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Calcio

Italia-Brasile 3-2: la favola vera di chi ha affrontato a viso aperto il Brasile e l’ha battuto…

Da Sport Senators 13/07/2018

Media e giocatori hanno sposato la tesi dei sudamericani presuntuosi che vollero vincere a tutti i costi quando gli sarebbe bastato il pareggio, ma la realtà fu tutt’altra!

Nei giorni tristi del Mondiale senza l’Italia, beffarda è arrivata la celebrazione di una data caratterizzata da tenore opposto: la vittoria degli azzurri nel 1982 in Spagna, 3-1 in finale contro la Germania, l’11 luglio. Emozionanti le celebrazioni, non solo per il successo contro i tedeschi, ma anche per un’altra impresa epocale, la vittoria sul grande favorito Brasile nel girone per l’ammissione alle semifinali. Fu un 3-2 con tante palpitazioni, probabilmente il momento decisivo di quel Mondiale perché, anche se l’Italia aveva già provocato la prima sorpresa battendo 2-1 l’Argentina di Maradona, era comunque indicata come vittima designata contro Zico e compagni che avevano superato gli argentini in maniera più netta, 3-1, ma, ancor più importante, avevano dato dimostrazione di forza assoluta. Battere i brasiliani diede agli azzurri la consapevolezza di potercela fare contro chiunque, tant’è vero che le successive partite, la semifinale con la Polonia (2-0) e la finale con la Germania, furono roba di ordinaria amministrazione dal punto di vista tecnico, anche se piene comunque di tensione per il valore intrinseco della posta in palio. Quindi, quel 5 luglio, quella vittoria, possono essere considerati la chiave di volta del successo mondiale del 1982.

   Nel racconto di quei giorni, però, e nei ricordi di questi giorni, il significato di quella partita continua a essere travisato. Ci si affidò allora e ci si continua ad affidare tuttora alle emozioni e alle false interpretazioni anziché a ciò che è accaduto davvero. Può apparire strano che un evento visto da centinaia di milioni di persone in tutto il mondo possa essere raccontato e analizzato come se nessuno vi avesse assistito, possa essere ricordato solo come una favola in cui gli appigli alla realtà sono scomparsi, ma è proprio quello che è successo. In poche parole, la verità ufficiale raccontata e ricordata: il Brasile perse perché, pur avendo bisogno solo del pareggio per superare il turno, volle comunque giocare d’attacco e l’Italia ne approfittò. La verità “vera”: l’Italia segnò 3 gol (tutti di Paolo Rossi) a difesa brasiliana schierata, anzi, “schieratissima” a protezione del pareggio, e l’unico gol in contropiede, di Antognoni, fu annullato ingiustamente.

 

