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Dietro le quinte, la pace fra le due Coree è proprio impossibile. A meno che…

Da Sport Senators 12/02/2018

Dalla cerimonia d’apertura alla realtà politica: al di là dei passi diplomatici grazie allo sport olimpico, Nord e Sud sono indissolubilmente divisi. Scopriamo i tanti problemi di lingua e di trasporti dell’Olimpiade

Un esercizio molto divertente, in occasione di grandi manifestazioni come l’Olimpiade invernale, è andare a spulciare dietro le quinte, a scoprire cosa c’è dietro i proclami ufficiali. E Pyeongchang non fa eccezione, perché qualcosa di “non raccontato” o semplicemente di sottovalutato o frainteso c’è sempre.

   Naturalmente, partiamo dalla cerimonia inaugurale e da quello che era il momento più atteso, la sfilata della Corea unita, tutti insieme gli atleti del Sud e quelli (pochi) del Nord, sotto la stessa bandiera, bianca con l’intera nazione in blu (la stessa che apparve per la prima volta nei Mondiali di tennistavolo del 1991 a Chiba, in Giappone). Un “abbraccio” bello e importante, certo, ma c’è qualcosa che gli spettatori nello stadio e alla tv non hanno potuto vedere, vale a dire la preparazione alla sfilata. Fino a pochi minuti prima dell’entrata in pista, la delegazione coreana era composta solo da atleti e dirigenti del Sud, quelli del Nord sono stati portati lì solo all’ultimo momento, senza che ci sia stata la possibilità di un contatto, di uno scambio di parole, di impressioni, di qualche sorriso, niente. Tutto controllato in ogni momento e ovviamente senza la minima possibilità, per chiunque, di parlare con gli atleti nordcoreani.
   Perciò, il racconto di quanto sta avvenendo in questi giorni appare un po’ sovradimensionato. A partire dai “segnali di pace”, con la lettera che Kim Yo Jong, la sorella del dittatore nordcoreano Kim Jong Un, ha consegnato a Moon Jae In, presidente della Sud Corea, per invitarlo a un incontro ufficiale a Pyongyang, capitale della Nord Corea. Purtroppo si perde di vista la sostanza. Tutti (e bisognerebbe analizzare bene questi “tutti” per sapere se sono davvero “tutti”) sognano una Corea unita. Ma ci si pone mai la domanda sul vero punto della situazione? Che è questa: Corea unita, sì, ma con quale sistema politico? Abbiamo di fronte una dittatura e un sistema democratico (al 52° posto nel mondo come indice di corruzione secondo l’ultimo rapporto di Transparency International, ma comunque una democrazia) e non si capisce come possano mettersi d’accordo per trovare un sistema comune. Per metterla giù in termini crudi ed estremi, una Corea unita si potrà avere solo se il Nord occupa il Sud o se il Sud occupa il Nord, quindi dopo una guerra, o se il Nord implode su se stesso con la scomparsa di Kim Jong Un e una rivoluzione interna, comunque con la disintegrazione della dittatura, non certo con un accordo politico fra Nord e Sud. Troppo crudo? Forse, ma è bene non credere di sognare quando si sta credendo a una grande illusione. Che, come nel bellissimo film di Jean Renoir, è sperare che ogni guerra sia l’ultima.
   Ma, a proposito di tensioni politiche, non è mancato il siparietto prevedibile durante la cerimonia di apertura: due sosia di Trump e Kim Jong Un, davvero somiglianti agli originali, hanno fatto una sfilata nella tribuna stampa, ovviamente il posto più indicato per attirare l’attenzione. Operazione non riuscita, visto che sui mezzi di informazione c’è stato poco spazio per loro.
   Chi invece ha avuto molto spazio è stata la Tv statunitense per qualche suo exploit poco simpatico. Già aveva definito Pyeongchang capitale della Nord Corea, confondendola con Pyongyang, ma durante la trasmissione della cerimonia inaugurale c’è stato il botto. Joshua Cooper Ramo, analista politico e commentatore, se ne viene fuori con questa frase: “Anche se il Giappone ha occupato la Corea dal 1910 al 1945, ogni coreano vi dirà che il Giappone è un esempio culturale, tecnologico ed economico che è stato molto importante per la trasformazione della Corea”. Considerato che l’occupazione militare, durata 35 anni, fu caratterizzata da atrocità e crudeltà, con centinaia di migliaia di morti, considerato che il Giappone si è sempre rifiutato di chiedere scusa per quell’occupazione e per i morti, negando addirittura che ci siano state quelle atrocità e quei morti, e comunque negando la propria responsabilità, esattamente come ha fatto anche con la Cina (anche lì occupazione militare e massacri, soprattutto nella zona di Nanchino), ci si chiede quale sensibilità umana abbia questo Joshua Cooper e quale conoscenza culturale e storica dell’Est asiatico. E’ andata a finire che, dopo le proteste dei coreani, la Nbc ha chiesto scusa al Comitato organizzatore dell’Olimpiade.
