce l’aveva un olandese, Kruijswijk. Secondo era Chaves, terzo Valverde. Nibali era soltanto quarto in classifica, aveva quasi cinque minuti di distacco e il morale a terra. Però in camera con lui c’era Scarponi, uno che si svegliava la mattina ridendo, pronto a caricare tutta la squadra con il suo buonumore. Anche quel giorno, con il Colle dell’Agnello da scalare e l’ultima salita verso Risoul all’orizzonte, Scarponi era felice. Sapeva che quel giorno avrebbe fatto una fatica boia, eppure era contento. Andò in fuga: il capitano non era in gran forma, lui era libero di provare a portare a casa una tappa. Era tanto che non vinceva, i suoi gemelli avevano tre anni e non l’avevano mai visto arrivare a braccia alzate.
Scarpa quel giorno andava da dio, prese un bel vantaggio, passò da solo in cima ai 2744 metri del Colle dell’Agnello, in mezzo a due muri di neve alti così. Dietro, successe di tutto: Chaves attaccò, Nibali gli tenne testa e la maglia rosa sbagliò una curva e andò a sbattere contro la neve. Perse tempo, perché la bici si era rotta, e davanti i suoi rivali guadagnavano secondi preziosi. Ma davanti a tutti c’era ancora Scarponi, in fuga. Dall’ammiraglia gli dissero cosa stava succedendo dietro, Scarponi capì che il suo capitano aveva l’occasione di guadagnare un posto sul podio e molto altro. Si fermò, letteralmente, inchiodò la bicicletta e aspettò Nibali. Quando il capitano lo raggiunse, alla testa di un gruppetto, Scarponi cominciò a tirare, tirare e tirare, perché questo fanno i gregari. Quando si staccò e passò in fondo, Nibali attaccò e andò a vincere. Il giorno dopo recuperò il resto del distacco e così vinse il suo secondo Giro d’Italia. Quella volta, due anni fa, vinse un capitano, ma anche il suo gregario.
   E se questa volta vince un gregario? I bambini non mollano, puoi raccontargli tutte le storie che vuoi, ma loro tornano sempre alla prima domanda.
E se questa volta vince un gregario? Chi potrebbe essere? La Sky ha soltanto da scegliere: uomini come Henao, De La Cruz, Poels o Elissonde potrebbero arrivare tranquillamente fra i primi dieci se corressero in proprio. Invece corrono per Chris Froome, che è al Giro per la storia: vincendo, sarebbe il detentore di tutti i tre gli ultimi grandi giri. Una roba che soltanto Merckx, la bellezza di quarantacinque anni fa. Un’altra squadra che ha più campioni che gregari è l’Astana: se il capitano designato è il debuttante colombiano Miguel Angel Lopez, corridori come Kangert, Sanchez, Lutsenko, Zeits e Bilbao fanno del team kazako uno dei più accreditati al successo finale, nonostante abbia perso negli ultimi due anni prima Nibali e poi Aru. A proposito di Aru: nella sua Uae c’è un altro uomo potenzialmente da classifica, e cioè Darwin Atapuma, mentre in salita potranno dargli una mano Conti, Polanc e Ulissi. Meno forte, almeno sulla carta, la Sunweb del campione uscente Tom Dumoulin, all’inseguimento di un difficile bis (l’ultima volta c’è riuscito Indurain nel ‘92 e nel ‘93. E se vincesse un altro della squadra di Dumoulin? Ci sarebbe un altro olandese. Si chiama Sam Oomen, ha ventidue anni e una sola esperienza di grande giro alle spalle: nell’ultima Vuelta si ritirò dopo 14 tappe quando era tredicesimo in classifica. Niente male per un gregario.
Alessandra Giardini
Tags: alessandra giardini, giro 2018, ma si sacrificò per il suo capitano, Nibali…, Scarponi era in fuga verso il primo successo di tappa, Sempre più raramente la corsa rosa ha un epilogo romantico. Di più: nel 2016

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Nota sull’autore: Alessandra Giardini

Nata a Ravenna ha seguito tre Olimpiadi, un Mondiale e un Europeo di calcio, 5 finali di Coppa Davis, e il ciclismo a partire dal 1998. Ha lavorato a Stadio 26 anni, poi ha deciso di diventare freelance, perché non è detto che si debba fare per forza il contrario. Con Giorgio Burreddu ha pubblicato tre libri e sta scrivendo il quarto.

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