I FALSI RICORDI
La premessa importante riguarda i protagonisti, che tutt’oggi continuano a celebrare quella partita con le stesse argomentazioni di allora, mai cambiate nel corso di 36 anni, vale a dire il Brasile presuntuoso che non si accontenta del pareggio e compie un suicidio tattico di cui approfitta l’Italia. I giocatori sono i peggiori testimoni delle partite più emozionanti, non perché siano inaffidabili di natura, ma perché la tensione emotiva, la pressione mentale, il carico nervoso di quei momenti sono così grandi da “cancellare” o “trasformare” i ricordi reali. Più facile che un giocatore ricordi un particolare insignificante, magari uno spettatore che gli urla qualcosa quando va a battere una rimessa laterale o un compagno di squadra che gli passa una bottiglia d’acqua o il portiere che gli dice bravo per un salvataggio difficile su un avversario, anziché il quadro generale dell’incontro. E poco alla volta i ricordi veri vengono sostituiti da qualcosa che si è ascoltato o si è letto. La testimonianza di Antonio Cabrini su quello che avviene dopo il 2-2 di Falcao: “A quel punto il Brasile era qualificato, avrebbe potuto amministrare la partita con grande tranquillità. Ha voluto stravincere, e questo suo voler far vedere al mondo che comunque erano i più forti, invece, gli si rivoltò contro”. In suo aiuto accorre il brasiliano Socrates, autore dell’1-1 nel primo tempo, che prova a spiegare l’atteggiamento del Brasile: “Falcao entrò negli spogliatoi prima dell’inizio e propose di lasciare il gioco all’Italia, ché tanto non sapeva farlo. Ma io gli risposi: noi siamo il Brasile, non possiamo lasciare agli altri il pallino del gioco”. Magari Socrates ricordava bene, ma solo quello che era accaduto nello spogliatoio prima della partita, poi smentito da quanto accaduto in campo. E Zico ci aggiunge il carico: “Se avessimo vinto quella partita, il calcio probabilmente sarebbe stato differente. Invece abbiamo cominciato a mettere le basi per un calcio nel quale bisogna conseguire il risultato a qualsiasi costo, un calcio fondato sulla distruzione del gioco avversario e sul fallo sistematico. Quella sconfitta del Brasile non è stata un bene per il mondo del calcio”. Anche lui, quindi, sostiene che aver voluto “fare gioco” a ogni costo “costò” la mancata qualificazione alla finale. Gli fa eco Paolo Rossi: “’Fu una lezione per la quale ci dovrebbero ringraziare. Una sconfitta dalla quale impararono molto, soprattutto a giocare più coperti. Tanto è vero che poi hanno vinto altre due edizioni”. Quindi, anche secondo Rossi, il Brasile perse perché si sbilanciò in attacco.
LE CRONACHE ILLUSTRI
Ma se i giocatori hanno l’attenuante del coinvolgimento emotivo, meno spiegabile è l’atteggiamento di chi assiste alla partita da spettatore, nella comodità del divano di casa, o di chi, per lavoro, deve descriverla e spiegarla. E qui, purtroppo, non pare ci possano essere giustificazioni di sorta: tutti i giornalisti d’accordo sul fatto che il Brasile abbia commesso un suicidio, provocato dall’orgoglio e dall’arroganza. Per capire meglio cosa si è letto sui mezzi di informazione dell’epoca è bene affidarsi alla penna più famosa, quella di Gianni Brera, che in quel periodo scriveva su Repubblica. Ecco la sua analisi del 3-2: “I brasiliani erano montati come pavoni: gli bastava il pareggio per acceder alla semifinale: hanno cervelloticamente preteso di umiliarci e sono stati umiliati. Ha segnato Falcao da fuori e sul 2-2 i brasiliani hanno insistito all’attacco scoprendosi fatalmente in difesa: quegli stupidi gallinacci hanno tirato al chicchirichì e gli è uscito un coccodè tragicomico. Nessun’altra squadra al mondo avrebbe voluto correre altri rischi dopo avere agguantato per la seconda volta il pareggio, che le bastava. I brasiliani si sono infilzati da soli. Sono tornati ad aggredirci: e noi siamo tornati a stringere i denti e a lottare per non lasciargli fare gioco”. E ancora, nel commento finale del Mondiale, ricordando che l’Italia aveva battuto l’Argentina prima di affrontare il Brasile: “Nessuno al mondo avrebbe osato sperare nel miracolo di un’altra vittoria italiana. E invece ha propiziato il nuovo miracolo l’ingenua galloria dei brasiliani, dimentichi d’un assioma fondamentale del gioco: il safety first (primo non prenderle) degli antichi maestri inglesi. Bastava ai brasiliani il pareggio per accedere alle semifinali: hanno dimenticato la difesa mandando anche i terzini a cercare la vittoria. Noi abbiamo fatto esattamente il contrario”. Beh, se il giornalista considerato il più esperto e competente di calcio scrive che il Brasile ha perso perché ha voluto buttarsi all’attacco anche quando non ne aveva bisogno, qualsiasi discussione dovrebbe stare a zero: quella è la verità e tutti confermano, o si adeguano. Ma la realtà è diversa.