   Scendendo un po’ più in basso, c’è sempre da rimarcare purtroppo quelle piccole mancanze di rispetto che derivano da ignoranza o da un po’ di arroganza. I coreani, come i cinesi, mettono prima il cognome e poi il nome non solo negli atti pubblici, negli elenchi ufficiali e nelle semplici conversazioni. Gli occidentali però li chiamano alla loro maniera, prima il nome e poi il cognome. Così, nella cerimonia inaugurale, quando è apparsa Kim (cognome) Yuna (nome), per accendere il tripode, gli speaker in francese e in inglese l’hanno chiamata Yuna Kim, lo speaker in coreano l’ha chiamata correttamente Kim Yuna. Con un piccolo sforzo si possono evitare stonature del genere. E magari un altro piccolo sforzo sarebbe quello di non soprannominare gli asiatici con nomi inglesi (tipo Monica per Mingyan e via dicendo) perché è più semplice ricordarli. E ovviamente gli asiatici devono ricordare i nomi in stile occidentale, mica possono azzardarsi a chiedere nomi “asiatizzati”!
Chiudo con i riferimenti alla cerimonia inaugurale con l’episodio di una giornalista russa che, in tribuna stampa, quando è entrata in pista la squadra dei russi “senza nome, senza bandiera e senza portabandiera”, ha tirato su un cartello con la scritta “No Russia, no Games”. E i tifosi russi si stanno ingegnando per contestare la decisione del Cio di cancellare il nome della loro patria. Nell’Arena del pattinaggio artistico, si sono organizzati, ognuno con una maglia rossa e una lettera, per comporre la scritta “Russia in my heart”, la Russia nei loro cuori a dispetto del Cio.
   Prime crepe nell’organizzazione, e mica piccole. La sera della cerimonia inaugurale, è saltata la linea internet, con i giornalisti che in sala stampa impazzivano per inviare i pezzi. Gli organizzatori se ne sono usciti con l’ipotesi di un attacco hacker. Sì, buonanotte. Come succede in tantissime altre competizioni con collegamenti wi-fi in numero enorme, il sistema non regge. O si crea un sistema più potente, spendendo di più ovviamente, o si inventa l’attacco hacker.
   Sempre la sera della cerimonia inaugurale, i giornalisti hanno avuto un impatto devastante con il modo di fare degli organizzatori: trasporti impazziti, ma non perché c’erano bus insufficienti, tutt’altro, ce n’erano tantissimi. Il problema era che ne mettevano 10 su una linea in cui ce ne volevano 4-5 al massimo e uno o due dove ne servivano 10. Così, succedeva che alla fermata dei bus, si accumulavano quelli vuoti sui quali nessuno saliva, restavano fermi e bloccavano il traffico. Ci sono volute 3 ore per convincere gli organizzatori che bisognava semplicemente distribuirli meglio. Poi, ci si mette anche la Polizia con una particolare concezione del sistema di smaltimento del traffico. All’ingresso di Pyeongchang, c’è una grande rotatoria dove convergono 4 strade, con i poliziotti a disciplinare auto e bus. Il sistema attuato è questo: passano i mezzi provenienti da una sola strada alla volta e non, come sarebbe logico, dalle due strade opposte lungo la stessa linea. Così, si raddoppia il tempo di smaltimento e si creano file chilometriche. Infine, anche per i trasporti più semplici, quelli interni a Pyeongchang (prove alpine, bob, slittino) e a Gangneung (prove sul ghiaccio), dopo il rispetto degli orari nei giorni precedenti le gare, è saltato tutto, ci si mette alla fermata, dove il bus dovrebbe passare ogni 10 minuti, e ci si rassegna ad aspettare.
   E aspetta, e aspetta, e aspetta… Sembra proprio l’inizio del film Casablanca. Ma almeno lì faceva caldo!
Gennaro Bozza
Tags: Dalla cerimonia d’apertura alla realtà politica: al di là dei passi diplomatici grazie allo sport olimpico, gennaro bozza, giochi invernali, Nord e Sud sono indissolubilmente divisi. Scopriamo i tanti problemi di lingua e di trasporti dell’Olimpiade, olimpiadi

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