“Sei nel posto che ti appartiene, il Paradiso. Ma per me non morirai mai. Riposa in pace”. Con la dolcezza e l’umanità che lo fanno ancor più grande, Juan Martin Del Potro ha dato il suo personalissimo addio a Diego Armando Maradona, da argentino ad argentino, ma anche da tennista a tennista. Perché, nel cuore, l’indimenticabile numero 10 ha amato tutti gli sport, ma dedicava un posto particolare al tennis, che praticava e seguiva anche dal vivo con la passionalità che gli era propria, e quindi con qualche eccesso.
“Adoro il tennis, è il mio secondo sport”, ha spesso ripetuto. Il grande mancino lo praticava con la mano destra, con scarsi risultati, anche se insisteva con gioia e trasporto. Intimamente e genuinamente felice, come solo lui sapeva essere.
Raccontano che quello per le racchette sia stato un amore a prima vista, a 23 anni, al Roland Garros 1984: vide la finale del torneo maggiore, tra Martina Navratilova e Chris Evert, e poi anche quella del torneo juniores, fra la quattordicenne argentina Gabriela Sabatini e la bulgara Katerina Maleeva. Inutile raccontare l’emozione della piccola Gaby, all’epoca ancor più timida, scorgendo in tribuna l’idolo del suo paese, proprio in una partita così importante per lei: “Che grandissima sorpresa, non conoscevo ancora personalmente Maradona. Dopo la vittoria ho potuto parlare con lui e il ricordo di quell’incontro rimarrà sempre con me”.
Poi Maradona vide anche la finale maschile e impazzì per John McEnroe, mancino come lui e la Navratilova, tifando fino all’ultimo per SuperMac che invece poi si spense contro Ivan Lendl, mancando la scalata alla terra rossa. Si presentò al torneo parigino anche nel 1988. Ed è rimasto avvinto al tennis.
Ha assistito ad altri tornei, come alle Finali ATP di Londra, fermandosi spesso a scambiare qualche parola, felice come un bambino, coi più grandi campioni. E, da ambasciatore dello Sport di Dubai, nel 2013, non perdeva una partita del torneo.
Diego era attaccatissimo ai colori biancocelesti -“È più argentino della bandiera”, secondo una felice descrizione di un giornalista -, in tribuna, si schierava e si comportava da primo tifoso. Figurarsi quando il giocatore portava il suo nome, in onor suo, come Diego Schwartzman, peraltro grande tifoso del Boca Juniors come lui. Maradona l’ha conosciuto nel 2012 quando faceva lo sparring di Davis e ha cominciato a seguirlo e sostenerlo sin dal successo ATP di Rio de Janeiro 2018.
Poco prima che scendesse in campo per la finale degli Internazionali d’Italia di Roma contro Djokovic lo scorso settembre, ha postato su Instagram: “Congratulazioni, Peque! Giochi con la rete di pallavolo eppure sei in finale. Per me sei giù un campione”. Figurarsi nella finale di Davis contro la Croazia del 2016 a Zagabria, quando Delpo e Delbonis vinsero la prima storica coppa per l’Argentina. Diego era quasi in campo insieme ai giocatori a sostenerli ed abbracciarli col suo calore in ogni momento dell’impresa. E, commosso, ottenne in regalo la racchetta del trionfo da Del Potro: “È la più bella emozione che abbia mai vissuto in questi ultimi anni”.
In precedenza, da tifoso dei biancocelesti di Davis, non si era comportato bene ed aveva messo in difficoltà la Federazione Internazionale per la sua ingombrante e diseducativa presenza. Nel 2006, contro la Svezia, a partita in corso, aveva spedito un bacio dalla tribuna a Robin Soderling che protestava per le intemperanze del pubblico, aumentando la violenza dei tifosi sugli spalti.
Fece di peggio contro Lleyton Hewitt quando caricò la folla contro lo scatenato australiano, coprendosi di critiche da parte di tutto l’ambiente. Ma lui seguì la squadra fino a Mosca, per la sfortunata finale, persa, con Safin che strinse poi pubblicamente la famosa “mano de Dios” che aveva segnato ai Mondiali contro l’Inghilterra.
Da autentico appassionato di tennis, comunque, Maradona ha saputo apprezzare l’abnegazione del piccolo e combattivo connazionale Schwartzman come il talento tecnico e fisico di Fabio Fognini.
Al punto che, nel 2017, a Buenos Aires, dopo aver tifato anche sguaiatamente, urlando e sbracciandosi continuamente, per la sua Argentina contro l’Italia in coppa Davis, aveva poi regalato la sua famosa maglietta numero 10 al numero 1 azzurro che aveva domato Guido Pella in cinque set nel singolare decisivo.
