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Tennis

Io, uno dei tanti papà-tifosi della sua “bimba”, ho visto un “collega” che diventa ex giocatore di Davis e Venus…

Da Vincenzo Martucci 26/08/2018

Che esperienza alla fase finale dell’interessante torneo giovanile nazionale con 1224 iscritti: il rapporto padre-figlia è davvero freudiano e crea scompensi. Brilla la stellina Montesi e ancor più potrà brillare

Prima, molto prima del fortunatissimo “Open”, nel 2003, un direttore non sportivo, ma sicuramente appassionato di tennis come Pietro Calabrese, mi commissionò una biografia romanzata di Andre Agassi: “Hai tempo quindici giorni e andiamo in stampa”. Era la vigilia degli Internazionali di Roma, che all’epoca si disputavano in due settimane, prima gli uomini e poi le donne. Mi svegliavo all’alba, scrivevo, andavo al Foro Italico per seguire il torneo per la Gazzetta dello Sport, rientravo la sera, distrutto, e ricominciavo la mattina dopo. Consegnai il lavoro nei tempi stabiliti: “Una vita da Agassi” ebbe anche un discreto successo, con oltre 10mila copie vendute in edicola. Captai il dramma interiore del punk di Las Vegas e il suo difficile rapporto col papà, senza peraltro assurgere ai livelli del premio Pulizer, J. R. Moehringer. Ero appena diventato a mia volta padre e non potevo capire appieno il delicatissimo ruolo di un genitore sponsor, allenatore, motivatore, accompagnatore, tifoso del figlio atleta. Figurarsi di due, com’è capitano, con molta fortuna a me.
   Grazie Ad Anna ed Alessandro, ho potuto interpretare al meglio le storie più drammatiche delle racchette, dai Capriati ai Pierce, dai Bartoli alla Sharapova ai nostri Giorgi. E ho rivisto totalmente la protesta di tanti prima ancora con papà Sabatini che difendeva la sua deliziosa Gabriela. Vivere a bordo campo, in parallelo, le avventure agonistiche dei propri figli è davvero un supplizio, come vi direbbero sicuramente, per primi, i genitori di Roger Federer. Oggi, orgogliosissimi del Magnifico, esempio ideale di tennista, uomo, marito e padre, ieri, preoccupatissimi e spesso vergognosi del loro adolescente con meches e testa calda, capace di tutto e del suo contrario. Più del solito, “come fai sbagli”, infilandoti nel ginepraio psico-tecnico-fisico della crescita di un tennista, nell’impossibile tentativo di restare davvero equidistante. Perché le tentazioni di intervenire sono tante, sempre per il bene dei ragazzi, col rischio continuo di esondare, sbalestrando il ruolo dell’allenatore e confondendo il figlio.
   Ma come fa un genitore a restare davvero equidistante, pur vivendo forzatamente ogni passo dell’avventura delle “piume delle nostre piume”? Mario Belardinelli, il maestro dei Magnifici quattro di coppa Davis, Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli la faceva facile, col suo slogan: “Prendiamoli orfani”. Però, soprattutto oggi, con le tante offerte e le tante possibilità di errore, la guida di papà e mamma è davvero necessaria e costante. Anche per via dei costi, ingenti e costanti, per sostenere l’attività giovanile. Sono entrato anch’io in questa pericolosa spirale, favorito dal mestiere che faccio, dell’esperienza che ho acquisito, guardando e studiando, e da una moglie ex atleta professionista di basket. Ma, confesso, faccio molta fatica a separare i ruoli. Pur avendo chiarissimi i limiti e le possibilità dei miei figli, pur avendo sempre concesso ai loro allenatori il massimo della fiducia e il massimo della discrezionalità, da Luca Bottazzi (a San Donato) a Renato Vavassori (al Saini).