LA REALTA’ NON VIRTUALE
Tutti d’accordo, giocatori, spettatori, giornalisti nel creare una realtà virtuale in cui il Brasile si è dimostrato troppo arrogante ed è stato punito. Ma, a questo punto, proviamo a guardare la realtà non virtuale. Ricordiamo, come premessa, che quel Brasile del 1982 è davvero uno squadrone, con Zico, Falcao, Socrates, Eder, Cerezo, Junior e via scorrendo la rosa, anche se c’è un piccolo segnale inquietante legato a un giocatore non ancora così famoso, un 21enne che esordisce in nazionale a marzo 1982 e subito si capisce che è un campione, Careca. Gioca 4 partite, deve andare al Mondiale, ma un infortunio lo blocca e il viaggio in Spagna salta. Il suo posto come attaccante centrale è preso da Serginho, gran fisico, ma lento e con piedi non in stile brasiliano. Il dato inquietante, per il Brasile, è che le agenzie di scommesse, dopo la notizia della rinuncia di Careca, abbassano drasticamente le quote per la vittoria brasiliana nel Mondiale. Il Brasile resta favorito, ma che l’assenza di un 21enne provochi dubbi negli scommettitori, a fronte della presenza di fuoriclasse come Zico e compagni, fa sorgere qualche pensiero sull’effettiva efficacia del Brasile. Ad ogni modo, Brasile davanti a tutti. Nel girone per l’accesso alle semifinali, vince 3-1 con l’Argentina ed è in vantaggio sull’Italia che fa 2-1 (a parità di punti vale la miglior differenza reti). Quindi, nel confronto diretto, ultimo del girone, ai brasiliani basta il pareggio.        Dimentichiamo per un momento tutte le testimonianze e le cronache fin qui riportate e vediamo cosa succede nella partita.
     Già al 5’ saltano gli equilibri, l’Italia passa. Un gol da attribuire all’arroganza del Brasile che pensa ad attaccare invece che a difendersi? Tutto il contrario. Il Brasile, nel momento in cui si sviluppa l’azione degli azzurri è TUTTO NELLA SUA META’ CAMPO. Tutti i giocatori brasiliani sono schierati per controllare l’Italia, ma sono bravi gli azzurri a costruire una manovra che mette in difficoltà la difesa del Brasile, con due veloci spostamenti laterali di palla: da Conti a destra per Cabrini a sinistra, cross a destra per Rossi che, spostato verso il secondo palo rispetto alla partenza del cross, colpisce di testa e manda la palla dal lato del primo palo. Gli spostamenti laterali sono i più difficili in generale per chi fa sport, non solo calcio, in particolare per chi è costretto contemporaneamente a indietreggiare per controllare il pallone e l’avversario, esattamente quello che succede ai difensori brasiliani che sono presi in velocità e non riescono a contrastare l’azione azzurra. Se guardiamo la linea immaginaria del pallone, da quando parte dai piedi di Conti a quando finisce in rete, notiamo che disegna una Zeta perfetta. Una bella Z di Zorro. Comunque, altro che Brasile “fregato” dall’Italia perché si ostina a buttarsi in attacco. Ci può anche essere un errore dei difensori negli spostamenti, ma non certo una responsabilità della squadra per essersi sbilanciata in avanti, perché è tutta rintanata nella sua metà campo. Il primo gol è la dimostrazione che ricordi e cronache sono clamorosamente sbagliati. E non è finita.
LA SMENTITA CHE VIEN DAL CAMPO
Il Brasile DEVE andare all’attacco per pareggiare e ci riesce dopo 7 minuti, al 12’, con Socrates. Normale e logico quindi l’andamento in questa fase. L’Italia deve cercare il secondo gol e lo trova al 25’. In contropiede? Su azione di rimessa? Niente da fare nemmeno stavolta. Il Brasile riparte dopo che il portiere Waldir Peres ha parato una punizione di Antognoni rimpallata dalla barriera, ma lo fa con molta calma, si vede che non ha fretta di andare in avanti. Alla tre quarti della sua metà campo, Cerezo, invece di lanciare la palla in attacco o cercare di portarla lui oltre la linea di centrocampo, la passa in orizzontale, a sinistra, in una zona in cui ci sono tre compagni di squadra, fra cui Junior. Si nota chiaramente, dalle immagini televisive, che il Brasile sta ancora con almeno 9 giocatori nella sua metà campo, con soli due azzurri come prima linea per tentare di prendere il pallone (Graziani a sinistra, Rossi a destra). Non è certo l’atteggiamento di chi vuole lanciarsi scriteriatamente all’attacco. E poi, il passaggio laterale di Cerezo toglie ogni dubbio sulle intenzioni dei brasiliani: controllare con calma il gioco. Senonché, i tre brasiliani nella zona verso la quale va il pallone sono un po’ distratti, si guardano fra loro come per dire “la prendo io o la prendi tu” e non si accorgono di Rossi che ha uno scatto micidiale, ruba il pallone e se ne va a segnare. E così, anche il secondo gol dell’Italia non nasce da un contropiede o da una situazione in cui il Brasile si è sbilanciato in avanti, ma da un passaggio orizzontale teso a controllare il gioco, CON QUASI TUTTA LA SQUADRA NELLA SUA META’ CAMPO. Un’altra smentita che viene dal campo alla teoria dell’Italia che frega il Brasile grazie alla sua “ingenua galloria”. A questo punto, perciò, il Brasile DEVE di nuovo andare all’attacco, per i restanti 20 minuti del primo tempo e per i primi 23 della ripresa, perché è allora che Falcao segna il 2-2.
