Una volta terminati gli aggettivi e gli avverbi qualitativi sull’incredibile Roger Federer, senza età ma col gioco più fluido e libero che mai, e sull’impensabile Rafa Nadal, senza più il fisico da Maciste ma con lo spirito dei tempi belli, noi amanti del tennis siamo rimasti spiazzati dal ritiro del Magnifico in bacino di carenaggio fino al Roland Garros del 28 maggio. Sembriamo dei bambini piccoli cui è tolto il giocattolo preferito: e ora che facciamo, come ci divertiamo?
Obiettivamente, non c’è paragone fra il contrasto di gioco e di personalità fra i due fenomeni degli ultimi tredici anni e quello dei loro successori, a partire da Djokovic-Murray, troppo simili nello stile monocorde da fondocampo, troppo difensivi, troppo ripetitivi. La cosa peggiore nella vita non è dover rinunciare all’improvviso alla qualità – che pure è terribile – quanto ritrovarla, magicamente, e poi riperderla ancora. Com’è successo con la rivalità Federer-Nadal che sembrava morta e sepolta insieme a quei meravigliosi interpreti del tennis moderno, e che invece è riesplosa nelle impronosticabili finali di Melbourne e di Miami, rovesciando peraltro il trend positivo a favore del mancino spagnolo in addirittura quattro successi consecutivi per lo svizzero (quando in passato c’erano state quattro strisce di cinque affermazioni a favore dello spagnolo).
Rivalità di qualità che sembra destinata a sparire ancora, almeno fino al Roland Garros, se si tiene fede alle dichiarazioni a caldo di RogerExpress alla premiazione di Miami di domenica. Dichiarazioni forse dettate dalle condizioni del momento di un giocatore più che esausto: a quasi 36 anni, ha sostenuto uno stress psico-fisico che non subiva da anni, aggiudicandosi i primi tre grandi tornei stagionali, superando soprattutto in Florida ostacoli duri ed insidioso, salvando match point (due con Berdych), ricorrendo ai tie-break (tre con Kyrgios), soffrendo il micidiale caldo-umido della finale contro l’incattivito Rafa, e quindi chiudendo di forza l’ultimo match in due set, pena il fortissimo rischio di crollare di fisico al terzo. Ma, a mente fredda, magari il suggeritore tecnico, Ivan Ljubicic, gli proporre due alternative diverse da quella che lui ha prospettato: saggiare almeno la terra rossa a Roma, sulla strada di Parigi, o saltare direttamente anche quell’unica tappa su una superficie per lui sicuramente più ostica (e molto meno vincente) rispetto a erba e cemento. Vedremo.
Intanto, in attesa del nuovo sprint-Slam di Federer, presumibilmente a Wimbledon e Us Open, il tour riabbraccia un Rafa Nadal che, se è il secondo sul cemento in questo inizio di stagione, dovrebbe tornare ad essere ancora, decisamente, il primo sull’amata terra battuta. E quindi essere il favorito per un decimo e ancor più storico trionfo a Porte d’Auteuil. Del resto, al di là delle forti perplessità sul “toppone” di dritto del fenomeno di Majorca, sulla palla in generale più corta, sulle gambe più lente e meno potenti, sulla percentuale d’errore maggiore, sull’intensità di palleggio che scema, e sulla presenza part-time di zio Toni dal suo angolo, il rendimento di Nadal è sorprendente appena un pizzico meno di quello di Federer. Considerando anche i risultati del passato sul cemento, quand’era al massimo del suo fulgore tecnico-agonistico. Perciò, quando lui, dopo tanti silenzi, grida “Sono pronto a vincere i grandi tornei”, il tennis trema. “Sono vicino a dove devo essere, sono davvero a un alto livello di tennis, e credo di essere pronto. Quest’anno, ho già giocato tre finali, le ho perse tutte ma, contro Federer, ho perduto contro un avversario che in questa stagione ha perso solo un match. Giocando un match completamente diverso da quello di Indian Wells, dove avevo vinto solo cinque games. In Florida, è stata una partita molto più equilibrata che, come tutto il buon torneo che ho giocato, mi ha dato tanta fiducia per la stagione che sta arrivando e che, per me, è la più importante della stagione. Ci arrivo pronto a poter lottare con tutti, con buone speranze di essere pronto a Montecarlo. Eccitato, voglioso di ritrovare il mio ritmo anche sulla terra ed essere uno dei candidati alla vittoria su quei campi”.
La storia, che già l’ha reso immortale coi nove trionfi al Roland Garros in dieci anni (dal 2005 al 2008, e poi dal 2010 al 2014), potrebbe issarlo ancor più sù con un eventuale decimo sigillo, col quale supererebbe se stesso, dopo i nove urrà-record a Montecarlo e Barcellona. Proprio gli ultimi che ha festeggiato, mettendo le tacche numero 48 e 49 nella sua incredibile bacheca di successi – il 71% dei 69 titoli in carriera – , l’anno scorso, sulla superficie preferita, finendo immediatamente dopo k.o. a Madrid (con Murray), a Roma (con Djokovic) e a Parigi (con la rinuncia, dopo due turni, contro Granollers. Difficile che, dopo aver riaperto il libro della storia, Rafa rinunci ad allungare la favola dell’Era Nadal, la più schiacciante di sempre su una sola superficie dell’era Open, frantumando i record e l’immagine di Bjorn Borg e Guillermo Vilas. Possibile che si fermi proprio adesso che il cemento l’ha rilanciato e che Federer se ne torna in vacanza, mentre gli altri due Fab Four, Djokovic e Murray, sono in delicate condizioni psico-fisiche? Secondo noi l’avversario maggiore dello spagnolo è dentro sé stesso, nel fisico che deve sempre curare al massimo (fra ginocchia e polso), nella rabbia che ha accumulato nei momenti bui, nella voglia di riscatto e di rivincita che possono soverchiarlo. Soprattutto ora che ha scalato la montagna più alta di questi primi tre mesi, e deve sprintare, non più da outsider, ma da lepre. Con quel pensierino maligno che, oggi, sembra aver finito di trapanargli la testa, epperò potrebbe tornare, terribile, fra un paio di mesi, dopo le tre finali su tre perse quest’anno: “E se non ce la facessi più?”.
VINCENZO MARTUCCI