Zandalasini, la più forte giocatrice italiana, esplosa a livello internazionale negli ultimi Europei, ha debuttato nella Wnba, la Nba delle ragazze, con la maglia delle Minnesota Lynx che hanno dominato la stagione e sono le favorite per i titolo. Un piccolo assaggio: Cecilia è arrivata dall’Europa solo le ultime tre partite giocando pochi minuti e segnando due punti, ma il suo apporto potrebbe essere già consistente dalle semifinali dei playoff della prossima settimana. E comunque è un assaggio di quello che per Zandalasini potrebbe diventare una normalità nel futuro: giocare stabilmente con le più forti giocatrici del mondo. Non è la prima italiana a vestire una maglia Wnba: dalla pioniera, e straordinaria, Catarina Pollini, a Chicca Macchi e Raffaella Masciadri, è la settima azzurra che giocherà nel campionato più bello del mondo. Con delle prospettive di successo uniche.
La Wnba è una lega di grandi contraddizioni e interessantissima da studiare. E’ nata 20 anni fa per volere della Nba che “impose” a molte franchigie di aprire una succursale femminile, con standard identici a quelli dei maschi, per creare un business politicamente corretto, cioè di dare alle ragazze una possibilità di non essere più discriminate ma, anche, per colmare la stagione estiva lasciata libera dai maschi. Oggi ha raggiunto un livello di eccellenza, non solo tecnico ma anche di numeri: quasi 8000 spettatori di media a partita (paragonabile all’Eurolega e il doppio del campionato italiano maschile), presenza sui grandi network nazionali grazie anche al richiamo verso le migliori giocatrici da tutto il mondo. Eppure, secondo i criteri che guidano le leghe americane, non ha sfondato. Anzi, fino all’anno scorso, si parlava apertamente di crisi. Il modello di business sta in piedi solo perché ha la Nba alle spalle che le garantisce un contratto televisivo da 25 milioni di dollari e la potenza delle franchigie padroni. La metà delle squadre è in deficit per i costi altissimi di utilizzare grandi arene mentre le big russe e turche, dove le americane più forti giocano di inverno, arrivano a proporre stipendi 15 volte più alti che la Wnba (nonostante la media dei salari sia un ragguardevole 100.000 dollari per una stagione di 4 mesi). Addirittura Ekaterinburg è arrivata a offrire un milione e mezzo alla stella Diana Taurasi perché saltasse una stagione americana e si riposasse (fare la giocatrice di alto livello oggi è estenuante fisicamente molto più che nella Nba: le ragazze più forti del mondo giocano 12 mesi l’anno). Jim Dolan, proprietario dei New York Knicks e delle Liberty ha dichiarato due anni fa, quando voleva cedere il club femminile: “Il problema non sono i soldi che si spendono ma la mancanza di prospettive di poterne guadagnare”.
E in effetti, la cosa che fa più male alla Wnba è che dopo vent’anni di attività, mentre due delle tre leghe pro di calcio femminile sono fallite, l’interesse vero per il basket pro delle donne è limitato. Richiama poca partecipazione popolare, ha scarsissimi rating televisivi e poco impatto sui mezzi di comunicazione se non locali. All’inizio di questo decennio, le presenze nei palazzi hanno cominciato a decrescere, la situazione a peggiorare, addirittura le squadre più forti hanno dovuto iniziare la stagione incomplete per aspettare la fine dei playoff e dei campionati Europei (alcune giocatrici sono state naturalizzate nel nostro continente). La differenza rispetto all’Italia dove il basket femminile è snobbato (non parlo di Nazionale) anche dalla Fip, è che negli Stati Uniti si sono messi al lavoro i personaggi più influenti, compreso Adam Silver, commisioner della Nba. Nel 2016 la svolta: la lega è stata messa nelle mani di una big del business, ex Coca Cola, e si è cercato di rendere più commerciale il prodotto, senz’altro di alto livello, da vendere. La stagione appena conclusa ha visto un aumento del pubblico dopo sei anni di calo, la strada è lunga ma Silver vuole arrivare presto a 10 mila spettatori di media, risultato che poche squadre, tra cui le Lynx di Zandalasini, sono riuscite a raggiungere.
La Wnba ha accentuato la sua attenzione al sociale come arma per farsi largo nell’affollato panorama dello sport americano. Nel 2014 s’è spinta dove nessun altro sport era mai arrivato prima diventando una portavoce dei diritti Lgbt partendo dalla considerazione, risaputa ma sempre tenuta nascosta, che moltissime giocatrici sono lesbiche (senza arrivare al 98% citato a sproposito da Candice Wiggins che ha dichiarato di essersi ritirata per i soprusi ricevuti in quanto non omosessuale) come il 25% del pubblico. Ci sono state partite dedicate al Pride omosessuale, molte atlete hanno fatto da portavoce nelle singole comunità. Alla fine, commercialmente, la cosa non ha funzionato, il calo è continuato. Ma l’impegno sociale, come vestire sottomaglie nere per protestare contro le violenze della polizia o inginocchiarsi tutte durante l’inno nazionale per sollevare i problemi delle minoranze, è continuato rendendo la Wnba un caso unico a livello mondiale.
Alla fine, però, anche le menti più brillanti faticano a capire perché la Wnba, dopo un inizio promettentissimo e una crescita costante negli anni Novanta, non abbia centrato i suoi obbiettivi e non riesca ad essere autonoma dalla Nba come business. Non si riesce soprattutto a comprendere perché le migliaia di fans del college basketball abbandonino le ragazze quando diventano pro. L’anno scorso la finale universitaria Mississippi State-South Carolina ha richiamato oltre tre milioni di telespettatori, la gara decisiva della finale Wnba mezzo milione. Una delle teorie più suggestive è che il basket femminile non è amato e supportato… dalle donne. Mentre gli sport maschili sono venerati dagli uomini e raccolgono molte donne tra gli spettatori, la proporzione femminile di chi segue la Wnba è molto più bassa di quella degli uomini che guardano la Nba (e probabilmente anche delle donne…). Cioè una lega nata per elevare la posizione della donna nello sport sta arrancando proprio per colpa della mancanza di interesse femminile che le priva di uno zoccolo duro.
Spunto interessante su cui investigare, perché è quello che sembra accadere anche in Italia. Su una cosa, però, non c’è alcun dubbio: nella Wnba si gioca il basket migliore al mondo. Che Zandalasini sia approdata tra le più grandi deve essere un orgoglio per tutti noi.
Luca Chiabotti