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Ciclismo

Tutti sconfitti per l’ultima “tappina” del Giro! I veri corridori sono quelli che ogni giorno pedalano a Roma…

Da Marco Pastonesi 30/05/2018

La prova conclusiva, clamorosamente accorciata per tema di sampietrini e buche, rovina l’ultimo capitolo della gara a tappe più famosa. Eppure il percorso era ufficiale da tempo e la salute non c’entra, altrimenti la Parigi-Roubaix non si disputerebbe!

Dieci giri. Undici chilometri e mezzo a giro. Centoquindici chilometri fra le Terme di Caracalla e il Circo Massimo, lungo i Fori Imperiali, di fronte al Campidoglio e di fianco al Colosseo, per Piazza del Popolo e il Quirinale. Il massimo della vita, il meglio della vista.
    L’ultimo capitolo del Giro d’Italia, ieri, a Roma: un’apoteosi. Invece la tappa, che già in partenza era una semitappa per la distanza da gara per juniores, è diventata una tappetta, una tappettina, una tappina, una tapina, un tappo di quelli che non si stappano, o di quelli che invece di fare bum fanno pim. I corridori hanno chiesto e ottenuto di limitare il cronometraggio della (semi) tappa vera a tre dei nove giri (su dieci, appunto) già previsti, perché eventuali cadute – causa fondo stradale, tra buche e sampietrini – non compromettessero una classifica generale stabilita dalle precedenti venti tappe, in particolare dalle magnifiche ultime tre di montagne alpine.
   Tutte le strade portano a Roma, ma quelle di Roma dove portano? Se lo chiedete ai ciclisti romani, portano all’ospedale, più per la prepotenza degli automobilisti che per la scabrosità della superficie e la profondità delle buche. A Roma i sampietrini lastricano vie e piazze da secoli, le buche da decenni. Il sampietrino è storico e va salvaguardato: è un cubo di leucitite (una roccia eruttiva di origine vulcanica laziale), che esiste dai tempi del Papa Sisto V (1521-1590) e ha dimensioni inferiori rispetto al quadruccio (quello di Piazza del Popolo e di Piazza San Pietro, per esempio). Ma quanto era lungo il tratto in sampietrini? Sul Garibaldi (il libro della corsa) è scritto 2500 metri, il telecronista Marco Saligari ha detto che era il 70 per cento (cioè 8050 metri). Per la cronaca: la ricognizione del percorso per conto della Rai è stato fatto – da Stefano Garzelli – di notte. Le buche sono molto più recenti dei sampietrini: eterogenee, variabili, volubili, nella circostanza sono state – inevitabile per una gara così – tappate (com’erano belli i tempi in cui il Giro aveva l’effetto di far asfaltare le strade), ma la toppa si vedeva (forse in alcuni casi si sarebbe potuto commentare, in veneto, che “xe pèso il tacon del buso”, è peggio la toppa del buco, cioè il rimedio è peggiore del danno).
    Il compromesso raggiunto strada facendo (ma non facendo la strada) non ha dichiarato alcun vincitore, ma proclamato soltanto sconfitti. Tutti.
  1. 1) I corridori. Perché fare i corridori e pedalare (così come fare i giornalisti e scrivere) è sempre meglio che lavorare. Infatti il primo invito del pubblico è stato quello di andare non a pedalare o a scrivere, ma a lavorare. Il percorso del Giro d’Italia 2018 è stato svelato il 30 novembre 2017 (anche se la tappa di Roma era avvolta in un certo mistero), quindi erano quasi sei mesi che si sapeva dove si sarebbe gareggiato: come dire che squadre e corridori (ma anche associazioni e commissioni varie) hanno avuto tutto il tempo per pensarci e lavorarci anche sul tema della salute. Premessa: la salute dei corridori sta a cuore di tutti, ma non di tutti i corridori, tant’è che c’è ancora qualcuno che si affida più alla chimica che all’allenamento, più alla farmacia che all’alimentazione (a proposito: Chris Froome, il vincitore del Giro d’Italia 2018, è “sub iudice” per una conclamata positività, cioè nel 2017 ha assunto prodotti dopanti, e non è ancora stato squalificato, come la letteratura giuridica avrebbe obbligato a fare). Non si capisce perché non modificare anche altri percorsi, come la salita dello Zoncolan, che presenta rampe al limite del ribaltamento (anche coronarico: nel senso del cuore umano più che del cambio meccanico). Se il problema sono le buche, allora una corsa come le Strade Bianche sarebbe da bandire; se il problema sono i sampietrini, allora una corsa come la Parigi-Roubaix sarebbe da cancellare. Che cosa sarebbe successo se ci fosse stata una spruzzata di pioggia?
