Il Giro è una miccia. Accende passioni, ricordi e anche fuochi polemici.
Tre sono le critiche al percorso del Giro d’Italia del 2019. La prima è che esclude e penalizza il Sud. La seconda è che è una corsa a due facce: la prima parte è molto facile, la seconda molto difficile. La terza è che penalizza gli uomini di fondo con tappe brevi: la media è di 167,5 km e la frazione più lunga misura solo 237 km.
Il Sud, in verità, non è escluso. La corsa, infatti, si spinge fino a San Giovanni Rotondo sul Gargano nelle Puglie. Certo, Campania, Lucania, Calabria, Sicilia e Sardegna non sono toccate dal percorso. Ma anche due regioni del Nord, come Liguria e Friuli sono escluse. Il motivo è molto semplice: ai tempi di Coppi il Giro superava i 4mila e anche i 4.300 chilometri, ora si ferma a 3.518. La riduzione del percorso implica la necessità di fare delle scelte ed è naturale che gli organizzatori privilegino le regioni di grande tradizione ciclistica come Lombardia, Toscana, Veneto. Anche la morfologia del territorio penalizza il Sud: il Giro non può fare a meno delle grandi montagne e queste si trovano sulle Alpi.
La seconda critica è fondata. Questo Giro sembra ripercorrere lo stereotipo del Tour con la pianura infinita e noiosa in avvio e poi Pirenei e Alpi. Ma i francesi sono costretti a questa scelta dalla morfologia del paese che ha le Alpi e Pirenei ai confini. L’Italia, che come spina dorsale l’Appennino, è più varia. Consentirebbe di regalare subito spettacolo, come è avvenuto nelle ultime edizioni. Stavolta la scelta è voluta. Il Giro del 2019 si presenta come un giallo. Chi l’ha progettato vuole mantenere la suspense più a lungo possibile. Sarà la corsa a dire se ha ragione oppure no.
Con questo percorso, nelle prime 11 tappe non ci dovrebbe essere alcuna battaglia campale. Solo scaramucce e manovre di esploratori, grandi sfide dei velocisti, ardue avventure di uomini audaci. Le nove tappe successive, invece, regaleranno le grandi difficoltà della corsa. In dieci giorni – c’è un giorno di riposo – il menu prevede 33mila metri di dislivello, di cui 5700 in quella che è stata definita come la tappa-babau, la Lovere-Ponte di Legno, con Gavia, 2618 m, e Mortirolo.
Lì, certamente, si vedranno i favoriti. Però potrebbe essere la penultima tappa Feltre-Croce d’Aune con 5200 metri di dislivello e quattro colli – Cima Campo, Passo del Manghen, Passo Rolle e Croce d’Aune – il teatro della battaglia campale.
La terza critica più che al Giro va rivolta al ciclismo moderno. Le gare si accorciano, le medie si alzano, domina il gioco di squadra, il controllo della corsa è ferreo, gli scarti sono minimi. La corsa uomo contro uomo è sempre più rara. Quest’anno il Giro parte da Bologna che fu teatro d’arrivo della prima tappa della storia: la Milano-Bologna, che, passando per Padova, era di 397 km. Nel Giro del 1914 cinque tappe su otto superavano i 420 km. Ora le distanze sono dimezzate.
Alla presentazione del Giro si è detto che già dal primo giorno con la cronoscalata di San Luca ci sarà battaglia. Ma che scarti possono dare 8.2 km di corsa e 2.100 metri di salita? Servono solo a dare una classifica senza ex-aequo.
Solo nella nona tappa, sul Monte Titano, che ha visto le gesta di Gaul, Gimondi, Merckx, Saronni, nella cronometro di San Marino, 34,7 km, ci saranno scarti che contano. Poi tutto si deciderà in quattro tappe: Ceresole Reale (24 maggio), Courmayeur (25), Ponte di Legno (28) e Croce d’Aune (1° giugno). Il Croce d’Aune è l’ultima montagna del Giro: fu, soffrendo sotto la neve su quella salita, nel Gran Premio della Vittoria del 1927, che Tullio Campagnolo concepì l’idea del cambio per cui è passato alla storia. L’ultima cronometro di Verona, 15,6 km, con la salita delle Torricelle e il favoloso arrivo all’Arena, definirà la classifica.
Con la lunghezza si riducono anche le ore di corsa. Il Giro più spettacolare, quello del 1949, era di 4188 km e Coppi, per vincerlo, impiegò oltre 125 ore. Ora si andrà, probabilmente, al di sotto delle 90 ore. Questa nuova formula penalizza gli uomini di fondo. Corridori come Bottecchia, che vinse due Tour da 5500 km (con la tappa di Les Sables d’Olonne di 482 km!), Bartali, Coppi, Gimondi, Hinault si troverebbero a disagio. E anche Nibali non è certo favorito. Un tappone vero, lungo, difficile, selettivo riporterebbe forse il ciclismo in una dimensione epica.
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