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Calcio, Full Time

Italia brillante verso la Spagna: in difesa di Immobile, il cui sacrificio spiega i tanti gol dei centrocampisti

Da Enzo D'Orsi 03/07/2021

Il dispendiosissimo lavoro del centravanti della Lazio viene sottovalutato per via di qualche errore di palleggio e di mira – Ma negli schemi di Mancini, è fondamentale l'attivismo di questo giocatore che non gode della giusta considerazione – Per la semifinale, da temere la qualità tecnica degli iberici e la coesione del gruppo di Luis Enrique, molto simile a quella degli azzurri

 

L’Italia è in semifinale, il sogno di vincere il titolo europeo a più di mezzo secolo dall’unica conquista datata 1968 – la fase finale durava quattro giorni e riguardava solo quattro nazionali! – può diventare realtà. All’appuntamento, la squadra è arrivata nelle condizioni migliori, al contrario della Francia, che era la grande favorita in virtù della presenza di campioni di valore assoluto come Benzema, Mbappé, Griezmann, Pogba e Kanté. Alla prova dei fatti, la Francia ha mostrato limiti in ogni settore, ha vinto una sola partita (la prima, contro i tedeschi) ed è riuscita a perdere ai rigori contro la Svizzera.
I meriti di Mancini nell’allestimento e nella preparazione degli azzurri sono chiari e visibilissimi, ogni partita diventa un esame e non c’è dubbio che questo contro la Spagna, martedì sera a Wembley, sia il più delicato. Per la fatica accumulata, per la perdita di un protagonista come Spinazzola, e naturalmente per il valore dell’avversario, che storicamente abbiamo sempre sofferto. Come se non bastasse, il gruppo di Luis Enrique appare compatto quanto il nostro: con le sue scelte nette, con il taglio di tutti i giocatori del Real Madrid, a partire da una bandiera come Sergio Ramos, il tecnico asturiano ha assunto ha una grande responsabilità, ma ha pure coagulato intorno a sé tanti ragazzi di qualità, alla prima grande esperienza in un torneo internazionale, ragazzi che sanno giocare un buon calcio e hanno presto imparato a soffrire. Il magnifico diciottenne Pedri, un predestinato che qualcuno accosta addirittura a Iniesta, impersona la Spagna del presente e soprattutto del futuro. Anche la Spagna non è perfetta: ha segnato dodici gol, ma spreca molto di quel che sa costruire. In più, si è macchiata di qualche leggerezza nelle retrovie. Va ribadito che comunque il livello dello squadrone che vinse consceutivamente due europei e un mondiale era notevolmente superiore.
In una situazione confortante, dopo anni di delusioni culminate con la mancata partecipazione al mondiale del 2018, l’Italia deve fare i conti con un problema che riguarda Immobile. Da parte del grande pubblico, viene infatti sottovalutato il peso del centravanti della Lazio nel gioco offensivo della Nazionale: il suo ruolo di punta centrale, in un tridente che ha esterni – Insigne e Berardi – portati più al dialogo in mezzo al campo che allo spunto in profondità, è davvero ingrato, deve muoversi in verticale e in orizzontale e con questi movimenti favorisce gli inserimenti in area dei centrocampisti, tutti mediamente dotati di buon tiro. Si spiegano così i gol di Barella, di Locatelli, persino di Insigne, che fa un sacco di cose – il trequartista, l’ala, la mezzala – valendosi della sponda del compagno con il quale ha giocato in maniera splendida qualche tempo fa in serie B con il Pescara.
Quando a fine stagione ci si sottopone ad un impegno massacrante come quello di Immobile, è inevitabile che si commettano errori di palleggio e di tiro anche grossolani. E se chi sta davanti alla tv impreca sognando un bomber più implacabile, Mancini si tiene stretto il suo punto di riferimento della manovra offensiva, anche perché il Belotti attuale – grande lottatore, ma zavorrato da annate di modesto cabotaggio nel Torino – non giustifica un avvicendamento, se non per ragioni di stanchezza.
E se si discute di gol, Immobile ne ha segnati due. Gli stessi di Morata, uno in più di Kane, tuttora lontano da una forma accettabile. Non sempre il prato dei vicini dei casa è più verde.
—-
Tags: #Belgio, calcio, europei, italia

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Nota sull’autore: Enzo D'Orsi

Classe 1953, per ventun anni al Corriere dello Sport, capo della redazione torinese e inviato. Quattro Mondiali, cinque Europei, migliaia di partite di tutte le competizioni, dai dilettanti alla Champions league. Ha lavorato anche a Paese Sera e Leggo, nonché al settimanale Rigore. Ha collaborato con numerose pubblicazioni, anche straniere: in particolare, l'Equipe e France football. Dai tempi di Bobby Charlton, simpatizza per il Manchester United. E' convinto che il più grande calciatore di ogni epoca sia stato Alfredo Di Stefano, non Maradona e forse neppure Pelé. Adora il calcio inglese, l'Umbria e Parigi, non sempre in questo ordine. Sposato con Maria Paola, medico, ha tre figli e cinque nipoti. Si considera per questo molto fortunato. Fin da ragazzino, sognava solo di fare il giornalista. Tre libri per Edizioni InContropiede: “Gli undici giorni del Trap” (2018), “Non era champagne” (2019) e “Michel et Zibi” (2020). Non ama i social, ad eccezione di Twitter: @Edorsi53.

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