  2. 2) Gli organizzatori. Durante le trattative, forse per evitare scioperi o boicottaggi, hanno accolto le richieste dei corridori. Perché non parlarne prima, prevedendo e prevenendo la richiesta dei corridori? La debolezza (o la disattenzione) del Giro si vede anche da altri dettagli: è mai possibile che il Team EF, la squadra Education First, indossi una maglia rosa, rosa come il simbolo del primato della gara, tanto da confondere i suoi otto corridori con il leader del Giro? Al Tour de France non potrebbe mai succedere.
  3. 3) Il Comitato organizzatore locale. Tutto sommato, il meno colpevole. Non doveva asfaltare i sampietrini, ma tappare le buche, e lo ha fatto fare. Forse avrebbe potuto scegliere un altro percorso, prevedendo e prevenendo le richieste dei corridori. Ma se quello proposto era stato accettato, amen.
  4. 4) La Commissione tecnica. E’ composta da esperti ed ex corridori, presieduta dall’ex campione del mondo Paolo Bettini (impegnato al Giro anche come testimonial della Mediolanum), formata da Sergio Barbero, Roberto Mauri, Andrea Negro, Oscar Pellicioli e Andrea Tonti. Ha il compito di controllare i percorsi e decidere se – per la sicurezza dei corridori – si possono fare o se sono da modificare, segnalandolo agli organizzatori. Quindi i componenti della Commissione tecnica dovrebbero esplorare il percorso della corsa prima della corsa. E non sempre lo fanno. Avrebbero potuto farlo addirittura nella ricognizione del mattino. E dire che stavolta si poteva anche andare a memoria, almeno per il capitolo sampietrini. L’autorizzazione della Commissione tecnica dovrebbe valere a nome dei corridori, che lì hanno un loro delegato o rappresentante. Ma domenica i corridori hanno rinnegato quel parere.
  5. 5) L’Associazione corridori ciclisti professionisti italiani. Avrebbe dovuto controllare, testare, prevedere, prevenire, intervenire. E non lo ha fatto.
  6. 6) Il ciclismo. Le regole che cambiano in corsa, le trattative che si svolgono in mondovisione, il gruppo che va a spasso per un paio d’ore: tutto ridicolo, che rovina quanto di bello era stato fatto e visto.
  7. 7) Il Comune di Roma. La tappa valeva solo per il formidabile, straordinario, irraggiungibile spettacolo delle immagini televisive: dall’alto e dal basso, dal cielo e dalla strada, Roma ha un fascino che non ha certo bisogno del ciclismo, ma che il ciclismo esalta. Che a Roma ci fossero, oltre ai sampietrini, anche le buche, non è una novità, e le buche si moltiplicano a ogni pioggia, senza interventi, senza soluzioni. Adesso lo sanno anche in Giappone e in Colombia. Il sindaco Virginia Raggi (che ha pure l’aggravante di un cognome ciclistico) è, più che mai, sotto accusa.
    Morale della favola: i veri corridori (gli eroi lasciamoli stare) non sono Froome e Dumoulin, ma quei romani che, nonostante tutto, ogni giorno pedalano per andare a scuola o al lavoro, a spasso o a spesa, a casa o – purtroppo – anche all’ospedale. Sui sampietrini e fra le buche.
Marco Pastonesi
Tags: buche, ciclismo, giro d'Italia 2018

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Nota sull’autore: Marco Pastonesi

Genovese, ha seguito 15 Giri d'Italia, 10 Tour de France, 4 Coppe del mondo e 18 Sei Nazioni di rugby. Ha scritto, fra l’altro: Pantani era un dio, L'Uragano nero, Gli angeli di Coppi e I diavoli di Bartali, Ovalia - il dizionario erotico del rugby.

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