   L’ultima esperienza di padre di mini-atleti che mi è capitata è a Roma, al Master Kinder dove hanno partecipato fra gli under 16, i miei gemelli, Anna, che si è qualificata di diritto, e Alessandro, che ha sfruttato una wild card. Lui ha avuto almeno la fortuna di vivere un’esperienza indimenticabile, giocando sul campo numero 2 del Foro Italico, dove i professionisti più forti si fronteggiano al Masters 1000 di maggio. Ha perso subito 6-1 6-3, un po’ bloccato dall’emozione, un po’ dal suo gioco troppo a strappi e dalla difficoltà nel gestire le situazioni in generale, in questa fase di evoluzione personale da adolescente che cresce ogni giorno di più. Anche lei si è arresa subito, ma fra gli applausi, al bellissimo Sporting Due Ponti, per 6-4 7-6 6-3, dopo una classica maratona da tennis femminile, piena di alti e bassi, fughe e rimonte, passione, esaltazione, lotta, e pianti. Un’Odissea talmente coinvolgente che ha catalizzato l’attenzione anche delle altre contendenti al torneo, accendendo gli animi già infuocati dei genitori a bordocampo. Anch’io ribollivo di agone e lottavo in parallelo, ma l’ho vissuta con incitamenti e sofferenza interiori, anch’io protestavo fra me e me per qualche atteggiamento sbagliato, in campo, per qualche palla dubbia e contestata, per le troppe rivendicazioni anche palesemente forzate, per l’assenza di un arbitro di sedia. Erano situazioni  troppo frequenti e troppo da una parte sola del campo, che il giudice arbitro, da regolamento, demandava alle due contendenti, salvo poi piazzarsi stabilmente sul posto, avendo capito la situazione.
    Fondamentalmente, però, ero bloccato, quasi schiacciato, dal peso di quella doppia battaglia che si combatteva dentro e fuori del rettangolo di gioco: dentro di me, da genitore appassionato e innamorato, che mimava nella testa, nel cuore e anche in qualche gesto irrefrenabile ora un dritto ora un rovescio insieme alla mia Anna che lottava e sbuffava e sudava. Così, sono rimasto concentratissimo, inchiodato dal tandem di sguardi e smorfie e sospiri con lei, legato a quel fluido magico ed assolutamente unico con la propria figlia che solo un padre può capire e che si riscontrava ovunque sui campi dal Foro Italico alla Pisana al Due Ponti, cioé i teatri del trofeo Kinder, come anche in tutti tornei giovanili del mondo e in quelli pro, seguendo una irrefrenabile legge di sangue. Fra noi, c’è chi sa e chi non sa, di tennis e di sport, chi dà il suggerimento che non dovrebbe, chi semplicemente sostiene la sua bimba. Qualcuno chiama la figlia “Amore”, chi con vezzeggiativi “Lulù”, chi con frasi in codice: “Azzera e riparti, azzera e riparti”. E’ davvero uno spettacolo nello spettacolo.
   Qualche storia finisce bene, qualcun altra male. Qualcuno la gestisce nel modo giusto: “Coraggio, è solo una partita, hai imparato comunque tantissimo”. Qualcun altro diventa terribilmente scontroso e tratta pure male figlia e congiunti, impartendo, poi, scontroso, il temutissimo ordine: “Si torna subito a casa – colpa sua -, tutti in macchina”. Noi, fortunatamente, la viviamo col sorriso. Ahilei, “Annina”, alla fine, dopo due ore e mezza di battaglia, si è spenta di fisico e quindi di testa, e ha perso, ma coi complimenti affettuosi, di tutti, compreso il giudice arbitro. Era affranta, appena un pelo più di me e della madre, le è uscita qualche lacrimuccia, ma poi tutto è finito lì.