CATENACCIO IN AREA DI RIGORE
A scanso di equivoci, bisogna precisare che il “catenaccio” del titolino qui sopra è brasiliano, ma ci arriviamo con calma. Dopo il 2-2 di Falcao, il Brasile per qualche minuto prova a dare il colpo di grazia all’Italia, ovviamente frastornata in questo momento. E’ l’unico momento in cui il Brasile si sbilancia pur non avendone bisogno, tant’è che Scirea deve salvare su Eder sfuggito a Bergomi. Ma poi si riprende con l’Italia che cerca il 3-2. E come lo trova? In contropiede? Azione di rimessa? Diciamo subito che lo trova su calcio d’angolo, ma prima è meglio spiegare come ci si arriva. In contropiede? Sfruttando uno sbilanciamento del Brasile? Niente di tutto questo. Antognoni, da sinistra, manda un pallone in area, dove ci sono ben 5 giocatori brasiliani e due azzurri. Considerato che altri due brasiliani stanno cercando di contrastare Antognoni, che da quelle parti c’è pure Zico e che dalla parte opposta, fuori area, ce ne sono altri due (anche questo si può osservare nelle immagini tv), significa che TUTTO IL BRASILE è negli ultimi 25 metri della sua metà campo. Ma torniamo al cross di Antognoni. I due azzurri sono fuori portata, i brasiliani hanno il controllo e Cerezo decide di passare il pallone di testa a Waldir Peres, ma un po’ sbaglia lui la direzione, un po’ il portiere è in ritardo, viene fuori l’angolo per l’Italia. Cosa succede dopo lo sanno tutti, è il 29’ della ripresa e Paolo Rossi segna il 3-2 su quell’angolo. Quello che però va fatto notare, di fondamentale importanza, è questo: quanti brasiliani si trovano nella loro area di rigore nel momento in cui viene battuto il calcio d’angolo? Chiunque può andare a controllare, c’è un fotogramma in cui viene inquadrata l’intera area ed è possibile contarli. Secondo voi, quanti ce ne sono? Sei, sette, otto? Beh, la realtà “vera”, non quella delle favole inventate da chi sostiene che il Brasile ha perso perché ha voluto andare all’attacco comunque, è questa: TUTTI E UNDICI I GIOCATORI BRASILIANI SONO NELLA LORO AREA SU QUEL CALCIO D’ANGOLO! Se l’ultima squadra della serie C italiana, ma anche della serie D, abbondiamo, va a giocare sul campo della Juventus, non si mette con 11 giocatori nella sua area su calcio d’angolo. Ma i brasiliani vanagloriosi, “montati come pavoni”, si rifugiano tutti nella loro area perché hanno paura di prendere il gol del 3-2 e dell’eliminazione! Poi, si buttano disperatamente in avanti, ma l’Italia resiste e segna anche il 4-2 a 2’ della fine: Graziani rincorre un pallone e lo ferma proprio sulla linea laterale, lo dà al centro ad Antognoni che avanza in velocità e passa a Rossi sulla destra, mentre Oriali segue intelligentemente sul centrodestra, pronto a ricevere indietro il pallone da Rossi e spedirlo sulla sinistra ad Antognoni che segna, tenuto in gioco da due brasiliani, uno dei quali sulla linea dell’area piccola, l’altro mezzo metro avanti, l’azzurro in posizione regolare, ma l’arbitro Klein, israeliano, annulla. E’ l’unico gol segnato dall’Italia in contropiede, l’unico che corrisponde alle favole inventate su questa partita.
LE FAVOLE FALSE E QUELLE VERE
Tutti i ricordi del Brasile suicida, tutte le cronache, tutti i commenti si scontrano con quello che è davvero successo in campo. L’Italia ha vinto andando all’attacco, non giocando “all’italiana”, ha segnato tre gol con azioni di attacco, in situazioni di attacco. E ne ha sfiorati altri in contropiede, ma solo nei periodi in cui il Brasile HA DOVUTO ATTACCARE perché stava perdendo. Il Brasile è stato costretto ad andare all’attacco per 66 minuti in totale, perché in questi 66 minuti stava perdendo: 1-0 per 7’, 2-1 per 43’ e 3-2 per 16’. E negli altri 24’, tranne poche occasioni, è stato messo sotto dall’Italia, che ha attaccato per vincere. Poi, se si vuole credere nelle favole perché sono più belle della realtà, ognuno faccia quel che gli pare, anche credere alle favole false. Ma, almeno nel calcio e nello sport, ci sono le favole vere, e coincidono con la realtà. Come quella dell’Italia che ha affrontato a viso aperto il Brasile, gli ha fatto paura e l’ha battuto.
Gennaro Bozza
Tags: italia- germania, mondiale 1982, ricordi

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Nota sull’autore: Sport Senators

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