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Pallacanestro

Stranieri o italiani: come si cura un basket senz’anima?

Da Luca Chiabotti 31/01/2018

La federazione ha varato le nuove regole per favorire l'utilizzo dei nostri giocatori ma tutto resterà sempre uguale fino a quando società, dirigenti, allenatori di vertice non saranno convinti che lanciare i ragazzi nati nel nostro Paese è una questione etica prima ancora che economica o tecnica. Il caso limite? Milano che perde con 12 stranieri e i giovani nazionali in panchina

Se siete appassionati di basket, sarete stufi anche voi di tutte le guerre e le paci tra federazione e Legabasket riguardo al numero di stranieri e alla quota minima degli  italiani, o meglio giocatori formati cestisticamente nel nostro Paese, per squadra.
Sono quasi 20 anni, da quando la sentenza Bosman ha cambiato anche il mondo dei canestri, che se ne discute. Di solito, tra la Fip, che vuole meno stranieri e più “italiani” e i club, che spingono per l’esatto contrario, vince chi è più forte politicamente in quel preciso momento. Lo è stata la Lega per molto tempo, oggi è il presidente federale, Gianni Petrucci, che detta legge. Ma alla fine, non cambia mai nulla. I minuti lasciati agli italiani in serie A oscillano da 10 anni attorno al 25% del totale, qualsiasi formula sia stata adottata. Da pochi giorni, imponendo il proprio volere alle società, la Federazione ha deciso le regole per i prossimi campionati vendendo la riforma come una riduzione degli stranieri a favore dei nostri giocatori. Ma qualcuno ha fatto davvero i conti della serva?
La faccio brevissima per non annoiarvi troppo: oggi una squadra può scegliere, fatta salva la presenza di 5 giocatori formati in Italia, se ingaggiare 5 stranieri senza distinzione di passaporto o 7 dei quali però solo tre extracomunitari. La federazione ha deliberato per il futuro un massimo di 6 stranieri (più sei italiani) però “liberi”  come chi oggi ne sceglie solo 5 (più 5 italiani). Ma cosa accadrebbe nel campionato in corso se fosse già applicata la regola dell’anno prossimo? Intanto, dai conti, eliminiamo i 7 club che oggi hanno già scelto il 5+5 e che sarebbero in sintonia con le leggi future (mentre potrebbero addirittura tesserare uno straniero in più: l’effetto della riforma, in questo caso, sarebbe azzerato). Restano 9 società che ne schierano 7 quindi gli stranieri di troppo sono in totale nove. A parte due o tre (scelgo quelli finora utilizzati meno per minuti dalle squadre) come Bertans di Milano, Fesenko di Avellino o Planinic di Sassari, si tratta di figure minori con minutaggi limitati. E siamo sicuri che il loro posto verrà preso in toto da italiani? Molto probabilmente, il fatto di poter schierare 6 extracomunitari (cioè soprattutto statunitensi) invece di 3 porterà ad un maggiore minutaggio degli americani stessi rispetto agli europei o naturalizzati di oggi, scelti spesso non per la loro forza tecnica ma per il passaporto. Direi che ottimisticamente la grande riforma di cui parla Petrucci riguarda 4 o 5 italiani in più per tutta la serie A con uno spazio di una decina di minuti di media a partita. Ma, presumibilmente, il sistema si riequilibrerà senza nuovi spazi per i nostri giocatori. Non sembra la riforma della vita.
Vero che la Fip ha stoppato le squadre che avrebbero voluto più stranieri, proponendo addirittura di pagare una tassa per poterne schierare più di 6. Lascio perdere il commento sulla sportività di una regola che avvantaggia chi è già più ricco… Ma il problema è che anche col nuovo format, il prodotto italiano non ne sarà esaltato. Primo perché le leggi dello Stato e la globalizzazione in atto ovunque rendono quasi impossibile il protezionismo oltre un certo limite che abbiamo già raggiunto. Secondo, perché sono sempre stato convinto che questa sia una questione etica più che di regole, specie se imposte dall’alto. Se un movimento non prova orgoglio, gioia, passione e non persegue strenuamente l’affermazione dei propri ragazzi, di qualunque nazionalità ma provenienti dal lavoro anche sociale dei nostri vivai, non ha un’anima oltre ad essere perdente in campo internazionale.
Tra l’altro, un campionato con una identità nazionale più forte, sarebbe più commerciabile e vendibile rispetto alla serie A di oggi. Ma se i club e gli allenatori non sono profondamente convinti di questo, non c’è alcuna speranza che le regole risolvano il problema.
Oggi i migliori emergenti italiani, come Awudu Abass, razziati dall’Olimpia Milano non vedono il campo, non solo in Eurolega. L’azzurro Simone Fontecchio ha chiesto di andare in prestito a Cremona per poter giocare, tornando, però, indietro di due anni, quando a Bologna non faceva attività internazionale, la strada fondamentale ormai per far crescere davvero i giocatori. La domanda, cattiva, è: era proprio necessario che l’Olimpia Milano mettesse sotto contratto 12 stranieri per ritrovarsi penultima e prendere schiaffi da tutti in Eurolega (dove il numero di stranieri è libero) o sarebbe stata ugualmente penultima facendo maturare a livello internazionale Abass, Fontecchio e Pascolo (nazionali come i veterani Cusin e Cinciarini sotto utilizzati) facendo un regalo a tutto il basket italiano oltre che a se stessa, non solo economicamente ma soprattutto in previsione delle regole future? E i giocatori italiani più giovani perché preferiscono il guadagno superiore pur mettendosi nelle condizioni di non giocare? E se Milano che è la più ricca e ha i migliori italiani li tiene seduti in panchina (o in tribuna…), cosa possiamo pretendere da chi ha budget di 9/10 inferiore, considerando che per motivi soprattutto fiscali i nostri atleti costano un pochino di più rispetto agli stranieri, a parità di utilizzo?
E’ l’eterno dilemma: colpa delle squadre o della mancanza di ambizioni e voglia di migliorare dei nostri giocatori se siamo ridotti così? L’ardua sentenza è troppo difficile da liquidare in poche righe. L’unica cosa che posso dire è che da 20 anni si discute solo per slogan (quelli negativi più ricorrenti sono “Stranieri mercenari”, “Stranieri sempre più mediocri” contro “Italiani che costano troppo”, “Italiani pigri e privilegiati dalle quote”) senza andare al cuore del problema o chiedere al pubblico cosa voglia davvero vedere, che poi è la base per avere un prodotto di successo. Questa nuova riforma, nella sostanza, da sola non cambierà nulla. Come sempre.
Luca Chiabotti
Tags: Basket, giocatori, italiani, Luca Chiabotti, nuove, regole

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Nota sull’autore: Luca Chiabotti

(La Firma) Inviato a 6 Olimpiadi, 7 mondiali e 15 europei basket, oltre 200 partite dello sport che è il suo grande amore ed ha caratterizzato la sua carriera, 35 final four, finali italiano del 1978. Esperto anche di sport americani, dal football al baseball.

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1 Commenti

  1. Stranieri o italiani: come si cura un basket senz’anima? di Luca Chiabotti - basketnet.it
    31/01/2018 at 18:07

    […] sportsenators.it a cura di Luca […]

I commenti sono chiusi.

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