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Tennis

Tiafoe, lo showman di Milano che sogna da… LeBron

Da Vincenzo Martucci 07/11/2019

Se Sinner è già l’eroe dei giovani, Frances è il beniamino, il più gettonato dai cacciatori di foto e di autografi: perché è bravo e spettacolare, perché sa vincere e avvincere ma non se la tira e non fa la star

Le Next Gen Finals contro altri ragazzi come lui, davanti ad un pubblico di ragazzi più giovani, appassionati e praticanti, col rumore, le luci psichedeliche, la musica a palla e il tennis videogame. Tutto è veloce e bello, per Frances Tiafoe all’Allianz Cloud di Milano. Felice, il 21enne regala uno show dietro l’altro, si sbraccia, corre, tira, prova qualsiasi colpo, spingendo sempre a mille servizio e dritto anomalo, abbraccia tutti, lotta, esprime la sua personalità. E così, martedì, si illude e poi si deprime, ma applaude l’amico italiano, Jannik Sinner: “Mi ha battuto due volte cerco la rivincita per dimostrare che non sono un …(omissis) perdente, gente, sostenete tutti il vostro giocatore”. E lunedì, l’americano col sorriso che conquista si riscatta, si esalta e piega l’ultimo elegante fiorettista di Francia Hugo Humbert, regalando al pubblico un ultimo passante impossibile con quel suo dritto che scatta come un coltello a serramanico, fendendo il campo come una saetta, e poi chiede l’applauso, le urla, gli urrà che sono la sua benzina.

Se Jannik è già l’eroe dei giovani, Frances è il beniamino, il più gettonato dai cacciatori di foto e di autografi. Perché è bravo e spettacolare, perché sa vincere e avvincere, perché è numero 47 del mondo e a fine febbraio era 29, ma non se la tira e non fa la star come altri coetanei deludendo le aspettative del giovane pubblico di Milano (leggasi Dennis Shapovalov), perché a 21 anni ha già vinto un titolo Atp (l’anno scorso a Delray Beach), nel segno di una precocità che, a 15 anni l’ha già ascritto nella storia del tennis Usa come più giovane campione di sempre dell’Orange Bowl, lanciandolo fra i pro con 4 titoli Challenger in 9 finali. Frances non è una maschera, non finge, è così, aperto, sincero e felice di esserci, la gente l’avverte e lo ama. Ma dietro ala facciata del ragazzo del Maryland ci sono stati anni difficili: papà Constantin e mamma Alphina erano scappati negli States dalla Sierra Leone angosciata dalla guerra civile per dare un futuro ai figli, Frances e il fratello gemello Kranklin, che sarebbero nati poco dopo nella terra promessa

Papà lavorò alla costruzione dello Junior Tennis Champions Center (JTCC) di College Park, Maryland, e poi, ne diventò il custode, ottenendo un piccolo spazio per viverci coi figli. Che restavano con lui cinque volte a settimane, finché la mamma non si liberava per il weekend. Frances dormiva in una poltrona massaggio che di giorno tornava in un armadio per non ingombrava quegli spazi già ristretti, e di giorno era il più assiduo frequentatore del muro adiacente ai campi di tennis. Che picchiava con tanta ferocia da attirare l’attenzione dei maestri ed essere ammesso ai corsi, per via soprattutto di quell’attitudine positiva, coinvolgente e travolgente, della volontà di arrivare. Anche se all’inizio non accettava la sua povertà, che i coetanei gli facevano notare, irridendolo. Il suggerimento di papà gli ha cambiato la vita, visitare i parenti a un matrimonio nella nata Sierra Leone gli impresse il suo bel sorriso felice che non ha più lasciato da quando ha rimesso piede negli States: “Ho visto la povertà vera, ho cominciato a vedere le cose in una prospettiva completamente diversa. Mio fratello ed io ci siamo resi conto che non vivevamo una vita agiata, ma eravamo comunque fortunati, avevamo cibo sul tavolo ogni sera, genitori che ci adoravano, una TV, tutti i beni di consumo di cui abbiamo bisogno. Quell’esperienza è stata un bagno di umiltà, e mi ha fatto decidere di usare il tennis come un modo per aiutare non solo me stesso, ma i miei genitori che hanno sacrificato così tanto”.
Di più, il ragazzo ha subito manifestato aspirazioni morali, anche verso gli altri: “Voglio essere il LeBron James del mio sport e anche di più, voglio che i giovani di colore giochino a tennis perché ci sono io: non è facile, è uno sport costoso, allenamento, viaggi, vestiti, eccetera, ma ma io ero uno di loro, ma ora sono qui”, diceva. Lo ripete anche mentre scala il tennis di vertice, facendo capolino agli Us Open 2018, arrivando al secondo turno, e agli Australian Open di gennaio, ballando e divertendo in tabellone fino ai quarti. Pian pianino, si è sentito “più accettato”, più consapevole del suo ruolo. Ha stretto forte la notte la prima palla da tennis firmata dal primo eroe, Juan Martin del Potro, s’è trasferito a Orlando, in Florida, ha trovato allenatori sempre più raffinati, ha allargato i suoi orizzonti: “Non penso solo ai ragazzi di colore come me, penso a motivare tutti i ragazzi, senza distinzione di colore e di razza”. Ha deciso: “Come mi definirei? Beh, uno showman”.
*articolo ripreso da SuperTennis.tv

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Nota sull’autore: Vincenzo Martucci

Napoletano, 34 anni alla Gazzetta dello Sport, inviato in 8 Olimpiadi, dall’85, ha seguito 86 Slam e 23 finali Davis di tennis, più 2 Ryder Cup, 2 Masters, 2 British Open e 10 open d’Italia di golf. Già telecronista per la tv svizzera Rsi; Premio Bookman Excellence.

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