Quella in programma a Londra nello stadio che nel 2012 ospitò l’Olimpiade non è un’edizione come le precedenti. In palio una posta altissima, il futuro dell’atletica stessa. Non è mai facile quando un campione simbolo come Usain Bolt decide di ritirarsi, la popolarità di un’un’intera disciplina inevitabilmente ne soffre. E’ successo allo sci alpino con Tomba , succederà al tennis dopo l’addio di Federer. Per questo il motociclismo, se potesse, farebbe correre Valentino Rossi sino a settant’anni…
Campioni come Bolt sono universali, bucano lo schermo, vanno al di là dei puri appassionati di una disciplina, allargano i confini. Per riuscirci non bastano i risultati, è necessario quel linguaggio subliminale che passa attraverso le immagini: la simpatia, la mimica, la capacità di trasmettere felicità. L’atletica poi, dal canto suo, commette i suoi errori. Un esempio? In un’epoca di tempi televisivi strettissimi che non consentono pause non riesce ancora ad organizzare, soprattutto nei campionati, uno spettacolo continuo. Rimaniamo alla televisione e questo è forse l’errore più grave: la fame di dollari ha cancellato l’atletica dai palinsesti televisivi di molti Paesi, facendola quasi “dimenticare” ai telespettatori. L’Italia ne è un esempio. In questo la federazione internazionale si è dimenticata che il suo primo scopo è di promuovere la disciplina, non di arricchirsi. Quindi, sempre televisioni in chiaro, con la massima accessibilità e promozione.
Poi c’è lo scandalo doping che si protrae da anni e che ha levato credibilità a tutto il movimento. Davanti alle imprese sorge sempre la stessa domanda: “Cosa stiamo guardando?”. Ma è un passaggio necessario se si tende ad uno sport pulito, molte altre discipline continuano a coprire gli scandali, a tollerare sostanze e metodologie proibite. Sarà la storia a presentare loro il conto. La Russia, esclusa dai Giochi di Rio per “doping di stato”, rientra ai Mondiali dalla finestra con una serie di atleti che gareggeranno sotto una bandiera indipendente.
Ma torniamo a Londra. Re Bolt saluta, ma, risultati alla mano, non è affatto sicuro di vincere. Sarà in pista sui 100 metri ed il suo 9”95 stagionale è tutt’altro che inattaccabile. Ci proveranno il sudafricano Simbine, gli statunitensi Coleman e Gatlin. Ci si chiede perché Usain non abbia optato per i 200 metri, distanza di certo per lui più sicura. Ma i 200 richiedono un allenamento che forse Usain non si è più sentito di fare o forse a limitarlo sono problemi fisici come il mal di schiena.
Sulla carta la sua eredità dovrebbe essere raccolta dal sudafricano Wayde Van Nierkerk, grande favorito di 200 e 400 metri che, se la fatica non lo strangolerà, potrebbe anche diventare il primo uomo a correre il giro di pista sotto il muro dei 43 secondi. Fantascienza? No, dopo il 43”03 della finale olimpica a Rio. Atleta straordinario, ma per diventare un Bolt dovrà anche sapersi muovere fuori dalla gara, imparare a “comunicare” con la gente. Altri primati mondiali che potrebbero vacillare potrebbero essere quello dell’alto femminile, il 2.09 della bulgara Kostadinova in piena era doping a Roma 1987, considerando che la russa Maria Kuchina, ora signora Lasitskene, in stagione ha già superato 11 volte i 2.00 arrampicandosi sino a 2.06. E c’è chi fantastica pure su un altro possibile primato mondiale, quello del lungo maschile, l’8.95 fissato nella notte magica dei Mondiali ’91 a Tokyo da Mike Powell nello straordinario duello con Carl Lewis. Candidato un altro sudafricano, Luve Manyonga, già atterrato a 8.65, con ben 4 balzi nel 2017 oltre gli 8.60.
Londra sarà il passo d’addio, almeno per la pista, anche di un campione fra i più discussi (doping), il britannico di origine somala Mo Farah, incontrastato dominatore di 5000 e 10.000 metri che si darà alla maratona. Altri campioni in vetrina saranno la giamaicana Thompson sui 100 nella sfida con l’unica bianca del lotto, l’olandese Dafne Schippers, la cavalcata della Semenya negli 800 prima che ritornino in vigore le norme sul controllo del sesso, le lanciatrici Perkovic (disco) e Wlodarczyk (martello).
Sarà comunque una piccola Italia quella che vedremo a Londra. Da due edizioni dei Mondiali non vinciamo medaglie e questa volta l’unica speranziella è la pugliese Antonella Palmisano nella 20 km di marcia, un settore dove le squalifiche doping hanno rivoluzionato i valori. Nessuna speranza invece per Eleonora Giorgi, veloce, ma troppo scorretta tecnicamente per poter arrivare sino al traguardo. Qualche romantico indica anche possibilità di podio per Gianmarco Tamberi, al rientro da un gravissimo infortunio. Il marchigiano ha talento e rabbia agonistica, ma è troppo basso il suo 2.28 stagionale per sognare realisticamente una medaglia. Se ce la facesse l’impresa sarebbe da ascrivere fra i “miracoli”. L’obiettivo azzurro, dopo l’inevitabile massacro nei primi turni, deve essere un altro: portare i più giovani il più avanti possibile, forse qualcuno in finale. Sarebbe già un grande risultato. Fra questi giovani il più promettente è Filippo Tortu, in gara nei 200 metri. Non chiediamogli l’impossibile; la sua stagione a 19 anni, con il titolo europeo juniores dei 100, il 20”34 sui 200 del Golden Gala e la maturità in tasca, è già da “10”. A Londra dovrà solo fare esperienza, respirare l’aria dei più grandi, imparare senza troppe tensioni. Ha tempo per sconvolgere il tempio delle frecce di colore.
Pierangelo Molinaro