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Vari

“Hip Hip, libertà”! Dalle Vallette di Torino a tutti i carceri d’Italia: che successo, rugby…

Da Marco Pastonesi 25/01/2018

Venerdì 2 febbraio, a Roma, sarà firmato il protocollo d’intesa tra Federazione italiana rugby, Coni e ministero della Giustizia per estendere il progetto “Rugby e carceri”. Che significa: il rugby come educazione, come disciplina, come riabilitazione.

Sette italiani, sei romeni, cinque albanesi, due gabonesi, un georgiano…: 32 giocatori di 20 etnie e cinque religioni. Totale: una squadra. Una squadra originale, particolare, speciale: quella del carcere Lorusso e Cutugno, alle Vallette di Torino. Una squadra non più unica: perché su quell’esempio ne sono nate altre 17, da Milano a Bollate, da Bologna a Frosinone, da Teramo a Cremona. Tutte composte da detenuti.

“Fu un caso – ricorda Walter Rista, 74 anni, trequarti azzurro dal 1968 al 1970 -. Ero in Argentina con gli Old della Nazionale italiana. Il nostro pullman si scontrò con un altro pullman. Noi scendemmo a vedere che cosa fosse successo, gli altri no. Non potevano. Erano reclusi. Quando sarò vecchio, promisi a me stesso, proverò a fare qualcosa per i reclusi italiani”. Rista fu di parola: smesso di lavorare, cominciò a dedicarsi al suo progetto. “Spiegai quanto lo sport potesse aiutare. Pietro Buffa, il direttore, pensava che mi riferissi al calcio. Quando gli rivelai che era il rugby, e che nessuno ci aveva ancora provato, si entusiasmò. Proviamo a farlo noi, disse entusiasta”. Provarono. “I primi reclutati furono i tossicodipendenti. Ma erano così deboli e fragili che non si presentarono al secondo allenamento. Decidemmo di aprirci a tutti tranne a quelli sottoposti al regime di massima sicurezza e ai ‘sex offenders’ (reati sessuali contro donne e minori): arrivarono ladri, rapinatori e spacciatori, più i tossicodipendenti ma solo se regolari nel loro percorso di recupero. E così la squadra è decollata”.

Si chiama La Drola: in piemontese significa “la cosa buffa”, “la cosa strana”, e la cosa buffa e strana è che è l’anagramma di “al ladro”. Maglie rosse tipo Galles (“Ma solo perché regalate”), motto “hip hip libertà” (“Il rugby libera l’energia e canalizza l’aggressività”), tre allenamenti sul campo e due in palestra alla settimana (“Come se fossero professionisti”), qualche trattamento di favore (“Padiglione riservato, celle a due, notti più serene”) e la partita la domenica (nel campionato di C2). Rista, che è il presidente dell’associazione Ovale oltre le sbarre, è un missionario del rugby: “Perché il rugby è educativo: se nel rugby ti butti a terra e fai la scena, i compagni ti chiedono che cosa stai facendo e ti comandano di rialzarti. Perché il rugby è disciplinare: oltre alle regole scritte, ci sono anche quelle orali, tradizionali, rituali. Perché il rugby è il verbo sostenere: e siccome nei carceri ognuno pensa soltanto a se stesso, così invece impara a pensare, e ad aiutare, anche gli altri. Perché il rugby si gioca con gli avversari, e non contro gli avversari. Perché il rugby, oltre ai due tempi sul campo, ha anche un terzo tempo, fuori dal campo, nella club house, che per noi è una stanza del carcere, ma fa niente, si respira lo stesso spirito di condivisione”.

“Segnare una meta – scriveva lo scrittore inglese P.G. Wodehouse – richiede una serie di azioni che in qualunque altro contesto procurerebbe ai protagonisti una condanna a 15 anni di galera”. Loro, quelli della Drola, li stanno già scontando. “Il carcere trasuda di umanità – racconta Rista -. All’inizio mi limitavo ad allenare, adesso rimango per mangiare insieme con i miei giocatori. Non chiedo nulla, ma ascolto”. Ci sono storie difficili perfino da ascoltare. “Rosario, che a un anno e mezzo fu gettato in un cassonetto dell’immondizia, che a 11 era un bulletto, che a 13 era in riformatorio, che poi è finito in carcere per spaccio. Abdal, che dopo l’isolamento (cella minima, luce sempre accesa) in una lite ha accoltellato un altro detenuto. Spencer, finito in carcere perché trasportava – probabilmente senza saperlo – la carrozzina di un paraplegico imbottita di cocaina. Cristian, dentro per rapine varie, una trentina, la moglie di cui era innamoratissimo morta, la figlia per cui sta riottenendo la patria potestà, eletto capitano dai compagni alla unanimità… Poi anche Vladimir, bosniaco, Aziz, marocchino, e Alejandro, venezuelano, tre purissimi talenti rugbistici”. Con risultati formidabili. “Non tanto il secondo posto nel 2016 e il quinto nel 2017, quanto il tasso di recidiva: di solito il 70 per cento di chi esce dal carcere, poi rientra, da noi si scende al 18”. E ogni volta, allenamento o partita, una parola, un pensiero, un episodio da conservare. “Perse otto partite di fila, alla fine del primo tempo uno dei miei ragazzi sbottò: ‘Perché l’arbitro ce l’ha sempre con noi?’. Gli risposi: ‘Perché voi siete dei delinquenti e a lui è stata rubata la macchina’. Ci fu un attimo di silenzio, poi una risata generale. E quell’ex detenuto, tre anni dentro per estorsione, che intervistato alla tv ha spiegato: ‘Quello che il rugby mi ha dato è molto più forte di tutto quello che ho preso in vita mia’”.

Come dire: la carica umana è molto più forte di quella chimica. Ma ha bisogno di essere caricata. E La Drola ha l’urgenza, per esistere, e per resistere, di 30mila euro l’anno. “Indispensabili per pagare i due allenatori e per iscriverci al campionato – precisa Rista -. Il resto è fatto di volontariato. E quanto alle trasferte, lì si risparmia: non potendo uscire mai dal carcere, giochiamo sempre in casa”.

Marco Pastonesi

(foto ovaleoltrelesbarre.org)

Tags: carceri, detenuti, marco pastonesi, rubgy

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Nota sull’autore: Marco Pastonesi

Genovese, ha seguito 15 Giri d'Italia, 10 Tour de France, 4 Coppe del mondo e 18 Sei Nazioni di rugby. Ha scritto, fra l’altro: Pantani era un dio, L'Uragano nero, Gli angeli di Coppi e I diavoli di Bartali, Ovalia - il dizionario erotico del rugby.

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