   In fondo, hanno vinto soprattutto lei, col suo spirito indomito (che le servirà tanto nella vita) e la sua correttezza – lasciatemi dire: qualche buon insegnamento dev’essere passato -, ed hanno vinto le altre ragazze che si sono compenetrate in quella sfida ideale di sport e di tennis, e sono rimaste avvinte fino all’ultima palla, senza riuscire a lasciare il circolo. Ha perso malamente – ahilui – l’altro papà che, per dirimere la discussione sulla correttezza o meno di certe continue chiamate palesemente pretestuose, si è alzato in piedi e, fierissimo, ha pronunciato una frase che credevo facesse parte ormai di un tempo che fu: “Le ragazze devono arbitrarsi da sole, parli chi sa e io parlo perché ho giocato. Lei non sa chi sono io, io ho giocato in coppa Davis”. La tensione, si sa, fa brutti scherzi: io, sul momento, ho pensato che da ex atleta, aveva fallito una mega occasione di dare i giusti insegnamenti sportivi alla figlia. Che è stata richiamata ufficialmente dall’arbitro per i suoi atteggiamenti e le sue perdite di tempo che disturbavano l’avversaria, cioé mia figlia. Io, da parte mia, in coppa Davis, non ci avrei potuto giocare mai. Perché, pur cimentandomi tuttora in diversi sport, non sono riuscito ad eccellere, deviando sulla più consona scrittura. E concedendo a mia moglie, che ha vinto anche uno scudetto di serie A di basket, l’ultima parola sul tema sport di alto livello. Non ho pensato alle centinaia di partite che ho visto e commentato, ma ho pensato solo e soltanto alle difficoltà della mia Anna. Per allentare la tensione, l’ho invitata a regalarmi un altro dei suoi famosi sorrisi e un’altra delle sue reazioni positive, in campo, perché non perdesse la concentrazione e continuasse a prendere la situazione nel modo giusto, divertendosi.
    Poi, solo poi, la curiosità del giornalista è tornata imperiosa e, a sera, ho chiesto al mago dei numeri sportivi, l’amico Luca Marianantoni, di togliermi il dubbio. Poteva essere che il signor padre in questione fosse davvero stato un giocatore di Davis? L’aspetto mi diceva di no. Così come il suo cognome. Ma, si sa, il tempo può essere crudele, soprattutto con gli ex atleti. Nel fisico e anche nell’atteggiamento. Perché, con accento chiaramente campano, aveva anche accusato me, che stavo zitto zitto e sono nato a Napoli: “I milanesi non vogliono accettare la sconfitta”. Quando, il mio problema era solo quello di trovare un pittoresco ristorante – con pizza napoletana – per la sera. Il verdetto dell’erede statistico di Rino Tommasi è stato confortante: “Mai nessuno con quel cognome, di nessuna nazione, ha giocato una partita in coppa Davis”. Svilendo quel drammatico “lei non sa chi sono io” Che aveva colpito tutti i presenti.
    Ringrazio la vita per avermi fatto vivere quest’altro illuminante capitolo della sagra papà-figlia nel tennis, mi mancava. E invito da subito Anna ed Alessandro: semmai mi scapperà una frase così, sono autorizzati a farmi quella famosa pernacchia di Totò. Ringrazio anche la presenza dei gemelli che mi hanno spinto a vedere una loro amica il giorno dopo, così il mio occhio è rimasto affascinato dalla 15enne Elena Sophia Montesi, 1.82 di potenza pura, alta, atletica, figlia di Thelma brasiliana catturata a Terni da un bell’italiano di 1.90. Sicuramente la Fit già la conosce: se la ragazza impara a gestire le emozioni e quel suo uno-due servizio-dritto ne sentiremo parlare a livello più alto. Assolutamente unico nel panorama giovanile italiano, sembra Venus Williams.
Vincenzo Martucci
Tags: elena sophia montesi, giovanile, tennis, torneo kinder

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Nota sull’autore: Vincenzo Martucci

Napoletano, 34 anni alla Gazzetta dello Sport, inviato in 8 Olimpiadi, dall’85, ha seguito 86 Slam e 23 finali Davis di tennis, più 2 Ryder Cup, 2 Masters, 2 British Open e 10 open d’Italia di golf. Già telecronista per la tv svizzera Rsi; Premio Bookman Excellence.

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