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Golf

Tradizione, lunghezza, tiri mancini: perché amare il Masters

Da Sport Senators 05/04/2017

Silvio Grappasonni, ex pro ora telecronista, ci racconta il Major più giovane e affascinante, che si chiude domenica all’Augusta National con in gara anche Francesco Molinari. 

Comincia il Major più affascinante dei quattro del grande Slam di golf, l’unico che si gioca sempre sullo stesso campo l’Augusta National, uno dei tracciati più belli del mondo. Bobby Jones e Alistair Mckenzie disegnarono questo campo nel lontano 1934 ma il disegno è magico, un autentico capolavoro di bellezza e di tecnica, sempre unico e moderno. Un campo straordinario che diventa difficile nella parte centrale con il famoso “Amen Corner”, con le buche 11-12-13, dove spesso si decide il destino del torneo. Come successe anche lo scorso anno con il crollo di Jordan Spieth alla 12, quando finì in acqua con il primo colpo. E permise a Danny Willett di vincere la gara.

E‘ uno Slam di grande tradizione, pur essendo il più giovane dei Major, con il rito della giacca verde che viene indossata dal vincitore, durante la premiazione: la giacca verde è il segno di riconoscimento dei soci del circolo oltre ad essere diventata anche il simbolo del torneo. Un’altra usanza di Augusta vuole che i trionfatori del passato si riuniscano il martedì precedente al torneo per il Champion Dinner, dove il campione in carica ha la responsabilità di scegliere il menu. Insomma, ha consuetudini tutte sue, ed è il mio Major preferito: per l’atmosfera simile a quella di Wimbledon, per le emozioni che regala grazie al disegno del campo con suoi par 5 cinque nelle seconde nove, per le ultime buche dove in passato ci sono stati grandi rimonte grazie ai green velocissimi che sono diventati la caratteristica tecnica più importante di questo Slam. Insieme alla particolarità del campo, con tanti saliscendi e tante buche che girano come se fossero dei curvoni di una pista da sci, favorendo i giocatori potenti. Che, negli ultimi anni, grazie anche ai materiali, sono riusciti, con colpi impossibili e distanze di oltre trecento metri, a volare tutte le difficoltà ai 250 metri.

Tirar forte è sicuramente un grande vantaggio all’Augusta National, ma lo è ancora di più se essere mancini. Curioso: una volta, tirare di sinistro, dava qualcosina in più nel tennis o nel pugilato, ma se si guarda all’albo d’oro del Masters è diventato importante anche nel golf, perché sei vittorie negli ultimi tredici anni non arrivano per caso. Infatti, Mickelson e Bubba Watson sono anche quest’anno tra i favoriti del torneo. Che diventa ancora più interessante per la presenza di Francesco Molinari, al rientro ad Augusta dopo due anni di assenza e in uno stato di forma molto buono, come testimonia il recupero del 30esimo posto nel ranking mondiale. La migliore prestazione di un italiano ad Augusta è quella di Costantino Rocca che, nel 1997, finì quarto, lottando fino alla fine contro Tiger Woods (che l’ha vinto 4 volte, ma stavolta non ci sarà). Molinari ha le possibilità di migliorare quella storica prestazione ma dovrà, sin dall’inizio, prendere il passo giusto, senza regalare giornate agli avversari che nei Major sono sempre i migliori giocatori del mondo.

L’anno scorso, Arnold Palmer aveva rinunciato al tradizionale tee shot, cerimonia che officiava dal 2007, e alla quale s’erano aggiunti Jack Nicklaus nel 2010 e Gary Player, l’altro componente dei “Grandi Tre”, nel 2012. Purtroppo Palmer, a settembre, è scomparso, e ci mancherà moltissimo.

Silvio Grappasonni

  • 54 anni, ex professionista sull’European Tour, ha vinto due Omnium e il campionato italiano Pga, oggi telecronista Sky. Il padre Ugo è stato uno dei più importanti golfisti italiani.

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