E Fabio, davanti alle critiche dell’opinionista tv Giampiero Mughini, contrario alla proposta di intitolare lo stadio San Paolo di Napoli a Maradona, ha recentemente postato sul suo profilo Instagram un laconico: “Mughini chi?”. Curioso: Diego è particolarmente legato a un ex tennista argentino, Alberto Mancini, neo coach proprio di Fabio. Il 21 maggio 1989, il Napoli di Maradona, subito dopo aver vinto la coppa UEFA, ospitava il Torino al San Paolo proprio il giorno in cui Mancini, fresco campione di Montecarlo, sfidava Agassi nella finale di Roma. E Diego si accodò al tifo del suo paese al connazionale impegnato in una partita coì importante contro un idolo come il punk di Las Vegas, e chiedeva continuamente il risultato a chi era collegato a bordocampo con la radiolina.
Grande è stata la partecipazione di Diego alla malattia autoimmune dell’idolo del tennis argentino, Guillermo Vilas cui, pochi mesi fa, aveva inviato toccante messaggio: “Caro Willy, ti dobbiamo tante gioie ed emozioni; spero che ti venga riconosciuto SEMPRE il rispetto e la dignità che tutti noi meritiamo, nei migliori come nei peggiori momenti. Mi auguro che tutti noi possiamo essere in questo momento alla tua altezza. Ti mando un grande bacio, leggenda”.
Anche se il connazionale che più ha amato e col quale era più in sintonia, nel tennis, è stato Juan Martin del Potro. Che tampinava nei tornei, durante gli allenamenti, chiedendogli di scambiare quale palleggio e di rispondere a qualche servizio, sempre pronto a sua volta a palleggiare col divino piede sinistro, facendo felice qualche spettatore.
Irrefrenabile nella sua genuina passione per i suoi idoli che non mancava di abbracciare anche di baciare in pubblico, come fece con Djokovic, col quale aveva avuto una fitta corrispondenza prima di incontrarlo di persona nel 2010. E poi con Federer, che ha conosciuto al Masters del 2011, sorprendendendolo: “Maradona è venuto a vedermi, non sapevo come si sarebbe svolto il nostro incontro. Diego aveva le lacrime agli occhi, è molto emotivo e simpatico. Quel giorno sembrava stesse incontrando il suo eroe, mentre era lui il mio idolo: fu una situazione strana, praticamente si era invertita”.
Con la sua straordinaria carica di umanità, Diego fece piangere Roger davanti al videomessaggio che scorreva sul megaschermo prima dell’esibizione di Buenos Aires: “Ciao maestro, macchina, come mi piace chiamarti. Sei stato, sei e sarai sempre il più grande. Non c’è nessuno come te. Se hai qualsiasi problema nel nostro paese puoi chiamarmi e dirmi cosa ti serve. Un bacio grande a tua moglie e ai tuoi figli. Sei il più grande di sempre”.
Purtroppo, negli eccessi che hanno caratterizzato tutta la sua esistenza, ha coinvolto anche un affezionatissimo ammiratore, Potito Starace, cresciuto, da campano, nel mito del calciatore che ha portato due scudetti a Napoli.
Al torneo di Buenos Aires del 2008, durante i quarti contro l’idolo di casa, David Nalbandian, Poto rimase sconvolto dal suo idolo che, in tribuna, si scatenò contro di lui come il peggiore dei tifosi. E ci litigò al punto da chiedere all’arbitro di intervenire per come Maradona lo disturbava e lo offendeva: “E’ stato tutto il tempo ad insultarmi…. Ero così deluso dal suo comportamento che a fine partita sono corso direttamente in hotel senza farmi la doccia”.
Tre settimane dopo “El Pibe de oro” chiese scusa al tennista di Cervinara (Avellino) spedendogli una maglia autografata al torneo di Indian Wells: “Sul momento, c’ero rimasto molto male, le ingiurie che mi aveva rivolto erano state pesanti e non me l’aspettavo proprio. Non avevo fatto nulla di male. Nel vederlo arrivar allo stadio, avevo pensato tanto al momento in cui gli avrei stretto la mano: l’avevo applaudito tante volte, da bambino, quando giocava nel mio Napoli… Subito dopo, al torneo di Acapulco, mi ero sfogato con un amico comune, l’ex tennista Luis Lobo. E lui, quand’è rientrato in Argentina, ha raccontato a Maradona quanto ne avessi sofferto e perché. Così è nata la storia della maglietta autografata”.
Il tennis è stato uno degli ultimi sport che Maradona ha visto: anche dalla clinica di La Plata, dove era stato ricoverato per l’ultimo intervento al cervello, aveva seguito il torneo di Parigi Bercy. Sognando quegli ace che sicuramente starà segnando Lassù, insieme ai suoi inimitabili gol.
Testo e foto tratti da federtennis.it