Il mondo del calcio, a volte, va anche alla rovescia. E non è sempre un male. Sette gol subiti in casa, una classifica
che diventa sempre più preoccupante, ma a Lecce la squadra, dopo il pesantissimo k.o. contro l’Atalanta, viene addirittura applaudita dagli spettatori dello stadio di Via del Mare e la società non è nemmeno sfiorata dall’idea di esonerare Liverani, l’allenatore che l’ha riportata in A. Un mondo alla rovescia anche a Cagliari. Sì, la squadra che stava incantando, che sognava l’Europa, che evocava i vecchi e mai sopiti entusiasmi del calcio di Gigi Riva e che, dopo un brillante e inatteso girone d’andata inanella un serie nera di risultati. Non è in pericolo di retrocessione, il gioco non è entusiasmante ma in qualche modo alla Roma ha tenuto testa. Ebbene, il presidente Giulini si è drasticamente dimenticato delle esultanze, degli elogi al proprio tecnico, non più di due mesi fa e zac. Via Maran, si cambia. Cagliari nelle manone di Walter Zenga. In questa stagione i ripensamenti sulla panchina sono stati 13,
che non è record, ma dieci società di serie A si sono iscritte alla linea strategica dell’esonero, un po’ per impazienza, un po’ a ragione, ma tantissime volte perché questa è una moda. Pericolosa e non sempre vincente. Ha cambiato il Milan che già in iperconfusione ha tradito l’idea del progetto (può accadere), hanno cambiato la Fiorentina, il Napoli, la Sampdoria, l’Udinese, la Spal, il Torino che doveva volare in Europa e che ora si guarda con un po’ di preoccupazione alle spalle. C’è chi ha voluto esagerare, come il Genoa passato da Andreazzoli a Thiago Motta per approdare a Nicola o il Brescia che incertezza per incertezza, tentativo per tentativo ha esonerato Corini, ha chiamato Grosso, ha rispolverato Corini per poi affidarsi con extrema ratio a Lopez. Tutti questi esoneri, tranne qualche eccezione, hanno una matrice comune. L’incapacità delle società di sostenere l’idea che un progetto, se mai c’è stato, possa naufragare per una serie di elementi non valutati o semplicemente frutto di contingenze. L’ipocrita comunicato stampa stilato in ciclostile con le parole di circostanza (“ringraziamo l’allenatore per il lavoro svolto e gli auguriamo buona fortuna”) testimonia quanto nessuno abbia la serietà di ammettere che si è sbagliato e che l’esonero rappresenta una liana di salvataggio. Ed è indifferente che si possa spezzare anche quella. Da sempre il risultato è oggettivamente un modello di analisi del calcio, quindi non ci stracciamo le vesti se vediamo saltare panchine come birilli, ma ci preoccupiamo per quanto labile sia il concetto di progetto e la fatica per renderlo concreto non venga mai presa in considerazione. In fondo pagare un allenatore in più ha minori costi di una retrocessione. Perché
non farlo? Ecco allora che a Lecce non lo fanno, anzi non ci pensano e i tifosi stessi, pur soffrendo, concedono cambiali in bianco alla società, alla squadra, all’allenatore. La società salentina sapeva che salendo in serie A non avrebbe avuto vita facile, ma ha creduto in un tecnico (Liverani), in una campagna acquisti, nei suoi giocatori e preferisce rischiare andando avanti per la propria strada, qualunque sarà la conseguenza. Un ragionamento altamente sportivo che va oltre la contingenza di una sberla di sette gol e di una precarietà costante. Potremmo
essere presto smentiti, ma il Lecce rappresenta un esempio di coerenza che dovrebbe essere imitato, anche se in questo calcio impazzito sarebbe chiedere troppo.
Quanti esoneri di allenatori nel campionato: tranne qualche eccezione, hanno come matrice comune l’incapacità delle società di sostenere l’idea che un progetto possa naufragare